Governo e Industry 4.0: dove sbaglia Calenda

Di Luca Beltrametti ♦  Le osservazioni all’intervista rilasciata da Calenda a Mario Sensini del Corriere della Sera : ci vogliono meno populismi e la riduzione del cuneo fiscale. Sí a reddito di inclusione e più welfare, ma con equità. Il rischio che l’iper ammortamento favorisca le aziende più forti.

Nel dibattito sul Piano Calenda, Industria Italiana ospita l’intervento del Professor Luca Beltrametti, Direttore del Dipartimento di Economia dell’ Università di Genova.

L’intervista rilasciata dal Ministro Calenda al Corriere della Sera   nei primi giorni dell’anno pone questioni molto rilevanti sia per la politica industriale sia per la politica economica e sociale in senso più ampio, e indica alcune prospettive che certamente meritano una discussione. L’intervista ha il grande merito di non parlare in “politichese” e di avviare con chiarezza un dibattito sul merito dei problemi e delle possibili soluzioni.







La premessa è che «non possiamo più tentare di esorcizzare la gravità della situazione con l’ottimismo, o nascondere la complessità dei problemi». Un’affermazione importante sotto un duplice profilo: riconosce implicitamente che nel recente passato così si è fatto, e riconosce che la situazione è grave e complessa. Nel merito, il Ministro sostanzialmente propone una politica attiva sia sul fronte industriale sia sul fronte sociale.

Carlo Calenda
Carlo Calenda

Sul fronte industriale

Il governo si propone di mettere in atto «un piano straordinario di rilancio economico che abbia al centro un massiccio piano di investimenti pubblici e privati». Si immagina, tra l’altro, l’applicazione anche a turismo e cultura di piani di supporto analoghi a quelli previsti con il piano “Industria 4.0” per le imprese che investono in innovazione.

L’iper-ammortamento: una misura che puo’ favorire solo i più forti

Quest’ultimo piano è certamente importante ed individua nell’iper-ammortamento la principale leva per stimolare gli investimenti in alcune tipologie di beni giudicati abilitanti rispetto alla fabbrica del futuro. Il rischio di questa impostazione è che si avvalgano di questa opportunità soprattutto le imprese più forti, profittevoli e con miglior accesso al credito. Il costo futuro per il bilancio pubblico in termini di minor gettito può essere significativo e la possibilità che si aiutino soggetti forti e poco nulla si faccia per quelli davvero in difficoltà appare concreto.Piano nazionale Industria 4.0

Un’estensione su scala più ampia di queste logiche di incentivazione fiscale meriterebbe una riflessione preliminare seria sulla loro efficacia, sui loro costi e sulle loro implicazioni distributive che non mi sembra ad oggi sia stata fatta. Pensare a nuove azioni di stimolo finanziate in deficit con un debito pubblico al 130% del PIL e con la prospettiva internazionale di tassi di interesse in crescita appare francamente pericoloso; fare tali politiche senza una ragionevole certezza circa la loro efficacia e circa la natura degli effetti distributivi ad esse associati le rende ancora più discutibili.

Ridurre il cuneo fiscale

Troppo poca attenzione viene ancora oggi dedicata a quella che ad avviso di molti è la via maestra per l’Italia: ridurre con tenacia la spesa pubblica aggredendo le sue parti più inutili ed inique e destinando sistematicamente tutto il ricavato a riduzione di tassazione sul lavoro e sull’impresa e a politiche di welfare che tutelino i soggetti più deboli. Troppo spesso si trascura una banale verità: ridurre il cuneo fiscale sul lavoro è una politica industriale, forse è la politica industriale per eccellenza.

Purtroppo non esistono oggi “tesoretti” da distribuire e giustamente il Ministro non ne fa menzione. Peraltro, molto infelice fu l’invenzione del termine nel 2007 ad opera del governo Prodi e molto dubbio l’uso che allora se ne fece: in larghissima misura per ri-elevare l’età pensionabile contrastando,in modo effimero, una tendenza demografica insostenibile.

Sul fronte delle politiche sociali

Il Ministro afferma che «oggi la priorità è vincere i populismi» e propone una  «vera politica di inclusione sociale per contrastare il populismo, anche prendendoci tutti gli spazi di bilancio che servono»… Certamente il Ministro conviene che le più pericolose derive populiste si sconfiggano con la crescita ed i posti di lavoro veri che alla crescita si accompagnano. In questo senso bene fa un Ministro dello Sviluppo Economico a pronunciarsi anche su temi di natura sociale: la crescita economica genera coesione sociale e quest’ultima è condizione per la crescita economica.

Euro, biglietti da 500
Euro, biglietti da 500
Fallito il tentativo di rispondere al populismo con il populismo

Mi sembra peraltro che i recenti fatti politici dimostrino – tra l’altro – che il tentativo del governo Renzi di rispondere al populismo con il populismo è fallito. Erogare €500 a tutti i diciottenni, ricchi e poveri, mi pare populismo; meglio sarebbe stato un rafforzamento delle politiche per il diritto allo studio di ragazze e ragazzi con famiglie disagiate o dare i denari alle scuole per affrontare la sfide del digitale.

Erogare “una quattordicesima” a tutte le pensioni inferiori a €1.000 a prescindere dall’indicatore di situazione economica del nucleo familiare (presenza di altri redditi e soprattutto presenza di patrimonio immobiliare e/o mobiliare) mi pare populismo; meglio sarebbe stato parlare – come giustamente fa il Ministro Calenda – di un’azione complessiva contro la povertà.

Parlare di «rottamazione di Equitalia» mi pare segnale populista in un paese con i livelli di evasione fiscale tra i più alti di Europa; meglio sarebbe stato parlare di eventuali interventi di riforma che limitassero gli eccessi e contrastassero gli abusi e l’arbitrio.

I veri terreni d’azione

Concretezza ed equità sono dunque il vero terreno sul quale si può sconfiggere il populismo; occorre pensare a politiche che costino poco (e siano quindi realistiche alla luce delle condizioni delle finanze pubbliche) ma siano massimamente attente ad un senso condiviso di giustizia. Per esempio, pochi sanno che l’Italia è l’unico paese europeo (insieme all’immancabile Grecia) ad avere un’indennità di accompagnamento per le persone disabili solo monetaria (circa €500 mensili) e soprattutto uguale per tutti, indipendente non solo dalla condizione economica della famiglia ma anche dalla gravità della disabilità.

Quale reddito di inclusione

La prospettiva indicata dal Ministro di un «reddito di inclusione» è interessante ma andrebbe declinata in una logica universalistica, di equità e di sostenibilità nel tempo: situazioni di uguale gravità devono ricevere risposte uguali a prescindere dal luogo di residenza, dalla condizione professionale e dal tempo nel quale si verificano. Sotto questa prospettiva mi preoccupa che il Ministro affermi che a tale reddito di inclusione «va accompagnata la definizione di aree di crisi sociale complessa, dove intervenire con strumenti straordinari, come si fa quando c’è una crisi industriale».

Temo infatti che questa affermazione possa preludere ad una visione non universalistica che insegue specifiche emergenze territoriali e in base alla quale troppe volte è successo che gli interessi – pur legittimi – di categorie ben rappresentate politicamente abbiano ricevuto sostegno pubblico mentre situazioni drammatiche ma disperse e non adeguatamente rappresentate siano state ignorate.

area-scolastica2_rendermasterplan
L’innovazione tecnologica in atto pone esigenze drammatiche di riqualificazione della forza lavoro
Usare il welfare con equità e parsimonia

Infine, ancora sul fronte delle politiche sociali, il Ministro manifesta la volontà di dare vita ad un «piano per il lavoro ed il welfare di domani per affrontare la sfida enorme della quarta rivoluzione industriale». Ciò è ben comprensibile considerando che l’innovazione tecnologica in atto pone esigenze drammatiche di riqualificazione della forza lavoro e di tutela per i soggetti più fragili che vengono espulsi dai processi produttivi.

Al di là di un “semplice” re-indirizzamento di programmi e risorse già esistenti, si pone tuttavia il problema arduo di trovare risorse per il welfare proprio in un momento nel quale le politiche di welfare godono di bassa popolarità a causa dell’uso iniquo dal punto di vista sia inter-generazionale sia intra-generazionale che di esse si è fatto negli ultimi decenni. La vera sfida dunque è dare un segnale credibile circa la volontà di usare il welfare con equità e parsimonia.














Articolo precedenteABB in India: più forte, più verde, più smart
Articolo successivoBianchi : caro Calenda, per Industry 4.0 devi puntare sulla ricerca






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui