Stefano Venturi, Hpe: e se tutta l’Italia fosse organizzata come un unico grande cloud aperto?

di Filippo Astone e Renzo Zonin ♦︎ Il titolo è solo in parte una provocazione. Visto che l'intera società è ormai una data driven economy, si pone il problema di cambiare il sistema organizzativo dei dati dell'intero Paese, non solo aziende ma anche Pubblica Amministrazione e tutti i mondi della cultura e della società. La proposta di Hpe, leader mondiale nella gestione strategica dei dati e della loro raccolta, si chiama Next Generation Cloud: il cliente può di volta in volta scegliere se far risiedere i suoi dati nell'edge, nel proprio data center o in quello di un soggetto esterno. E paga solo per quello che consuma. Già l'Eni, con il suo Hpc4, ha scelto di fare così. E il prossimo 2 dicembre, in collaborazione con Ambrosetti, Hpe lancia uno studio per capire l'impatto dell'as a service sulla filiera italiana dell'innovazione e delle tecnologie

Stefano Venturi - Presidente e AD di Hewlett Packard Enterprise Italia

È di poche settimane fa la notizia che Hewlett Packard Enterprise ha potenziato il supercomputer HPC4 di Eni, utilizzato per accelerare la scoperta di nuove fonti di energia e altre attività strategiche per il colosso dell’energia guidato da Claudio Descalzi. Al di là del raddoppio della capacità di storage e dell’aumento di prestazioni, consentito dai 1.500 nodi Hpe ProLiant DL385 Gen10 Plus equipaggiati con Cpu Amd Epyc III, è interessante notare che il nuovo supercomputer è usato da Eni in modalità “as-a-service”, tramite la piattaforma edge-to-cloud Hpe GreenLake. Eni è dunque una delle tante aziende che ha radicalmente modificato la modalità di approvvigionamento di soluzioni Ict per andare incontro ad un nuovo paradigma, nel quale l’azienda non immobilizza capitale nell’acquisto dell’infrastruttura informatica ma paga solo quello che consuma. Diversamente da soluzioni cloud tradizionali il cloud Hpe permette di scegliere dove realizzare l’infrastruttura Ict, all’edge, nei data center del cliente o nei datacenter Hpe.

Questo approccio è particolarmente adatto alle necessità delle strutture pubbliche e private, nel quale è imperativo per le aziende disporre di un’infrastruttura aperta, flessibile e innovativa per la raccolta, gestione e analisi dei dati. Dati che saranno sempre più il motore di tutto, e non solo a livello di business: occorre un profondo cambiamento organizzativo per le aziende, la pubblica amministrazione, in definitiva tutto il sistema Italia. Cambiamento che si può verificare proprio nel periodo del Pnrr che mette in campo nei prossimi cinque anni notevoli risorse su temi come la digitalizzazione; l’innovazione e la sicurezza della Pa (9,75 Mld di euro); la trasformazione del sistema produttivo (23,89 mld). Tuttavia, è assolutamente necessario partire con il piede giusto: per garantire la sostenibilità nel futuro bisogna usare architetture moderne, aperte, interoperabili, che evitino i lock-in di qualsiasi tipo e che contemporaneamente siano in grado di garantire un ottimo rapporto costo/ prestazioni. “Cloud” è la parola magica che viene in mente quando si ha a che fare con questo tipo di specifiche. Ma attenzione: non tutti i cloud sono uguali.







Secondo Stefano Venturi, Presidente e A.d. di Hewlett Packard Enterprise Italia, «Cloud vuol dire che le infrastrutture vengono fruite in modalità “as-a-service”, pagando solo ciò che si utilizza. Fino a ieri, l’unico modo per fare questo era il public cloud. Noi invece proponiamo una modalità che abbiamo chiamato “Next Generation Cloud”: una modalità As-a-Service che prevede che le infrastrutture per un determinato cliente possano essere installate presso di lui, o dovunque egli voglia. Questo apre degli scenari molto interessanti, perché dove stanno i dati lo decide ogni amministrazione, ogni azienda, pubblica o privata che sia. Questo risolve problemi di latenza delle piattaforme tecnologiche, consente di essere sempre al passo con le ultime tecnologie, e ciascuno si personalizza ciò di cui ha bisogno».

Ma le aziende e le pubbliche amministrazioni italiane conoscono i vantaggi delle nuove architetture? Cloud ibrido, sistemi “as-a-service”, pay per use, fanno parte del loro vocabolario? Probabilmente si, e le attività per metterle al corrente non mancano. Fra queste, segnaliamo lo start elaborativo di uno studio annunciato qualche settimana fa da Hpe in collaborazione con The European House – Ambrosetti e intitolato “Il Cloud di Nuova Generazione, il nuovo modello di cloud sostenibile, per la competitività e la crescita dell’Italia”. Ne abbiamo parlato qui. Lo studio, che sarà presentato il prossimo 2 dicembre durante un evento a Roma, indagherà sugli impatti che questa modalità As-a-Service, o di Next Generation Cloud, ha sulle organizzazioni, ma soprattutto sull’ecosistema e sulla filiera italiana dell’innovazione. In particolare, vengono messe sotto la lente la “intangible economy” (per il suo rapporto stretto con la produttività e la crescita) e la “data economy”, nella quale siamo quarti in Europa per valore complessivo, ma appena 17esimi se ne consideriamo il peso sul Pil (2,3%, media europea 3%).

La Componente 2 della Missione 1 ha l’obiettivo di rafforzare la competitività del sistema produttivo rafforzandone il tasso di digitalizzazione, innovazione tecnologica e internazionalizzazione attraverso una serie di interventi tra loro complementari

Ma non è solo questo. «Con Ambrosetti vogliamo anche fare un discorso di sistema, della validità di questa modalità “as-a-service” per tutto l’ecosistema italiano» puntualizza Venturi. Secondo Venturi, è importante che aziende e amministrazioni comprendano l’importanza di affidarsi ad architetture cloud aperte – in particolare, il ritorno a un lock-in simile a quello dei vecchi sistemi legacy, e il depauperamento della filiera Ict italiana, che conta 100.000 aziende; ma è ancora più importante capire i vantaggi di un “as-a-service” generalizzato, come quello proposto nel Next Generation Cloud di Hpe. Un cloud ibrido e federato che è conforme alle raccomandazioni europee di Gaia X e che quindi fornisce, al centro come all’edge, strumenti per gestire in sicurezza e nel rispetto della privacy dati strutturati e non, che saranno l’asset fondamentale delle aziende di domani.

 

D: Da quale esigenza nasce lo studio con Ambrosetti sul “Next Generation Cloud”?

Il ceo di The European House Ambrosetti Valerio De Molli

R: Siamo a una svolta importante nel nostro Paese, perché si sta parlando finalmente per la prima volta in modo deciso di digitalizzazione. Se ne parla da tanti anni ma adesso si stanno facendo dei passi importanti e concreti. Anche di agenda digitale se ne parla da anni, ma nel frattempo ci sono stati importanto novità. Una di queste novità non è certo il cloud come tecnologia, ma il cloud definito in modo esteso e strategico. Ci riferiamo insomma alla possibilità di utilizzare le infrastrutture di calcolo in modalità “as-a-service”, quindi non facendo commitment del 100% di una certa capacità di un’infrastruttura, ma pagando solo ciò che si utilizza. Fino a ieri, l’unico modo per fare questo era il public cloud. Noi invece proponiamo una modalità che abbiamo chiamato “Next Generation Cloud”. Il cloud che si addatta alle necessità dell’azienda, una modalità As-a-service che prevede che le infrastrutture che un determinato cliente acquisisce o deve utilizzare, possano essere installate dove sia ritiene sia più funzionale. Quindi l’infrastruttura non deve più stare su una nuvola da qualche parte nel mondo, ma può essere messa ovunque lo chiede il cliente. E questo apre degli scenari molto interessanti, perché può risolvere meglio il problema della gestione dei dati: dove stanno i dati lo decide ogni amministrazione, ogni cliente, ogni azienda, pubblica o privata che sia. Questo risolve problemi di latenza delle piattaforme applicative, risolve i problemi di innovazione, nel senso che si è sempre al passo con le ultime tecnologie e non con quanto disponibile nei cataloghi cloud standard, e ciascuno si personalizza ciò di cui ha bisogno.

 

D. Questa modalità “as-a-service” che Voi fornite, necessita però di una maggiore comprensione da parte di tutto l’ecosistema italiano.

R. Proprio per questo abbiamo deciso di condurre con Ambrosetti uno studio sugli impatti che questo modello Next Generation Cloud, basato su As-a-service, ha sulle organizzazioni (costi e velocità di innovazione) ma soprattutto sull’ecosistema e sulla filiera italiana dell’innovazione. E questo è un tema importantissimo, perché mentre noi parliamo ci sono là fuori centomila aziende in Italia che si occupano di Ict, e sono vicine ogni giorno a tutte le amministrazioni locali ma anche alle piccole e medie imprese, per innovare. Sono quelle che portano l’innovazione a chilometro zero. Queste centomila aziende impiegano 600.000 dipendenti e generano un volume d’affari di circa 70 miliardi. Questa modalità di fare cloud le include, perché è un cloud distribuito, che può essere proposto da noi anche attraverso questa filiera di innovatori, e non rimane chiuso in una camera stagna da parte di un cloud provider. Potete immaginare che questo dà un impatto sull’ecosistema importantissimo, ne accelera i processi di innovazione. Tra l’altro, queste soluzioni vengono realizzate seguendo tutti i dettami dell’iniziativa europea Gaia-X, di cui siamo stati “day one member”, e della quale sposiamo in pieno tutte le raccomandazioni. Gaia-X parla di Cloud federato, di sovranità del dato, di infrastrutture aperte dove non necessariamente i dati devono essere spostati per essere lavorati.

Hpe solution framework per Gaia X. Gaia-X parla di Cloud federato, di sovranità del dato, di infrastrutture aperte dove non necessariamente i dati devono essere spostati per essere lavorati

D: Quando sarà pronto lo studio?

R: Faremo il lancio della ricerca il 2 dicembre, a Roma. Poi lo studio andrà avanti.

 

D: Perché dobbiamo usare nuovi paradigmi per la digitalizzazione delle aziende e del Paese? Le architetture attuali non potrebbero gestire questi processi? Che cosa è cambiato?

Il supercalcolatore Hpc4 di Eni. Hewlett Packard Enterprise ha potenziato il supercomputer HPC4 di Eni, utilizzato per accelerare la scoperta di nuove fonti di energia e altre attività strategiche per il colosso dell’energia guidato da Claudio Descalzi

R: Per rispondere parto da una considerazione più generale. Da qualche anno, siamo entrati tutti in un nuovo modello di società: la “data driven economy”, nella quale si estrae valore dai dati. Questo per il business vuol dire monetizzazione, mentre per l’amministrazione vuol dire dare servizi migliori, prevedere una serie di fenomeni eccetera. Sempre più aziende e organizzazioni capiscono che il dato non è più solo uno strumento, ma sta diventando un prodotto. Un altro grande cambiamento è l’uso di dati non strutturati, rispetto a quelli strutturati nei data base tradizionali. Grazie al machine learning/artificial intelligence, ma anche a tutti i software di big data e analytics, oggi si può estrarre molto valore dai dati non strutturati, che sono l’80% dei dati che stanno nei data center. Ora tutto questo sta accelerando, in tanti stanno capendo che c’è del valore, e in più stanno scoprendo che i dati vengono generati in modalità distribuita, non centralizzata.

 

D. In Italia si è sempre cercata la centralizzazione….

R. Finora si. E se andiamo a vedere i modelli portati dai grandi player del cloud, sono dei modelli centralizzati, dove occorre spostare i dati nel cloud centralizzato per poterli elaborare e valorizzare. Le previsioni dicono che l’85% dei dati nel prossimo futuro andrà elaborato in periferia, e al centro verranno mandati solo dei metadati. I modelli cloud decentralizati saranno quelli che permetteranno di ottenere maggiori benefici in quanto tengono in considerazione che i dati vengono generati in modalità distribuita. Al centro ci sarà sempre meno valore. È questo che ci ha stimolato a portare questo nuovo modello di cloud di nuova generazione, basato su everything as-a-service, che riguarda tutta l’infrastruttura. I clienti cercano nel cloud una soluzione per pagare ciò che usano, e non per fare il commitment per il picco del 100%. Quindi stanno cercando infrastrutture moderne, e le richiedono in modalità “as-a-service”. Noi di Hewlett Packard Enterprise siamo gli unici che possono portare questa novità.

Hpe Greenlake: peculiarità del sistema. Il nuovo supercomputer Hpc4 è usato da Eni in modalità “as-a-service”, tramite la piattaforma edge-to-cloud Hpe GreenLake. Diversamente da soluzioni cloud tradizionali il cloud Hpe permette di scegliere dove realizzare l’infrastruttura Ict, all’edge, nei data center del cliente o nei datacenter Hpe. Questo approccio è particolarmente adatto alle necessità delle strutture pubbliche e private, nel quale è imperativo per le aziende disporre di un’infrastruttura aperta, flessibile e innovativa per la raccolta, gestione e analisi dei dati. Dati che saranno sempre più il motore di tutto, e non solo a livello di business: occorre un profondo cambiamento organizzativo per le aziende, la pubblica amministrazione, in definitiva tutto il sistema Italia

D. Se andassimo a proporre a un Cio di cambiare completamente i suoi sistemi informativi, giustamente egli metterà le mani avanti. Come potrebbe svolgersi quindi il passaggio dal legacy al cloud, possibilmente senza interrompere le operazioni e i servizi?

Antonio Neri, ceo e presidente di Hpe

R. Noi abbiamo iniziato 20 anni fa a proporre server open source iniziando a ridurre la dipendenza da soluzioni legacy. Passare al cloud è sicuramente un ritorno a modelli legacy, se si decide di usare una piattaforma di un public cloud, perché sono piattaforme proprietarie, e parlano con gli altri nella misura in cui il gestore vorrà che si parli, con le modalità che deciderà lui. Quindi lo vedo come un potenziale pericolo, soprattutto per le amministrazioni. Il passaggio, in generale, è l’aspetto critico perché non si possono fermare i business e le amministrazioni nel momento in cui viene fatta la migrazione. La modalità Next Generation Cloud risolve anche questo aspetto. Noi lo avevamo iniziato a fare tantissimi anni fa, non per venderlo come cloud ma per aiutare i nostri clienti a migrare dai vecchi sistemi legacy a quelli aperti. Perché il cliente in quel periodo transitorio deve avere due infrastrutture, e nel frattempo continuare a fare business, ma senza doversi fare carico del doppio dei costi. Per questo abbiamo creato questa modalità “as-a-service”, che permette di sostenere i canoni effettivi solo per gli applicativi migrati sui nuovi sistemi

 

LA SECONDA PARTE DELLA CONVERSAZIONE VERRÅ PUBBLICATA NEI PROSSIMI GIORNI














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