Finint/Neip, quando la Finanza al servizio dell’industria produce rendimenti elevati

Capital Investment Invest Money Plant Investment

di Marco de’ Francesco ♦ Il fondo di private equity della società guidata da Enrico Marchi ha sempre investito in aziende industriali, ricavandone una remunerazione media annua elevatissima, fra il 10% e il 12%. Partecipazioni in Cvs Ferrari, Vimec, Abl,Forno D’Asolo, Panificio San Francesco e….

Ci sono imprese italiane di medie dimensioni, capaci di combinare la flessibilità produttiva delle piccole aziende e la proiezione su scala internazionale delle corporation globalizzate; imprese manifatturiere, molto specializzate, fortemente esportatrici, hanno saputo conquistare delle posizioni di vantaggio competitivo in settori di nicchia grazie all’alta densità di ricerca e sviluppo e all’offerta profilata sulle richieste dei singoli consumatori.







Sono, in genere, di proprietà famigliare. Mediobanca ne ha contate 3.600 (su 400mila imprese manifatturiere e 8mila di medie dimensioni); il giornalista Giuseppe Turani le ha battezzate Quarto Capitalismo e poi Mediobanca stessa, e tutti coloro che si occupano di economia, hanno utilizzato quel nome. Comunque sia, sono quelle più promettenti in quanto a trasformazione in grandi imprese, o comunque in crescita. Vanno pertanto aiutate a migliorare e a incrementare conoscenze e valore aggiunto. L’aiuto deve essere finanziario, ma anche in termini di know-how e network relazionale. In certi casi, insomma, basta iniettare la giusta dose di liquidità e competenze in queste aziende, e loro possono volare alto in termini di performance.  Peraltro, si tratta di investimenti che possono rivelarsi assai convenienti. Queste affermazioni sono dimostrate dalla case history dei fondi Neip, gestiti da Finint & Partners. Come vedremo, Neip II e III (e fra poco Neip IV) hanno investito in aziende industriali di questo genere, e ne hanno ricavato una remunerazione del capitale estremamente interessante.

Headquarters di Finint a Conegliano (Treviso)

Finint & Partners

«Stiamo lavorando a Neip IV – afferma Domenico Tonussi, Managing Director di Finint & Partners -. Posso dire che avrà un commitment più elevato dei fondi precedenti, pari a circa 120 milioni. Il fatto è che esigenze regolamentari e questioni di compliance comportano un certo incremento dei costi e quindi nella dimensione dei fondi. L’obiettivo è di generare un rendimento annuo, per gli investitori, del 10 – 12%, in linea con il track record del team».

Finint

Ma di cosa stiamo parlando? Anzitutto, uno sguardo ai protagonisti. Finanziaria Internazionale (Finint), fondata nel 1980 da Enrico Marchi ed Andrea de Vido, occupa 750 persone. Nel 2014 Finint ha rafforzato le proprie strategie di sviluppo del business nei settori dell’investment banking & asset management con la nascita di Banca Finint. Nel 2016 si è costituito in via ufficiale il Gruppo Banca Finanziaria Internazionale con Banca Finint nel ruolo di capogruppo. Il Gruppo opera con sede a Conegliano (Treviso) e uffici a Milano, Roma, Trento e Mosca, impiegando circa 300 persone nelle aree di attività del private banking, del corporate finance, del private equity, della securitisation, della finanza strutturata e di altro.

Enrico Marchi
Enrico Marchi, fondatore di Finint e presidente di Banca Finint
Neip

Finint & Partners fa capo al gruppo Banca Finanziaria Internazionale ed al management. È un team dedicato dal 2001 all’organizzazione di investimenti attraverso operazioni di private equity; nel 2001 prese avvio anche la prima iniziativa, cioè Neip (“Nord Est Investment Partners”): con un commitment di 36 milioni e dedicata alle PMI del Nord Est, la società ha portato a termine 5 operazioni contribuendo allo sviluppo del fatturato delle aziende in portafoglio, con un tasso medio annuo di crescita pari al 26%. Neip è terminata nel 2008 e ha prodotto un rendimento del 17% all’anno per gli investitori.

Neip II

Nel 2007 è stata lanciata Neip II che, con un commitment di 62 milioni, ha realizzato 3 investimenti, di cui 2 ceduti, dedicata agli asset regolati. Nel 2012 è stata avviata Neip III che, con un commitment di 75 milioni, ha acquisito 7 partecipazioni effettuando 2 disinvestimenti. E ora si tratta di dar vita alla quarta iniziativa. «Sempre secondo lo stesso schema – continua Tonussi – e cioè quello di investire in aziende della nicchia qualitativa del manifatturiero Made in Italy».

tonussi_domenico
Domenico Tonussi, Managing Director di Finint & Partners

Neip III punta sul manifatturiero

Per capire come funziona il meccanismo, è opportuno analizzare Neip III, iniziativa ancora in corso. I suoi investimenti hanno a che fare con isolanti monolitici, macchine per la movimentazione di container, motori elettrici e prodotti di pasticceria surgelati. Neip III punta sul manifatturiero. Promuove la produzione industriale e la digitalizzazione dei processi: solo un’azienda competitiva è appetibile, e oggi la concorrenzialità passa attraverso investimenti legati all’ Industry 4.0. Infine, aiuta a dirimere delicate questioni di ricambio generazionale e manageriale.

La carta d’identità delle aziende target

Neip III Rileva quote di società target, PMI per lo più nordestine con fatturato tra i 10 e i 100 milioni di euro, per promuovere appositi piani di sviluppo ed investimento e rivendere nel medio periodo una volta che gli investimenti effettuati hanno dato i loro frutti con una conseguente valutazione più elevata rispetto al momento dell’ingresso.Va precisato che hanno contribuito al commitment di Neip III Finint, Fondi di fondi, Fondazioni, casse previdenziali e banche e infine imprenditori e family office.

Ma quando è il momento di investire? «Contrariamente a quanto si sente spesso affermare – chiarisce Tonussi – il numero di operazioni sul mercato è crescente quando le aziende sono in terreno positivo. Infatti l’imprenditore dell’azienda target è più ricettivo alle nostre iniziative quando le cose vanno bene, sia per la valutazione dell’azienda sia per progetti di espansione». Quanto all’azienda target, è ben inserita all’interno di nicchie del mercato globale e fa parte della categoria del Quarto Capitalismo.

«Si tratta – afferma Tonussi – di una PMI italiana qualitativamente protagonista nel proprio settore, un modello riconosciuto a livello internazionale per flessibilità, competenza e talento. È un interprete del Made in Italy, che però di rado può competere, per volumi produttivi, con analoghe realtà americane e tedesche. Deve rafforzare la propria struttura organizzativa e ha bisogno di risorse.

Comunque sia, la selezione viene effettuata in rapporto ad un insieme di caratteristiche: l’elevata reputazione dell’imprenditore e del management; un piano industriale caratterizzato da un buon tasso di sviluppo; il possesso di marchi, brevetti, eccellenze tecnologiche e capacità di innovare; l’orientamento verso processi di consolidamento (aggregazioni, integrazione verticale e orizzontale) e infine un contesto favorevole, quanto all’introduzione di regole di corporate governance. I singoli investimenti sono pari a 8/10 milioni».

CVS Ferrari
Macchinario CVS Ferrari in opera

Casi esemplari: CVS Ferrari

Neip III non si occupa di start-up, turnaround (piani di risanamento e di ristrutturazione profonda di una azienda in crisi, ndr), società immobiliari e finanziarie. Come si diceva, gli investimenti sono stati realizzati in un contesto manifatturiero. «Per esempio – continua Tonussi – CVS Ferrari (Rovereto di Cadeo, Piacenza). La società è attiva nel settore del mobile container handling equipment, produce cioè macchinari per la movimentazione di container all’interno di porti o di terminal intermodali. L’abbiamo acquisita a fine 2016 insieme al partner industriale BP Handling Technologies Srl (di Sorbolo, Parma, appartenente al Gruppo Battioni Pagani) rilevandola dalla americana Manitex International Inc., società quotata al Nasdaq.

In questo caso si punta all’aggregazione di due realtà industriali fino ad oggi legate da rapporti cliente/fornitore, a mettere insieme le competenze commerciali di CVS e la tecnologia di BP Handling Technologies, azienda storica del settore carrelli elevatori laterali e multi direzionali. A ben vedere, CVS Ferrari rappresenta un nostro tipico investimento: un’azienda che da una parte vanta l’eccellenza tecnica di prodotto e di servizio, e dall’altra opera in un mercato in tendenziale crescita e con una marcata vocazione all’export.»

Prodotto vimec
Prodotto Vimec
Vimec

E poi Vimec (di Luzzara, Reggio Emilia) leader italiano e player globale nella progettazione e realizzazione di sistemi per la mobilità e l’accessibilità: servoscale, montascale ed elevatori per lo più dedicati al superamento di barriere architettoniche di edifici pubblici e privati. Si tratta di fornire risorse finanziarie e manageriali. L’azienda ha filiali dirette in Spagna, Francia, Gran Bretagna e Polonia, e dispone di una rete di oltre 300 distributori in 60 paesi, dall’America Latina all’Est Europa, dalla Russia e dalla Germania alla Cina, al Sud Africa, all’Australia e alla Nuova Zelanda. Due anni fa il giro d’affari era di circa 50 milioni, con una quota export del 60%. L’acquisto è stato perfezionato nell’aprile 2015, insieme alla società di private equity IGI SGR.

detorsolatrice
Una realizzazione ABL: detorsolatrice rotante per peperoni
ABL

Nello stesso periodo abbiamo acquisito il 44,25% di ABL Srl   (di Cavezzo, Modena)- continua Tonussi- primo produttore europeo di macchinari per la lavorazione della frutta fresca, un mercato in crescita a livello mondiale per i maggiori consumi di frutta, soprattutto quella fresca e tagliata. Per intendersi, la società realizza prodotti assai specifici, come le pelatrici e detorsolatrici automatiche per mele, pere, ananas e kiwi. Di fatto l’azienda (40 dipendenti) esporta il 100% della sua produzione, con ricavi di circa 12 milioni di euro. Il resto del capitale e la gestione della società è rimasto in capo agli azionisti storici, la famiglia Ascari.»

Forno d'Asolo
Forno d’Asolo: una rete logistica di oltre 20 piattaforme distributive e 150 mezzi
Forno D’Asolo Spa

«In portafoglio anche Forno D’Asolo Spa, società attiva prevalentemente nella produzione e distribuzione di prodotti di pasticceria surgelati, con sede a Maser, Treviso. L’investimento è del febbraio del 2014 e vede 21 Investimenti come il socio che ha acquisito il controllo della società. Ai tempi dell’operazione, l’azienda risultava, con 70 milioni di ricavi, seconda per quota di mercato dietro Findus ed è davanti a nomi noti come Nestlè-Buitoni, Sammontana-Tre Marie, e altre.»

Prodotti del Panificio San Francesco
Prodotti del Panificio San Francesco
Panificio San Francesco

«Fra gli investimenti più recenti (giugno 2016) e più promettenti,- sottolinea Tonussi – quello del Panificio San Francesco, di cui abbiamo acquisito il 75% del pacchetto. Al tempo avevo spiegato che la motivazione dell’operazione andava ricercata nella la straordinaria capacità dell’azienda di Codevilla (Pavia) di servire in modo efficiente e flessibile la grande distribuzione organizzata, sempre più esigente. Con 50 dipendenti e un volume d’affari di 19 milioni di euro, il Panificio è tra gli operatori di riferimento in Italia nel settore del pane surgelato precotto. La nostra intenzione è quella di espandere, anzi duplicare, la capacità produttiva dell’azienda. L’obiettivo è quello di investire dagli 8 ai 9 milioni di euro in una seconda linea produttiva, che consentirà un considerevole aumento di fatturato. Sarà operativa verso la metà del prossimo anno. Alla luce di questo investimento ipotizzo che il Panificio resterà nel nostro portafoglio per qualche anno ».

Facilitare il ricambio generazionale

Peraltro, l’ingresso di Neip III in diverse delle aziende citate è volto a facilitare un percorso di ricambio generazionale (nodo caratteristico del Quarto Capitalismo, peraltro, che va affrontato con obiettività e decisione), di rafforzamento organizzativo e/o a supportare, ad esempio nel caso del Panificio, il management in una nuova fase di crescita industriale. «È accaduto – chiarisce Tonussi – che i soci del Panificio (prima del nostro acquisto) fossero portatori di idee strategiche diverse sulla gestione dell’azienda. In queste circostanze, la sostituzione di alcuni soci (c.d. replacement ) è spesso una soluzione razionale, dirimendo conflitti che potrebbero incidere negativamente sull’andamento dell’azienda. Va detto che la questione del ricambio generazionale è una delle tre ragioni della nostra attività, insieme all’aumento della capacità produttiva e al contributo in termini di risorse finanziarie/manageriali».

È ormai fuori dal portafoglio, a seguito di cessione, Lafert Spa, di San Donà di Piave (Venezia). «Nel 2013 – continua Tonussi – avevamo acquisito una quota del 12,5%, rivenduta due anni dopo alle famiglie Trevisiol, Schiavinato e Novello, azionisti storici della società. Lafert, uno dei maggiori player europei nella produzione e commercializzazione di motori elettrici e servomotori per l’impiego industriale, era passata da 110 a 130 milioni di fatturato consolidato, raggiungendo gli obiettivi in anticipo». Stessa sorte per Nuova Giungas, società di Formigine (Modena) leader a livello mondiale nella nicchia dei giunti isolanti monolitici applicati alle pipelines nel settore dell’Oil&Gas. «Lì la nostra quota, acquisita nel luglio del 2013 – chiarisce Tonussi – era pari al 25%. L’abbiamo rivenduta al gruppo Valvitalia nel novembre del 2016».

Il processo di investimento: a regime in tempi brevi

Il contributo di Finint & Partners è nello sviluppo (con capitali, network di relazioni e supporto negoziale e valutativo dei progetti) nella strategia (con apporto di competenze e nella definizione delle modalità di implemento più tempestive) e nella gestione (con lo sviluppo di un approccio manageriale, con la presenza in Cda e il supporto continuativo, con il potenziamento delle attività di controllo, con la stabilizzazione della governante e l’ottimizzazione dei processi aziendali).
Il processo di investimento dura in genere dai tre ai cinque mesi. Ma non è poco?

«Le esigenze di mercato sono queste – afferma Tonussi -, e noi ci dobbiamo adeguare a questi standard, per così dire. Il fatto è che il procedimento deve trovare una soluzione nell’arco di mesi, non di anni. Così, anche la fase di valutazione, che porta alla manifestazione di interesse, dura sei settimane, come d’altra parte la due diligence (attività di investigazione e di approfondimento di dati e di informazioni relative all’oggetto di una trattativa; ndr). Così, benché il nostro team sia numericamente ristretto (ne fanno parte anche il partner Nicola Bordignon, gli investment executive Piergiorgio Fantin e Daniele Mondi, l’investment analyst Giovanni Vettore e l’addetta all’amministrazione Maria Teresa Sonego; ndr), questi sono i ritmi che dobbiamo tenere; ovviamente ci avvaliamo di esperti di settore nella parte di due diligence».

Tenere conto della rivoluzione industriale in atto

Ci sono dei fattori economici che sembrano favorire iniziative del tipo di Neip III. Il fatto è che a fronte di una dilatazione dei periodi medi di investimento di private equity (4-6 anni), la durata dei cicli economici si è assai ridotta (2-3 anni). «In effetti, queste due tendenze operanti in opposte direzioni rendono il supporto di investitori di private equity più attraente agli occhi degli imprenditori; e ciò, un po’ perché temono il riacutizzarsi di contingenze sfavorevoli, e un po’ perché in questo contesto il nostro genere di apporto (risorse, strategia, gestione) diventa un fattore di successo riducendo il rischio complessivo a carico dell’azienda e/o dell’imprenditore».

Anche chi acquista partecipazioni per rivenderle, deve tener conto della rivoluzione industriale in atto. «La digitalizzazione della produzione va portata avanti con forza – termina Tonussi – perché è ormai una necessità ineludibile. D’altra parte, senza un assetto manageriale avanzato e senza progressi in termini di Industry 4.0, non sarà così facile né conveniente alienare le quote. Pertanto, noi abbiamo in programma, per esempio, un piano di progettazione in 3D, modellazione tridimensionale che richiede l’utilizzo di software particolari. Del resto, si va verso la fabbrica intelligente. È un percorso che tutti devono intraprendere».

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                                                     Private Equity e Venture Capital in Italia

Quanto a private equity e venture capital, nel corso del 2015, secondo l’ultimo studio in materia dell’AIFI (Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt) «le risorse complessivamente raccolte dagli operatori presenti in Italia sono risultate pari a 2.833 milioni di euro, in crescita del 92% rispetto ai 1.477 milioni dell’anno precedente. Il reperimento di capitali sul mercato finanziario italiano e internazionale da parte di operatori indipendenti, in particolare, è passato da 1.348 milioni nel 2014 a 2.487 milioni, facendo registrare un incremento dell’85% rispetto all’anno precedente (con un peso dell’88% sulla raccolta totale)». Al 31 dicembre 2015 il commitment disponibile per investimenti era pari a 9,3 miliardi (una volta esclusi gli operatori internazionali e i captive – quelli non indipendenti, posseduti per una quota di maggioranza da un’istituzione finanziaria o industriale, che definisce le linee strategiche e operative).

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