Arriva il riassetto mondiale delle catene industriali di fornitura

di Marco Scotti ♦︎ Pensare un trasporto merci più efficiente e green. E rivedere la supply chain, diversificando le fonti di approvvigionamento per evitare che nel caso si blocchi un ingranaggio - come la Cina - l’intera filiera si ritrovi a corto di componenti. E il magazzino deve contenere scorte generiche da assemblare tramite additive manufacturing. Ne abbiamo parlato con Ermanno Rondi

«La logistica stava già vivendo una fase di profonda trasformazione anche prima dell’avvento del Coronavirus. Ma il Covid-19 ha fatto evolvere la situazione lungo quattro direttrici: il ruolo strategico della logistica in periodi di crisi, la produzione on demand, la rimodulazione della supply chain globale e l’effetto green».

Ermanno Rondi, fondatore e amministratore di Incas – oggi parte del gruppo tedesco Schaefer – racconta in un’intervista a Industria Italiana quali saranno le caratteristiche di un nuovo sistema di gestione delle merci che è stato immancabilmente sconvolto dalla pandemia. Ad esempio, mai come ora è attuale la necessità di avere una “second source” di magazzino per evitare che in futuro la creazione di zone rosse, come avvenuto tra il Veneto e il lodigiano, possa mettere in ginocchio la business continuity. O, ancora, il Covid-19 ha costretto l’intero comparto a misurarsi con nuove esigenze di e-commerce: perché scoperto che il sistema funziona, le famiglie, una volta che sarà terminata l’emergenza, vorranno continuare a fare acquisti come prima, quando ci si è accorti dell’efficacia e della puntualità delle consegne a domicilio. Inoltre, la logistica dovrà sempre più diventare green nel senso più ampio del termine. C’è da ripensare anche il magazzino del futuro, che dovrà essere veloce, ma non per questo a “zero scorte”, e che costringerà le aziende a pensare a quali sono i prodotti e i pezzi indispensabili e quali invece possono essere assemblati al momento o magari anche prodotti in real time con l’ausilio della stampa additiva.







«Bisognerà riprogettare l’intera filiera logistica – suggerisce Rondi – sia per motivi di sicurezza che per ottimizzare tutta la parte relativa al trasporto. Siamo stati ciechi di fronte ai segnali che già da tempo erano arrivati: Ebola e Sars, ad esempio, erano le prove generali di una pandemia. Eppure nessuno ha pensato a un piano di emergenza. L’effetto globalizzazione ci ha fato sentire così potenti e invincibili da non considerarlo, ma abbiamo scoperto essere dei giganti con piedi di argilla». Con una certezza: per tornare ad una parvenza di normalità, qualsiasi essa sia, dovremo aspettare almeno settembre o ottobre.

 

La logistica al tempo del Coronavirus i quattro tasselli

Ermanno Rondi, fondatore e amministratore di Incas – oggi parte del gruppo tedesco Schaefer

Il trasporto delle merci è stato impattato in maniera dirompente dall’attuale pandemia. In un modo “positivo”, nel senso che si sono moltiplicate le richieste di un servizio a domicilio che consegnasse beni di prima necessità e non solo. Ma anche in modo “negativo” perché ha paralizzato interi comparti economici che ora hanno fretta di riaprire tutto prima che sia troppo tardi e che lo stop imposto dal Coronavirius si tramuti in un definitivo fallimento.

«La logistica – ci spiega Rondi – è al centro di quattro macrofenomeni. Il primo è l’effetto pandemico, in cui il trasporto delle merci assume un ruolo strategico importantissimo. Possiamo chiudere molte attività, ma se blocchiamo la logistica abbiamo fermato definitivamente il Paese. Questa affermazione sembra molto banale, ma in realtà significa che, passato il periodo emergenziale, dovremo ripensare interamente la logistica, anche in un’ottica di “second source” che oggi manca totalmente».

Più di un’azienda, in effetti, si è trovata nella difficile prospetttiva di finire confinata all’interno di una zona rossa e di non poter ricevere, né inviare, alcun tipo di merce. È il caso di molte imprese dell’agroalimentare che sono state paralizzate dalla prima ondata di chiusure. Con un magazzino secondario a cui attingere il problema si attenua. Altro tema fondamentale è quello del ripensamento della catena distributiva, che non ha mai previsto un piano d’azione di fronte a catastrofi immani come quella portata dal Coronavirus.

 

E-commerce e produzione on demand

Acquisti e-commerce in Italia prima del Coronavirus. Fonte Osservatorio del Politecnico di Milano

Un altro aspetto sostanziale è quello dell’e-commerce, da leggere in una duplice ottica. Da una parte, come incremento esponenziale della domanda di consegne a domicilio; dall’altra, come possibilità di acquisto anche post-pandemia, quando le famiglie italiane torneranno a comportarsi in maniera più “normale”. Il che non significa, però che i pattern di acquisto e di comportamento saranno uguali a quelli pre-crisi. Alcuni atteggiamenti saranno sicuramente consolidati.

«Oggi – chiosa Rondi – abbiamo avuto un autentico boom che ha costretto, ad esempio Amazon, a limitare alcune aree di acquisti perché altrimenti non sarebbe riuscito a supportare le consegne. Mi aspetto che questo trend di acquisti on line si consolidi così come avviene per le videoconferenze che sono ormai diventate uno strumento quotidiano. Se, al termine della pandemia, dovremo comunicare, lo faremo molto più facilmente tramite web conference. Allo stesso modo avverrà con l’e-commerce: molte famiglie che avranno capito che è uno strumento che funziona continueranno ad avvalersi di questa modalità di acquisto».

Quello che appare evidente anche in questo specifico settore è che si è rotta un’abitudine per introdurne un’altra. Anche in questo caso, come avviene da tempo per la produzione, ci troviamo di fronte a un trend che si allontana sempre di più dalla standardizzazione fordista per avviarsi ad ampi passi all’on demand più spinto ed all’omnicanalità. Il mondo, che già stava cambiando, ha accelerato la sua trasformazione.

 

Ripensare la supply chain globale

Logistica 4.0. Fonte Osservatorio Contract Logistics “Gino Marchet”

Fino ad oggi la Cina è stata considerata come il “magazzino acquisti” per antonomasia per tutti quei prodotti a basso valore aggiunto ed alto volume in cui il fattore prezzo era ancora il tema predominante. «Ma quando è iniziata la pandemia in Oriente – ci spiega il fondatore di Incas – ci siamo accorti che alcune fabbriche nostrane si stavano fermando per mancanza di bulloni o altri pezzi dal peso specifico pressoché nullo. Quindi abbiamo fatto una scoperta: se tutto arriva dalla stessa parte, se quella parte si blocca abbiamo un bel problema. Da qui la necessità di ripensare completamente la supply chain secondo regole che erano già in voga 50 anni fa ma che per qualche motivo avevamo dimenticato: non bisogna dipendere da una sola area e da una sola fornitura, ma avere una gestione più “stellare”».

A fianco di prodotti a basso valore aggiunto concentrati in un’unica parte del mondo ci sono anche altri item, come le mascherine, strategicamente indispensabili, ma che avevano uno scarso appeal e che nessuno produceva più in Europa. Ora che servirebbero, quindi, ci ritroviamo senza questi oggetti che sarebbero preziosissimi: da qui la necessità di un ripensamento produttivo, che in caso di emergenza mondiale può diventare fondamentale. Con al centro, sempre, la logistica.

 

L’effetto green

Scania presente alla Green Logistics Expo, per ripensare la logistica in ottica green

Il quarto tassello della trasformazione in atto riguarda l’effetto green, che non deve essere declinato esclusivamente come riduzione dei consumi, ma anche come riorganizzazione della logistica in toto. «È stato ulteriormente esaltato il tema green – chiosa Rondi –che rimane un tema sullo sfondo durante la pandemia. Quello che mi aspetto, però, è che ci sarà una sensibilità aumentata per quanto concerne questa tematica. Impatterà in due modi sulla logistica: l’organizzazione e la reverse logistics. Quindi, da una parte ci troveremo a dover ripensare l’intero ciclo di vita del prodotto, che comprende anche la sua manutenzione e perfino il fine vita; dall’altro dovremo ripensare la logistica in un’ottica di ottimizzazione dei trasporti. In Europa stiamo iniziando a ripensare la gestione del package in un modo che sia riconoscibile in tutte le sue caratteristiche logistiche, non più soltanto come semplice consegna di un prodotto da un punto A a un punto B».

 

Il magazzino del futuro

Magazzino di Amazon

Un ripensamento della logistica, come auspicato da più parti, necessita per forza di cose di rivedere anche il ruolo del magazzino. Dopo un periodo in cui lean manufacturing, “credo Toyota” e altissima personalizzazione avevano fatto propendere per la riduzione quasi totale delle scorte, di fatto oggi la tendenza potrebbe nuovamente cambiare. «Non mi aspetto – aggiunge Rondi – che si ripresenti l’obiettivo di uno “zero giacenze”. Il magazzino sarà comunque molto veloce, ma ciò non vuol dire che dovrà avere in casa stock di ogni singolo pezzo. Bisognerà fare scorte ragionate. Il che significa che ogni azienda dovrà avere ben chiaro in testa quali sono le cose indispensabili per il business e averne una quantità sufficiente. Per il resto, in ossequio al lean manufacturing e al one piece flow, si utilizzeranno i componenti in magazzino come “base” per la realizzazione rapida di numerosi altri prodotti. In questo modo, in ottica smart factory, la stampante 3D fornirà il necessario per l’assemblaggio dei pezzi a disposizione e stampando i mancanti».

Altro tema fondamentale è quello della sostenibilità: bisognerà immaginare una logistica che prevede dei punti di raccolta e di riconsegna vicine alle aree abitative. Altrimenti, se tutti chiedessero la consegna a domicilio si rischierebbe di intasare completamente le città. Si passa quindi dal punto vendita a un punto di raccolta in cui si può far arrivare anche il singolo pezzo, senza che questo comporti la movimentazione sotto casa di merci e di vettori

 

Ripensare la logistica al termine dell’emergenza

I benefici della logistica 4.0. Logistica 4.0. Fonte Osservatorio Contract Logistics “Gino Marchet”

Quando il Coronavirus sarà consegnato definitivamente ai libri di storia come la più grave epidemia dai tempi della Spagnola, il mondo sarà davvero diverso. E lo sarà anche per quello che concerne la logistica e la sua modalità di gestione. L’esempio a cui guardare è quello della rete di dati, dove le informazioni vengono veicolate e istradate a seconda della modalità possibile in un determinato momento. «Un pacchetto dati – spiega Rondi – è riconoscibile perché ha un header e una coda che lo rendono univoco. Ora, proviamo a portare questo concetto dal virtuale al fisico, e otteniamo una totale standardizzazione dei processi di logistica. Nel momento il cui il pacco è riconoscibile in modo univoco, non è più importante chi lo trasporta, ma il fatto che venga immesso in un flusso controllato e gestito. Se fossi un trasportatore, sarei molto preoccupato: o mi creo una mia rete, o rischio di diventarne slave, di diventare un mero tassello a scarsissimo valore aggiunto di una piattaforma. Io penso che sia questa la direzione presa dalla logistica. Non succederà subito, ma è un modello che presenta tali e tanti vantaggi che vedo difficile che non si realizzi».

 

Riaprire tutto? No, ma…

L’impatto sui ricavi delle imprese italiane con Coronavirus. Fonte Cerved

Ora che la pandemia è diventata uno sgradevole, ma abituale ospite delle nostre vite, si fa sempre più cogente l’urgenza di immaginare un “dopo”, un momento in cui la riapertura delle fabbriche, delle attività commerciali, dei bar e dei ristoranti diventerà necessaria per impedire l’implosione dell’intero tessuto economico. Da questo punto di vista, come ha fatto notare l’Economist in una copertina di qualche giorno fa, a breve ci troveremo di fronte al più terribile dei dilemmi: meglio morire di malattia, con gli ospedali ingolfati e la gente che soccombe a causa del Coronavirus, o è preferibile morire di fame, al sicuro nelle nostre case, ma senza più la possibilità di lavorare? «È vero che dobbiamo convivere con la pandemia – conclude Rondi – ma stiamo arrivando a un punto in cui bisognerà capire il da farsi. Non tutte le aziende oggi chiuse riapriranno, ma più andiamo avanti e più il numero dei fallimenti crescerà. Per quanto mi riguarda, credo che tra fine aprile e inizio maggio dovremo iniziare a prevedere la riapertura di alcune attività anche commerciali, che non possono ricominciare con un semplice “giro di chiave”. Anche perché, restando al settore industriale, non potremo contare su workshop e fiere per un po’ e questo causerà un impatto economico significativo. Mi aspetto una riapertura graduale delle fabbriche dopo Pasqua seguita da un paio di mesi di assestamento. Il problema è che in quel periodo ci sarà nessuna o scarsissima voglia di fare investimenti, si cercherà fondamentalmente di sopravvivere. Per un ritorno alla normalità dovremo aspettare almeno settembre od ottobre».














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