Green da 1,6 miliardi per le industrie

Motore con filtri Gvs

di Laura Magna ♦ L’innovazione green contamina l’industria e vale almeno 1,6 miliardi di euro. Da Artemide a Sapio, da Gvs a Florim. Cresce l’economia reale che investe nel green.

Artemide, il produttore di lampade di design che a Pregnana Milanese dal 1959 sforna ogni anno oggetti che finisco nei più importanti musei internazionali di arte moderna. Florim, l’azienda ceramica di Sassuolo che ha introdotto in Italia il clinker trafilato e il gres porcellanato.







La monzese Sapio che da quasi cento anni produce gas tecnici per utilizzi industriali e medicali.

Il gruppo Gvs, nel bolognese, uno dei maggiori produttori al mondo di filtri e componenti per applicazioni principalmente a uso medicale e automobilistico. Le Cartiere Villa Lagarina, che nella provincia di Trento riciclano carta per dare vita a cartone ondulato che diventa packaging per l’industria alimentare.

Cosa hanno in comune queste industrie? Possono essere considerate tutte rappresentanti dell’economia green, che nel nostro Paese vale almeno 1,6 miliardi di euro,  e hanno bilanci solidi e modelli di business tali da poter essere potenzialmente quotabili in Borsa. A stabilirlo è VedoGreen, società di consulenza specializzata nella finanza per le aziende di questo settore. Secondo le sue analisi sono almeno venti – delle tremila che monitora nel più completo database disponibile – le imprese italiane con queste caratteristiche. Tali analisi, ovviamente, vanno lette tenendo sempre presente l’interesse della fonte, che vive di consulenze di questo tipo anche alle aziende che analizza. Ma ciò non le rende meno interessanti.

Alberto Dossi, presidente del Gruppo Sapio
Alberto Dossi, presidente del Gruppo Sapio

Le quotabili green

Si va da Acqualatina, che gestisce il ciclo idrico dei comuni del Lazio Meridionale; a Rondine e Refin ancora nel campo delle ceramiche; a Fiorentini Alimentari, Farnese Vini, Quality Food Group e Venchi, a vario titolo nell’alimentare. Nel settore dell’arredo quotabili sono il produttore di mobili Confalonieri e quello di lampade Disano Illuminazione; poi ci sono alcuni nomi della chimica: Fatro, che produce farmaci e vaccini veterinari; Zapi, nel mondo della chimica per l’agricoltura; Gnosis, che dà vita a componenti grezzi fermentati per applicazioni di nutricentrica, cosmetica e veterinaria; Olon, ancora nel pharma e Italmatch Chemicals, specializzata in additivi che migliorano le performance di lubrificanti e plastica. E industriali puri, come Lafert, che progetta, produce e fornisce motori elettrici e azionamenti customizzati per impianti di produzione.

Perché queste aziende rappresentano la green economy? Per comprenderlo, bisogna partire dal concetto stesso di green economy che sicuramente è una moda (che, a dirla tutta, negli ultimi mesi è talmente invocata dai media e dalle pubblicità da aver prodotto anche assuefazione e tedio) e un efficace strumento di marketing. Ma che, talvolta, può avere anche efficaci applicazioni produttive.   Allora, la green economy  viene definita come “un modello di sviluppo economico basato sulla produzione di beni, sull’offerta di servizi e sullo sviluppo di tecnologie realizzati in un’ottica di sostenibilità ambientale ed efficienza delle risorse”. Così si legge nel report 2016 Green economy on Capital Markets, realizzato da Vedogreen.

I dieci settori verdi

La green economy, secondo gli estensori della ricerca, non coinvolgerebbe solo settori favoriti delle politiche ambientali (energia da fonti rinnovabili, risparmio energetico, ciclo dei rifiuti), ma si configurerebbe come un paradigma trasversale a differenti settori produttivi, anche tradizionali. La tassonomia elaborata da VedoGreen ha identificato dieci settori, ognuno dei quali presenta significative potenzialità di crescita e trend tecnologici in forte evoluzione. Si va dall’agribusiness, all’ecobuilding, all’ecomobility, fino alla chimica verde, all’illuminazione a risparmio energetico, i servizi ambientali, la smart energy, il trattamento dei rifiuti e quello di acqua, rumori e aria, fino alla white biotech, la biotecnologia applicata all’agricoltura, all’industria e alla salute. Tutti settori destinati a crescere anche perché favoriti dall’impianto normativo globale e in cui l’Italia ha molto da dire.

Vetrina di Artemide
Vetrina di Artemide

Che cosa ha da dire l’Italia

Torniamo alle quotabili, per comprendere di quali eccellenze domestiche stiamo parlando. Artemide, sicuramente tra i nomi più noti, si colloca nel settore dell’illuminazione smart con le sue lampade di design – la più famose è Eclisse di Vico Magistretti. Tutta la filosofia dell’azienda sta nel suo slogan: The Human and Responsible Light e dunque si va ben oltre la bellezza come dimostrano i numerosi sono i brevetti di invenzione riconosciuti nel corso degli anni per le innovazioni tecnologiche, meccaniche ed optoelettroniche sviluppate (dieci sono stati depositati solo nel 2016). L’azienda tra l’altro è stata più volte tentata dalla Borsa ma non ha mai effettuato il passo perché le condizioni di mercato non lo hanno finora consentito.

Nell’ecobuilding spicca Florim, nata nel 1962 nel distretto di Sassuolo per portare in Italia la produzione del klinker trafilato, tecnologia tedesca allora all’avanguardia. Florim ha nel dna una propensione all’innovazione: negli anni Ottanta ha introdotto sul mercato il gres porcellanato e successivamente ha investito molto nel fare della piastrella un prodotto fashion, oltre a precorrere i tempi dei grandi formati, oggi preponderanti. Negli anni più recenti ha costruito due impianti che permettono all’azienda di ridurre i consumi di energia elettrica di circa il 68% – 70% del fabbisogno annuo e compila da otto anni il Bilancio di Sostenibilità Aziendale.

Sapio è la rappresentante della biotech applicata: nata a Monza nel 1922 come azienda produttrice di gas tecnici, fin alle origini affianca all’anima commerciale unisce una vocazione per la ricerca e l’innovazione, che porta allo sviluppo di gas, miscele speciali, tecnologie innovative e servizi integrati in ambito industriale; mentre per il mondo della sanità – pubblica e privata – produce gas medicinali e fornisce servizi di assistenza domiciliare integrata con Sapio Life. Presente anche nelle biotecnologie con la società Biorep, che offre servizi conto terzi per la crioconservazione di materiale biologico e la gestione di trials clinici.

Nel settore dei servizi ambientali troviamo il gruppo Gvs, con sede a Zola Pedrosa, in provincia di Bologna è uno dei maggiori produttori al mondo di filtri e componenti per applicazioni ad uso medicale, automobilistico, laboratorio, dispositivi di sicurezza, elettrodomestici e in ambito edile. Fondata nel 1979, sei anni dopo la produzione del primo filtro medicale, acquisisce Valplast, azienda operante nella filtrazione del settore Automotive. Brasile, Argentina, Romania, Usa, Cina, Corea, India, Russia, Regno Unito, Spagna, Giappone, Porto Rico: stabilimenti e nuove acquisizioni si sono susseguite negli ultimi quindici anni.

A Trento opera uno dei maggiori player europei nella produzione integrata verticalmente di carta, cartone, imballi e packaging. Nate nel 1973, le Cartiere Villa Lagarina contano oggi 22 aziende operative in 7 regioni italiane. L’intero ciclo produttivo parte all’interno delle piattaforme di raccolta del macero e nelle cartiere, dove attraverso il riciclo della carta e della fibra di cellulosa vengono prodotti milioni di metri quadri di carta ogni giorno. Le carte, che si differenziano in base alle grammature, ai colori e alle performance, vengono poi consegnate agli Ondulatori per essere trasformate in fogli di cartone ondulato, necessari per la realizzazione di varie tipologie di imballaggi sia per il settore Industriale che per il comparto del food.

Un motore con filtri Gvs
Un motore con filtri Gvs

 

Le norme europee che danno gas ai settori

Perché le aziende di questi settori sono destinate a crescere? Le ragioni addotte dagli autori della ricerca sarebbero essenzialmente di tipo normativo: una serie di regole cioè che ne promulgano lo sviluppo. Per esempio, l’evoluzione dell’agribusiness fa riferimento in termini normativi all’European Technology food for life “2013-2020 and beyond” che punta a favorire produzioni sostenibili e di qualità. L’Italia detiene la leadership nel settore alimentare nel mondo con un valore totale pari a 12 miliardi di euro equivalente al fatturato generato dal consumo sui mercati nazionale ed estero delle produzioni a denominazione di origine (Dop/Igp) che presentano elevati livelli di esportazione. In particolare il tasso di penetrazione dei prodotti Bio food nel mondo registra, per l’Italia, una percentuale del 54,5% nel 2013.

All’ecobuilding daranno gas le norme in materia di costruzione che prevedono che entro il 31 dicembre 2020 tutti gli edifici di nuova costruzione siano a “energia quasi zero”: ben il 76% degli immobili italiani è stato edificato negli anni antecedenti il 1976, quando sono state varate le prime norme per il contenimento del consumo energetico per usi termici negli edifici. E vanno in qualche modo adeguate. L’innovazione tecnologica nella ecomobility è orientata al soddisfacimento dei requisiti UE sulle emissioni (Horizon 2020) con l’introduzione di nuovi motori elettrici e dispositivi per la regolazione di potenza, e lo sviluppo di infrastrutture e componentistica più efficiente e leggera.

Parlare di chimica verde potrebbe sembrare ad alcuni un controsenso: ma la chimica verde altro non è che la ricerca e messa a punto di tecnologie per l’uso efficiente delle risorse. attività in cui l’Italia è all’avanguardia, oltre che nella chimica in generale il cui valore della produzione ammonta a 52,8 miliardi di euro nel 2012, terzo produttore europeo, dopo Germania e Francia, e il decimo a livello mondiale.

L’efficienza energetica è un’altro tema critico: l’illuminazione rappresenta il 19% del consumo di elettricità nel mondo e il 14% nella Ue: per raggiungere i target fissati dall’Ue deve aumentare la diffusione dell’illuminazione allo stato solido, con riferimento alle tecnologie LED e OLED, che sono ancora poco capillari, anche se un report McKinsey stima una crescita annua del 33% per i prossimi tre anni. Anche la smart energy, con  particolare riferimento ai sistemi di accumulo di energia che consentono una migliore integrazione delle fonti rinnovabili, intermittenti e non programmabili, nel sistema elettrico, aumenterà, secondo un recente rapporto di Navigant Research, da circa 590 milioni dollari nel 2013 a oltre 3,8 miliardi di dollari nel 2023.

E ancora gestione dei rifiuti per trasformarli in energia e ridurre da un lato l’impatto ambientale dello smaltimento e dall’altro la dipendenza del Paese dalle fonti fossili; la gestione dell’acqua che deve essere ottimizzata per ridurre la dispersione idrica che in Italia è quasi del 35%. Per non dire di Paesi come Israele, India, Cina che dovranno far fronte a tensioni crescenti fra domanda e offerta di acqua.

Green economy italiana da 1,6 miliardi

Quanto vale la green economy italiana? è ancora il report di VedoGreen a rilevarlo: vale 1,6 miliardi di euro (+14% rispetto al 2014), impiega più di 3.000 risorse e capitalizza 1,2 miliardi. Numeri piccoli, perché le imprese di cui parliamo hanno dimensioni medio piccole – come è tipico delle industrie italiane – ma elementi di eccellenza. Molte di queste realtà si sono quotate sul listino alternativo Aim per reperire risorse negli ultimi anni: le aziende green rappresentano il 23% del mercato in termini di società, il 20% in termini di raccolta totale (159 milioni di euro) e il 30% in termini di capitalizzazione (766 milioni di euro). “Abbiamo elaborato un indice – spiega a Industria Italiana Anna Lambiase, ad di VedoGreen – composto da 24 società quotate su Star e Aim Italia, rappresentative dei dieci settori green: l’indice registra fondamentali in crescita nel primo semestre 2016, con ricavi in media in incremento del 18%”. Tra il 2015 e il 2016 le Ipo green su Aim sono state cinque: S.M.R.E., Energica Motor Company, Zephyro, Masi Agricola ed Elettra Investimenti. La società green quotata ha ricavi medi di 68 milioni e margine ebitda del 18%. I settori più rappresentativi della Green Economy Italiana sono Smart Energy (che rappresenta il 67% in termini di società e fatturato e il 58% in termini di market cap) e Green Mobility (13% in termini di società e fatturato e il 10% in termini di capitalizzazione). Dall’analisi emerge un significativo trend di crescita in termini di ricavi, che registrano un incremento medio del 14% rispetto al 2014. Il 70% delle società green quotate ha evidenziato una crescita di ricavi nel 2015 con tassi di crescita superiori al 50% nel 26% dei casi. Sono 12 le società che distribuiscono dividendi nel 2016, con un dividend yield medio pari al 3,1%. Il 29% delle società ha un fatturato inferiore a 10 milioni di euro.

Lavoro alla Smre
Lavoro alla Smre

Nell’azionariato delle società del panel sono presenti 66 Investitori Istituzionali, di cui 21 italiani (pari al 32%) e 45 esteri (68%), che sono sempre un segnale di apprezzamento per le società che vengono acquistate. Gli azionisti detengono un investimento complessivo pari a 109 milioni di euro, che rappresenta il 9% della capitalizzazione complessiva del panel; gli italiani detengono un investimento pari a 53 milioni di euro (48% del totale), gli esteri un investimento pari a 56 milioni di euro (52%).

“Vogliamo proporre un concetto più ampio di “Made in Italy Green” – conclude Lambiase – da promuovere nei confronti degli investitori e da quotare in Borsa, basato sull’innovazione tecnologica in ottica sostenibile, presente anche all’interno di società attive nei settori più tradizionali del tessuto imprenditoriale italiano”.














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