Gruppo Fecs: un minibond per finanziare l’ innovazione. Metallurgica

di Laura Magna ♦ Lingotti d’alluminio e radiatori per il riscaldamento. Sono questi i core business del gruppo bergamasco, big del riciclo di materie prime metalliche che si è affidato a Banca Finint per un minibond da 8 milioni di euro. Serviranno a incrementare la  crescita a doppia cifra  del gruppo

Metallurgia innovativa. Sembra un ossimoro, invece è il core business del Gruppo Fecs, holding industriale operante nel distretto di Bergamo. Che nel proprio focus ha la produzione di lingotti di alluminio da rifiuti con tecnologie allo stato dell’ arte a elevata efficienza e con costi ridotti, oltre che la realizzazione di radiatori per riscaldamento. Gli obiettivi per il 2018 sono «portare a break-even l’industrializzazione della ricerca e i brevetti che abbiamo registrato, a incrementare le produzioni e/o insediarle in un altro Paese. Per realizzare questi obiettivi e continuare a crescere a doppia cifra come nell’ultimo triennio è necessario avere a disposizione liquidità; bisogna essere pronti a cogliere tutte le opportunità che possono manifestarsi in momenti come questi. Anche perché nel mondo attuale se non sei veloce perdi il business». A dirlo a Industria Italiana è Olivo Foglieni, patron del gruppo Fecs, holding industriale operante nella metallurgia nel distretto di Bergamo. Per finanziare la crescita annunciata, Foglieni ha di recente deciso di quotare su ExtraMot Pro un minibond da 8 milioni di euro con scadenza 2024, con il supporto di Banca Finint. Ne parleremo in dettaglio più avanti; per ora notiamo come degno di rilievo il fatto che un imprenditore che opera in uno dei settori più tradizionali dell’industria, la metallurgia, sia stato capace di innovare, sia nella fabbrica sia dal punto di vista della finanza.

Il Gruppo Fecs

Foglieni, che guida Fecs dal 1999 dopo aver effettuato un management buyout della Stemin, nella quale era entrato nel 1983 come operaio, è riuscito a trasformare questa azienda in una tra le realtà più importanti nel settore del recupero e reimpiego di materie prime metalliche, riciclando e riconvertendo ogni anno 170.000 tonnellate di rottami ferrosi e non ferrosi da rimettere sul mercato sotto forma di lingotti destinati a primari gruppi industriali. Ed è anche produttore di radiatori per riscaldamento domestico dalle altissime prestazioni tecniche e dal design innovativo. Il fatturato 2017 si è chiuso a circa 193 milioni di euro con un EBITDA margin superiore al 6% (pari a circa 12 milioni di Euro) e si mira a quota 200 milioni per il 2018.







Stemin è la società che recupera e tratta materiali non ferrosi derivanti dalla raccolta differenziata e industriale e rifornisce l’alluminio necessario per la produzione di lingotti e di commodity a tutto il gruppo. A latere la Radiatori 2000 progetta e produce radiatori per il riscaldamento: 7 milioni di pezzi all’anno solo con la materia prima fornita da Stemin. L’ ultima nata, a settembre 2016, è Fecs, senz’altro non l’ultima azienda nel portafoglio del gruppo per know how e tecnologia. Partita con un investimento di 10 milioni   ricava lingotti di alluminio dai trucioli che si perdono durante la rifilatura dei prodotti. «Parliamo di qualcosa come 30 mila tonnellate all’anno: grazie a un brevetto europeo e ad una tecnologia innovativa l’impatto ambientale viene ridotto del 90%. In pratica, partiamo dalla tornitura umida che viene centrifugata, essiccata con ossigeno controllato e immessa direttamente nel forno per la fusione e per diventare un lingotto», spiega Foglieni.

Nel 2002 alla galassia era stata aggiunta la IMT Italia per la commercializzazione dei semilavorati di alluminio. e nel 2007 era stato fondato, ancora, il brand Ridea, per realizzare radiatori di design, belli come opere d’arte e più volte premiati a livello internazionale. Nel 2015, ancora, era stata acquisita AI-Tech che a Porto Recanati opera nel settore dei radiatori in alluminio estruso, il che aveva consentito di completare la gamma dei radiatori per il riscaldamento domestico. IMT ITALIA e AS METAL producono lingotti in alluminio da fusione e raffinazione di rottami di alluminio precedentemente riqualificati mentre COALA produce semilavorati in alluminio da trucioli provenienti da scarti industriali grazie ad un innovativo impianto brevettato a livello Europeo. «Oggi abbiamo 8 stabilimenti, 7 in Italia, tra Bergamo, Porto Recanati e Roma e uno in Romania, a Bucarest. In ognuno di essi si svolge una parte della lavorazione: uno si occupa di raccolta e trattamento rottami, uno della fonderia, uno della pressofusione, uno del design e così via. La nostra filosofia aziendale è stata quella di dare vita a business unit con autonomia gestionale che fanno capo alla holding. In Romania produciamo lingotti di alluminio da rottami e siamo leader del mercato: siamo andati a Est non per cercare manodopera a buon mercato, né per delocalizzare – operazione che non è nei nostri progetti – ma per seguire i mercati automotive che migrano verso l’Europa dell’Est», spiega Foglieni.

 

All’interno dello stabilimento Radiatori 2000

Un processo industriale innovativo

L’innovazione che caratterizza il gruppo Fecs sta dunque nel processo industriale: «partendo dal rottame di alluminio, lo portiamo a materia prima e da lì lo trasformiamo in un prodotto di design. Ciò che muore viene rivitalizzato in un circolo continuo anche perché questo materiale si presta a essere utilizzato all’infinito: non a caso il 18% del mercato dell’alluminio recuperato in Italia passa attraverso i nostri stabilimenti. Per produrre una tonnellata di alluminio da bauxite, ci vogliono 20 mila kwh, per produrlo da un rifiuto invece sono necessari 500 kwh: la nostra metodologia ci consente dunque di ottenere un risparmio energetico del 95%. Una produzione annua di 170mila tonnellate equivale a non immettere in atmosfera un quantitativo di 200.000 tonnellate di CO2. »

«Un esempio di economia circolare perfetta», dice con orgoglio l’imprenditore che chiosa: «Siamo una tipica industria italiana e la nostra storia spiega come il nostro paese sia ancora tra le prime dieci nazioni al mondo manifatturiere senza avere energia e minerali, grazie ai nostri avi che sono stati sempre in grado di sopperire alle mancanze con la creatività. La differenza sostanziale la fanno gli italiani: non a caso siamo noti nel mondo perché se facciamo qualcosa lo facciamo bello e ben fatto». E poi conta anche la fortuna: «La scelta di specializzarci sull’alluminio, che ha caratteristiche di plasmabilità e versatilità ed è un metallo sempre più usato in alcune industrie, prima fra tutte l’automotive, è stata la nostra corretta visione strategica. Nel 2000 in un’auto in media si usavano 95 chili di alluminio, oggi 120 chili e nel 2020 le proiezioni lo indicano a 300 chili: questo rende le nostre prospettive molto rosee».

Una approccio finanziario innovativo

Ma il carattere innovativo di Foglieni non si è limitato ai processi industriali. «Il mondo finanziario e bancario ha avuto una trasformazione epocale. Per comprenderlo, per noi è stato necessario un adeguamento culturale e abbiamo cercato il supporto di enti finanziari che ci potessero accompagnare. Innanzitutto abbiamo compiuto il percorso automotive di Borsa italiana, che è stata una scuola fondamentale. Grazie a Elite abbiamo compreso le dinamiche per approcciarci al sistema finanziario; affianco a ciò, abbiamo ragionato con Banca Finint nella definizione di una nuova operazione finanziaria in linea con le nostre finalità, ovvero l’emissione di un minibond da 8 milioni di euro. Tale strumento consentirà al gruppo Fecs, pur operando in un settore maturo, di continuare la ricerca e l’innovazione che permetterà allo stesso di confrontarsi su mercati sempre più competitivi».

 

Brugnera
Simone Brugnera, Responsabile Area Minibond di Banca Finint

Il ruolo di Banca Finint

«Banca Finint ha agito in qualità di arranger e collocatore», precisa Simone Brugnera, Responsabile Area Minibond di Banca Finint. «Il Minibond è strutturato con un rendimento fisso annuale pari al 4,25%, una durata di più di 6 anni e mezzo ed una wal, ovvero una durata media, di circa 4 anni e mezzo. I titoli hanno un rimborso amortising a partire dal 30 giugno 2020: l’operazione ha ottenuto un importante interesse da parte del mercato con un total commitment raccolto dagli investitori superiore rispetto all’importo dell’emissione; il Minibond è stato sottoscritto da diversi investitori professionali caratterizzati da banche, confidi e fondazioni».

«Principalmente il finanziamento sosterrà l’incremento della capacità produttiva della nuova tecnologia brevettata e l’ampliamento della gamma prodotto dei radiatori. A tal proposito si segnala come a marzo è stato presentato in fiera il primo modello di radiatore elettrico andando così a coprire una nuova fetta di mercato. Obiettivo del gruppo è anche quello di rafforzare il presidio geografico a livello europeo», continua Brugnera. Ma questo minibond ha un valore che va al di là di Fecs: «Dimostra che vengono premiati gli imprenditori che hanno un’ottica lungimirante: emettendo oggi ottengono finanziamenti a quasi sette anni con i tassi attuali al minimo, proprio mentre Mario Draghi annuncia la fine del Qe. Questo vuol dire che le favorevoli condizioni del debito a fine anno scompariranno e avere oggi un titolo a questi rendimenti quotato su ExtraMot Pro è in prospettiva un grosso vantaggio competitivo. Oltre a dimostrare la volontà dell’azienda di essere strutturata e pronta per il mercato dei capitali».

Il mercato dei minibond

I minibond sono partiti nel 2012, in piena crisi di liquidità delle banche e con l’obiettivo di far convergere il risparmio previdenziale a medio/lungo termine verso la piccola e media impresa. Cinque anni dopo, il mercato resta ancora piccolo ma cresce a ritmo esponenziale (secondo l’Osservatorio sui minibond del Politecnico di Milano le operazioni fino a 50 milioni ammontano a 2,2 miliardi di euro, di cui Banca Finint ne ha seguite circa 600 milioni, un terzo del mercato). Si tratta di una via obbligata: «avere una proporzione del 20/30% dei finanziamenti alle imprese destinato al mercato dei capitali sarebbe un ottimo risultato per questo Paese, in cui comunque le banche avranno sempre un ruolo fondamentale come contribuzione alla crescita. Inimmaginabile al momento, anche psicologicamente, avere proporzioni invertite come in Usa e Uk dove il mercato bancario pesa solo per il 30/40%», spiega Brugnera che rileva qualche cambiamento culturale e molto selezionato nel mare magnum delle nostre Pmi.














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