Sapelli: il blocco del gas russo sarà una sciagura per il sistema industriale italiano

di Marco de' Francesco ♦︎ L’embargo incentiva le dinamiche rialziste dei costi di tutti gli altri beni energetici. Unito a irreperibilità delle materie prime e stagflazione può davvero sterminare la manifattura. Che non avrà il supporto del finanziamento bancario: dovrà affidarsi al private equity e rafforzare i rapporti con i fornitori locali. Intanto la Cina…

È una iattura per noi, un’arma controproducente e demenziale. L’embargo al gas e al petrolio russi è promosso e attuato da Joe Biden per gli Usa, approvato dal Regno Unito e proposto agli Stati membri dalla Commissione Europea – che proprio oggi ha definito un piano d’azione per diversificare gli approvvigionamenti e tagliare di due terzi l’import dalla Russia. Sempre oggi, il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani ha affermato che fra sei mesi più di metà dei 29 miliardi di metri cubi del gas russo saranno sostituiti entro la primavera inoltrata, e che fra 24-30 mesi l’Italia sarà indipendente dalla Russia. Secondo Giulio Sapelli, economista, storico e accademico torinese e anticonformista autentico, l’idea di sopperire a breve termine al metano di Mosca con altre fonti di energia non regge ad un semplice calcolo matematico; ed è falso sostenere che esistano a livello globale grosse quantità disponibili di idrocarburi. Insomma, ha ragione Xi Jinping: le sanzioni alla Russia per la guerra in Ucraina sono dannose per tutti. Soprattutto per noi. L’Italia rischia di imbarcarsi in un pasticcio grosso, capace di sterminare la manifattura.

L’ultima, improvvida, iniziativa dell’Occidente (non ancora ufficiale) serve a nascondere il fallimento della politica energetica dell’Unione Europea – anni di retorica green che hanno prodotto l’esplosione dei costi delle materie prime, poche perforazioni per reperire nuovi giacimenti e la sostanziale dipendenza da chi il gas e il petrolio li produce veramente. Le misure contro gli idrocarburi russi finiscono per incentivare le dinamiche rialziste dei costi di tutti gli altri beni energetici, che sono prezzati ad Amsterdam non sulla scorta delle quantità disponibili o del gioco fra domanda e offerta, ma della speculazione tipica del mercato spot dei future. Attualmente la posizione della manifattura italiana è critica. Irreperibilità delle materie prime, stagflazione, aumento dei prezzi dell’energia costituiscono una tempesta perfetta, destinata ad incrementare a dismisura i costi della produzione. Sperare nel conforto del finanziamento bancario è vano; e il private equity non è così diffuso, in Italia, per fare la differenza. Non resta che cercare di “fare tutto in casa”, contando su supply chain territoriali. Ma non sempre sarà possibile. L’embargo agli idrocarburi russi non può che peggiorare la situazione. Tutto questo secondo Sapelli, che abbiamo intervistato.    







           

D: Materie prime costose e introvabili, prezzi dell’energia alle stelle, inflazione. Sembra una congiuntura davvero sfavorevole per la manifattura italiana. Cosa deve attendersi, quest’ultima, per il futuro, anche a breve termine?

Giulio Sapelli, economista e accademico

R: Sarà una tragedia, perché le imprese devono attendersi un consistente aumento dei costi di produzione. E molte aziende non sono strutturate per sostenerne l’impatto – in un contesto in cui le banche non le aiuteranno.

 

D: Come si spiega il convergere di tanti fattori negativi nello stesso momento?

R: Anzitutto ci sono dei fattori strutturali, pre-esistenti alla guerra. Si pensi alla transizione green, e cioè alle politiche europee sull’energia e sui trasporti – che sono frutto della tecnocrazia di Strasburgo, sempre più lontana dalla realtà dell’industria. Un movimento guidato dall’alto, sulla scorta di una visione neoclassica dell’economia: il mondo a testa in giù. Che ha prodotto, correndo al passo serrato (e troppo in fretta) nell’invenzione di nuove necessità – batterie, pannelli solari e altro – la conseguenza di far esplodere i prezzi del Litio, del Cobalto, dello Stronzio e di terre rare molto importanti per l’industria in generale e per l’elettronica in particolare. Alla luce di questa ideologia, poi, l’industria energetica ha smesso di investire nelle ricerche minerarie, comprimendo l’offerta di idrocarburi. Infine, è arrivato il Covid-19, con la disarticolazione delle filiere e la difficoltà degli approvvigionamenti. I noli marittimi e i costi della catena logistica sono molto aumentati – e questo è parte del problema. I responsabili degli acquisti delle società energetiche europee avrebbero dovuto capire che centinaia di navi alla rada (cariche di idrocarburi) avrebbero creato colli di bottiglia. Avrebbero dovuto comprendere che il just in time che aveva regolato il loro mondo negli ultimi anni non avrebbe più funzionato e che bisognava fare scorte. E invece non lo hanno capito; o forse non lo hanno voluto intendere: ci sono aziende che assegnano stock option a chi fa operazioni verdi. Infine è arrivata la guerra.

 

D: Che conseguenza sta avendo la guerra sulla questione dell’energia?

Regione di Leningrado / Russia. Lavori di costruzione di un tunnel sotto il canale Saimaa per il gasdotto Nord Stream. Tubi con il logo di Gazprom, predisposti per il trascinamento e la posa

R: La guerra ha incrementato tutti questi problemi e ne ha evidenziato uno in particolare: la finanziarizzazione dell’energia.

 

D: Cosa intende con finanziarizzazione dell’energia?

R: Il prezzo della maggior parte dei beni energetici non si basa sulla quantità disponibili, o sul gioco fra domanda e offerta, come accadeva negli anni Novanta. Ora si stabilisce alla Borsa di Amsterdam, capitale di uno Stato (i Paesi Bassi) che sta chiudendo con rapidità un importante giacimento di gas di Groningen, per questioni sismiche e di subsidenza: si sospetta che il Paese stia sprofondando. Comunque sia, il prezzo lo si fa in base ai future, contratti con i quali ci si impegna ad acquistare una certa attività sottostante ad una scadenza e ad un prezzo prefissati. Insomma, prevale la speculazione. L’incendio dei prezzi del gas è stato innescato ad Amsterdam dopo la fine del lockdown; ora, i prezzi del gas non-russo sono destinati a salire, perché la speculazione si nutre di previsioni, e di scenari – e sotto questo profilo una guerra nel cuore dell’Europa è una grande occasione. Ieri i future sul gas di Amsterdam hanno segnato un nuovo record chiudendo a 227,2 euro al megawattora.

 

D: E i prezzi di quello russo?

Una vista delle torri e delle strutture di una stazione di pompaggio del gas nella tundra e di una grande centrale termoelettrica combinata. Industria ed energia nell’Artico. Chukotka, Russia

R: Va detto che i Russi hanno sempre rifiutato di fare prezzare il loro gas dal mercato spot dei future. Tuttavia, il presidente americano Biden sta facendo pressioni sui Paesi dell’Unione Europea perché le sanzioni riguardino anche le esportazioni russe di idrocarburi. La misura è nell’agenda dell’Occidente, e in particolare della Commissione Europea. L’Italia è al lavoro per ridurre in tempi rapidi la sua dipendenza dal gas russo. È follia assoluta. Una cosa pazzesca. Si dice: il 59% delle esportazioni russe dipendono dagli idrocarburi per cui, se le blocchiamo, cade il regime di Putin. Solo che cadiamo anche noi. Non c’è un modo per ovviare all’assenza del gas russo, in Italia. Non si riuscirebbe mai a riparare al danno, con le altre fonti; e gli Usa hanno già fatto sapere che non sono in grado di aumentare le loro esportazioni. Non c’è metano disponibile in giro per il mondo: quindi, dovremmo congelare l’industria. Peraltro, nella storia non è mai accaduto che le parti belligeranti abbiano chiuso i corridoi energetici: è una cosa che neppure la peggiore oligarchia russa riuscirebbe ad immaginare. E infatti, non lo ha fatto.

 

D: Eppure si dice la Russia potrebbe fermare le esportazioni di idrocarburi verso i Paesi “ostili” (Australia, tutti i 27 Paesi dell’Unione Europea, l’Islanda, il Canada, il Liechtenstein, Monaco, la Nuova Zelanda, la Norvegia, la Corea del Sud, San Marino, Singapore, gli Stati Uniti, Taiwan, l’Ucraina, il Montenegro e la Svizzera) tra i quali c’è anche l’Italia.

R: Retorica di guerra: la Russia non ha alcun interesse a fare una cosa del genere.

 

D: Si parla di stagflazione.

L’embargo al gas e al petrolio russi è promosso e attuato da Joe Biden per gli Usa, approvato dal Regno Unito e proposto agli Stati membri dalla Commissione Europea – che proprio oggi ha definito un piano d’azione per diversificare gli approvvigionamenti e tagliare di due terzi l’import dalla Russia

R: Il nostro, è il secolo della deflazione. Fino ad oggi, l’industria ha avuto margini bassi, profitti bassi, e i salari sono calati. Ora, in effetti, si assiste ad un aumento dell’inflazione dovuto al costo dell’energia, senza che ci sia un importante aumento dell’economia. Di norma, l’inflazione danneggia le imprese esportatrici, perché rende i prodotti nazionali meno competitivi sui mercati esteri. Ma in questo caso il problema è l’esplosione dei costi di produzione. A rimetterci, anzitutto le aziende energivore come le fonderie o le cartiere, ma poi tutta quella componentistica che ha bisogno di terre rare, tra cui quella che dovrebbe inverare il Green Deal. Ma in generale, a breve tutta la manifattura sarà nei guai. Non è una sorpresa. Ciò che accade è un folletto malvagio frutto della politica economica europea, funzionale agli interessi franco-tedeschi. Che però non saranno favoriti dalla congiuntura.  

 

D: Sarà favorita la Cina?

R: Veramente, anche la Cina è un po’ in difficoltà con le materie prime.  Per questo ne ha fatto incetta. D’altra parte, deve sostenere una crescita del mercato interno. È la nuova politica di Pechino. D’altra parte, l’ingresso della Cina nella Wto, la World Trade Organization, fu una catastrofe universale, anche perché Pechino non ha rispettato le regole che aveva sottoscritto. È anche vero che la Wto non si occupa di regolamentare il mercato interno; la cosa importante è che gli altri membri non siano discriminati. Così la Cina è ancora caratterizzata dalla presenza importante dello Stato nell’economia attraverso interventi diretti o tramite imprese di Stato. Non esiste un capitalismo cinese. Esiste un capitalismo Cino-Americano e Tedesco-Cinese in Cina. Ora, i Tedeschi senza la Cina non saprebbero come fare; d’altra parte, tutta l’Europa è stata costretta a tenere i prezzi bassi per esportare in Cina. Gli Usa alla Cina vorrebbero ridimensionare il gigante asiatico, e quasi 6mila aziende americane sono tornate in patria. Ma è troppo tardi. Non c’è modo per rimediare al peccato originale di aver fatto entrare Pechino nell’organizzazione per il commercio internazionale.       

 

D: Cosa si può fare per uscirne?

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea

R: Nel breve niente. A lungo termine, capovolgendo la politica economica europea, si potrebbe ottenere qualche risultato.

 

D: Cosa possono fare le imprese?

R: I margini di manovra delle aziende manifatturiere sono pari a zero, o quasi. Avranno bisogno di finanziamenti per sostenere i sovra-costi, ma di certo non li otterranno dalle banche. Avrebbero potuto contare, un tempo, sul credito cooperativo, ma com’è noto questo è stato profondamente alterato dalla riforma del 2016, che ha dato vita a gruppi bancari con compiti di direzione e coordinamento. È curioso come la borghesia abbia consentito allo smantellamento degli strumenti che avevano promosso la sua crescita e quella dell’impresa. Dunque, alle aziende non resta che affidarsi al Private Equity, che investe a medio-lungo termine in imprese non quotate ad alto potenziale di sviluppo e crescita. Ma non siamo mica in America. Da noi questa forma di finanziamento non è così diffusa, e non può riguardare la manifattura in generale. Dunque, alla maggior parte delle imprese non resterà che fare tutto in casa, ove possibile, rafforzando i rapporti con i fornitori locali.














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