Fiducioso e pronto a reinventare business e dipendenti: ecco il manager 4.0

per settore

di Chiara Volonté ♦︎ La “Global Ceo Outlook 2019” di Kpmg fotografa executive positivi sia per gli sviluppi dell’economia nei prossimi tre anni, sia per la crescita delle aziende che controllano. Nonostante climate change e guerra dei dazi. Tutti riconoscono che la trasformazione digitale è ormai una necessità non più procrastinabile, ma non sono in tanti ad avere avviato programmi organici che riguardino le tecnologie e le persone

Cambiare il modello di business: è questa la sfida che devono affrontare e vincere, oggi, gli amministratori delegati, o il rischio di affossare la propria azienda è più alto che mai. A causa dello scenario geopolitico ed economico complesso e incerto, tra rischi connessi al climate change, innovazione tecnologica carente, protezionismo e guerra dei dazi, è necessario uscire dalla propria comfort zone, con un atteggiamento nuovo che definisca modelli originali di partnership, strategie alternative di M&A e riqualificazione delle competenze del personale. Secondo la ricerca “Global CEO Outlook 2019” di Kpmg, condotta su 1.300 ad di 11 tra le principali economie a livello globale – tra cui l’Italia – la parola chiave per crescere è reinventarsi.







E la trasformazione è proprio il leit motiv di questa quarta rivoluzione industriale, che non solo sta mettendo alla prova le aziende, che devono stare al passo con i cambiamenti tecnologici, ma ha causato un forte dinamismo dei mercati. Dunque, per questi motivi, i modelli di business che durano da decenni sono ora più che mai obsoleti, e le grandi società devono affrontare non solo l’avvento della digitalizzazione, ma anche i propri competitor tradizionali che si sono avvantaggiati dal punto di vista tecnologico, tramite l’automatizzazione delle proprie sedi e il reskilling dei collaboratori.

Le principali minacce alla crescita aziendale

«I ceo stanno scrivendo un nuovo capitolo organizzativo di resilienza, che si concentra sull’agilità e sulla crescita – afferma Mark A. Goodburn, global head of advisory, Kpmg International – Devono essere pronti a scardinare la cultura aziendale che ha plasmato le industrie per molti anni, riorganizzarle e cercare di capire come essere produttivi».

E le parole di Goodburn riflettono il pensiero comune: infatti, per il 71% dei ceo intervistati il futuro delle società che guidano dipende dalla capacità di mettere in discussione l’esistente, sfidando i valori su cui spesso si è fondato il successo di un’organizzazione, scardinando qualsiasi norma aziendale. E non basta: per costruire un’impresa resiliente, gli ad devono mettere le loro organizzazioni sotto pressione, cambiare e adattarsi continuamente, devono creare e sostenere una cultura dell’innovazione, promuovere l’agilità aziendale creando un modello operativo snello, orientato al cliente. «Nell’era digitale, non puoi stare fermo – ha commentato Hitoshi Akimoto, chief digital officer, Kpmg Giappone – Se vuoi avere successo devi rompere col passato».

Percentuale dei ceo, per settore, che ritiene che la propria azienda stia cambiando in maniera attiva il comparto in cui agisce

In quest’epoca dominata dall’incertezza geopolitica e dai cambiamenti portati dall’Industria 4.0, le imprese, per prosperare, devono rendere l’innovazione parte attiva del proprio progetto aziendale. Se non seguiranno questo mantra, non riusciranno ad adattarsi rapidamente alle trasformazioni disruptive causate dalle nuove tecnologie, e non potranno stare al passo con le richieste dei clienti, né comprenderle. E proprio l’innovazione ha portato alla ribalta il fail-fast, vale a dire apprendere rapidamente dai fallimenti.

Quasi la totalità degli ad (84%) ha detto di aver autorizzato i propri collaboratori a servirsi delle nuove tecnologie, senza preoccuparsi delle possibili conseguenze negative; di fatto però, solo il 56% afferma che questo tipo di cultura è realmente presente nella propria società.

«Fail-fast in realtà si traduce come apprendimento veloce, che è un elemento necessario del processo di innovazione iterativo – sostiene Fiona Grandi, national managing partner di innovation & enterprise solutions, Kpmg Usa – Piuttosto che concludere che l’obiettivo dell’innovazione era sbagliato, si deve capire come raggiungerlo, attraverso lo studio di indicatori come un settore in cambiamento o marker economici. Per comprendere questi segnali, si devono considerare tutti gli input generati dall’intero ecosistema: possibili partnership, clienti, consorzi industriali e persino competitor. Inoltre, si dovrebbero studiare le ricerche e analizzare i dati della propria azienda».

Creare una cultura dell’innovazione in cui i dipendenti si sentano autorizzati a creare nuove idee e testare progetti è sicuramente impegnativo da sostenere, ma uno dei compiti dell’amministratore delegato è proprio quello di rendere la new technology parte integrante del tessuto dell’azienda a tutti i livelli, perché le realtà che hanno successo stanno promuovendo una strategia dell’innovazione che coinvolge tutte le divisioni e tutti i lavoratori.

Quanto conta la cultura del fallimento?

Allo stesso tempo, le esigenze dei clienti stanno cambiando rapidamente, conseguentemente le aziende devono focalizzarsi proprio sugli acquirenti, per offrire loro un prodotto o un’esperienza altamente customizzata, su misura. E questo sarà possibile solo se le imprese sapranno agire con velocità: infatti, oltre i due terzi (67%, ben otto punti percentuali in più rispetto ai dati dello scorso anno) degli ad intervistati sono convinti che muoversi con agilità ed esaudire repentinamente i desideri dei buyer sia la “nuova valuta” del business. Avere una mentalità smart è semplice, ma richiede un ripensamento profondo del modello operativo dell’azienda: ciò avviene combinando tecnologie avanzate, come il cloud, con la riprogettazione operativa, per creare un’impresa connessa.

Prospettive

Il contesto economico e geopolitico mondiale, caratterizzato non solo dalla trade war che sta creando non pochi problemi all’export, ma anche da politiche per le imprese – anche e soprattutto nel nostro Paese – poco incentivanti e convincenti e da una quarta rivoluzione industriale che sta trasformando il mondo del lavoro a gran velocità, ha diviso i ceo stranieri da quelli italiani. Infatti, per il campione globale (24%) è il cambiamento climatico la principale minaccia per la crescita aziendale, anche perché richiede l’elaborazione di nuovi modelli di risk management in grado di intercettare le discontinuità regolamentari e legislative legate alla tutela dell’ambiente; seguono i rischi relativi all’innovazione tecnologica dirompente e al riemergere dei territorialismi. Per i nostri amministratori delegati, invece, sono i nazionalismi e il protezionismo le principali minacce allo sviluppo: il 45% di essi è molto più preoccupato dall’emergere di partiti con politiche protezionistiche che possono determinare un ambiente poco favorevole al business.

Nel dettaglio, meno della metà degli ad intervistati in Australia (38%), Regno Unito (43%), Francia (44%) e Cina (48%) ha fiducia nell’economia globale, mentre negli Stati Uniti lo scenario cambia radicalmente, con ben l’87% dei ceo che si dichiara ottimista.

«Gli amministratori delegati sono preoccupati a causa di un potenziale rallentamento dell’economia globale su un orizzonte temporale di tre anni, e stanno riprogrammando le loro aziende con l’intento di trovare il modo per continuare a crescere – ha affermato Gary Reader, global head of clients and markets, Kpmg International –  Questo significa avere una visione chiara dei primi indicatori e dei segnali di allarme. Le aziende più lungimiranti stanno utilizzando la tecnologia a proprio vantaggio, per trovare una risposta alla situazione economica attuale. Si tratta di un nuovo tipo di resilienza, che incorpora l’agilità e mira alla crescita».

Nello specifico, per quanto riguarda l’Italia, la quasi totalità degli amministratori delegati (96%) è convinta che la propria impresa vedrà un aumento di ricavi nel prossimo triennio, contro il 76% dello scorso anno. Toni incoraggianti anche per quanto riguarda lo scenario globale, con la maggior parte dei top manager intervistati (66%) che è sicura che migliorerà, fino a far registrare una crescita; tra gli italiani, invece, c’è più cautela, con un 60% del campione che si trova in accordo con i colleghi stranieri.

Prospettive di crescita economica per Paese

Impresa connessa: i ceo prendono l’iniziativa

Se l’azienda non è allineata tra le funzioni di front, middle e back office, e l’infrastruttura It è frammentata, è molto complicato riuscire a creare un ambiente smart e agile, che sia attrattivo per gli utenti. Per questo, l’amministratore delegato ha il dovere di riorganizzare tutto il sistema, per realizzare una società customer-centric e interconnessa, che migliora le prestazioni aziendali e porta a risultati più redditizi. Le soluzioni in cloud saranno fondamentali per affrontare le infrastrutture digitali frammentate, perché offrono funzionalità scalabili e tecnologie avanzate in grado di trasformare il modo in cui il lavoro veniva condotto tramite l’It legacy. E sembra che gli ad abbiano recepito il messaggio: la maggior parte di loro (79%) crede che l’uso del cloud farà crescere la propria azienda, e inoltre l’84% degli amministratori delegati che ha preso parte alla ricerca ha affermato di condurre personalmente la strategia tecnologica della propria società.

Michele Parisatto
Michele Parisatto, Partner, Kpmg Italy, head of advisory

Ripensare il ruolo di executive

I ruoli di livello dirigenziale sono già cambiati in modo significativo negli ultimi anni, in quanto gli ad devono soddisfare nuove richieste. I manager che riportano direttamente al ceo – come il cfo e il cmo – sono stati affiancati da nuove figure, come i chief analytics officers e i chief digital officers. Tuttavia, mentre i ceo hanno aggiunto più potenza di fuoco al loro team dirigenziale, ci sono altri temi che vanno risolti. Ad esempio è necessario trasformare la propria squadra in modo che sia resiliente. È l’esigenza, primaria, che si riscontra nell’84% del campione intervistato.

Nelle aziende in cui i ceo hanno piani ambiziosi per aumentare di oltre il 51% la forza lavoro, l’86% di essi prevede anche di trasformare i propri team di leadership. Ma nelle organizzazioni in cui la riqualificazione è limitata a meno del 40% della forza lavoro, il numero di amministratori delegati che pianificano di trasformare la propria squadra di vertice scende al 75%.

Eppure, per affrontare le odierne problematiche aziendali connesse e complesse, i ceo hanno bisogno di leader in grado di collaborare attivamente con l’organizzazione, piuttosto che limitarsi alle loro ristrette aree di responsabilità e competenza. Vengono anche richiesti nuovi profili, come ad esempio gli esperti di digital transformation. Per guidare la trasformazione degli executive, gli amministratori delegati devono ridefinire le loro priorità interaziendali, dall’innovazione del modello di business per ridisegnare il modello operativo. Con un quadro chiaro, possono valutare se gli executive in carica abbiano le capacità giusti per offrire all’organizzazione quanto necessario.

Bill Thomas, chairman Kpmg International

Forza lavoro 4.0

Le tecnologie disruptive – dall’intelligenza artificiale alla realtà virtuale – hanno il potenziale per trasformare il mondo del lavoro. Molti ruoli e competenze stanno diventando obsoleti nell’era della quarta rivoluzione industriale, e le aziende e i loro leader devo mettere in atto un reskilling del personale. Quattro ceo su dieci (44 per cento) hanno dichiarato che nei prossimi tre anni aumenteranno di oltre la metà dell’attuale forza lavoro il personale con competenze digitali.

«Gran parte della tecnologia che viene distribuita oggi è molto intuitiva – sottolinea Kate Holt, people consulting partner, Kpmg – Il problema è far comprendere alle persone come questi nuovi mezzi agevolino il loro lavoro, e come possano far cambiare il loro ruolo all’interno dell’azienda. Nella maggior parte dei casi, però, le società non comunicano in modo adeguato questo cambiamento».

Investimenti in forza lavoro altamente tecnologizzata nei prossimi tre anni

Dalla ricerca diffusa da Kpmg si evince che solo una percentuale esigua di ceo (32%) ha dichiarato di aver scommesso nella formazione del personale già presente in azienda, mentre la maggior parte (68%) ha privilegiato gli investimenti in tecnologie. Questa dicotomia è ancora più evidente in Italia, dove i top manager, per recuperare il gap con gli altri Paesi, hanno stanziato fondi per l’innovazione (86%), a discapito della formazione delle risorse umane (solo il 14%). Tuttavia, buona parte dei nostri amministratori delegati (56%, mentre sono il 36% a livello globale) intende riqualificare con nuove skill digitali circa la metà del proprio personale. Questi i dati emersi, nonostante sia sempre più diffusa la consapevolezza che per attuare una strategia aziendale vincente e solida, è necessario soprattutto mettere i collaboratori nella condizione di approfittare dei vantaggi delle nuove tecnologie tramite riorganizzazione delle competenze.

«È importante che rimaniamo per tutta la vita studenti nell’azienda – ha dichiarato Doug McMillon, presidente e ceo di Walmart – Abbiamo molti leader all’interno della nostra società, in tutto il mondo, ma ognuno di noi, individualmente, deve crescere e imparare ogni giorno».

Investimenti in nuove tecnologie o miglioramenti delle skill della forza lavoro?

Tecnologia 4.0

Le tecnologie basate su intelligenza artificiale e le loro applicazioni, dall’automazione al riconoscimento vocale, offrono una grande opportunità per trasformare le prestazioni organizzative. Possono essere usate per analizzare molto più velocemente i dati, migliorando la qualità del processo decisionale, oppure possono eseguire mansioni meccaniche in modo più celere a accurato rispetto a un operaio specializzato, dando la possibilità ai tecnici di svolgere compiti meno monotoni e di maggior valore.

Tuttavia, la ricerca mostra che la maggior parte delle imprese non ha ancora applicato l’Ai per automatizzare i processi: infatti, solo un numero molto esiguo di ceo (16%) ha affermato di aver già implementato l’intelligenza artificiale per rendere la propria industria 4.0, con quasi un terzo (31 per cento) ancora in fase pilota e circa la metà (53%) che si è attivata in modo limitato. Approfondendo il tema del digitale, la sicurezza informatica continua ad essere tra le priorità dei ceo: per il 71% di essi una solida strategia in tema di cyber security è fondamentale per ottenere la fiducia degli stakeholder.

M&A per crescere

Secondo i risultati della “Global Ceo Outlook 2019” di Kpmg, per quasi la metà degli amministratori delegati è importante unire le forze con le altre realtà per poter migliorare e ampliare il proprio mercato: a livello globale, il 49% dei ceo crede che le strategie migliori per perseguire gli obiettivi di crescita siano le joint venture e le alleanze strategiche, ma su questo aspetto le aziende italiane devono acquisire maggiore consapevolezza, con meno delb dei capi azienda che punta sulle partnership per rafforzare il proprio business.

Poco meno di un ceo su cinque punta sulle strategie di M&A come driver per la crescita, ma diversa è la motivazione: metà degli amministratori delegati italiani (48%) ricorre a questo tipo di operazioni soprattutto per acquisire innovazione e nuove tecnologie digitali, oltre che per ottenere sinergie ed economie di scala, mentre i business leader internazionali pensano al merger and acquisition come a un acceleratore per la digital transformation. Inoltre, per molti ceo, le fusioni e le acquisizioni devono essere sfruttate anche come opportunità per il reskill aziendale, in particolare per aggiornare e riqualificare le competenze digitali dell’organizzazione. Una strategia di M&A proattiva è nell’agenda dell’84% degli ad, che dichiara una propensione medio-alta per il merger and acquisition di aziende innovative nei prossimi tre anni come leva per acquisire più rapidamente nuove competenze in ambito digitale.

Internazionalizzazione

Per quanto riguarda l’internazionalizzazione, a livello globale circa i due terzi dei business leader sono orientati verso strategie che coinvolgano i mercati emergenti (America Latina ed Europa dell’Est), mentre in Italia più della metà dei capi azienda punta su Paesi sviluppati, in particolare rivolgendo il proprio interesse in estremo Oriente, Australia (35%) e l’area dell’Asia-Pacifico (35%), inclusi Giappone, Cina, Hong Kong, Singapore.

La discontinuità e gli effetti negativi della Brexit sono sicuramente più sentiti in Italia che nel resto del mondo, tanto che più della metà degli amministratori delegati del nostro Paese (56%) ritiene poco plausibile la possibilità di fare investimenti in Uk dopo la Brexit, contro il 54% del campione globale che continuerà a farlo.

 

Risultati

Gli amministratori delegati affrontano un ambiente di business sempre più incerto e instabile, con crescente preoccupazione per un potenziale rallentamento nell’economia globale. E con modelli di business che sono durati per decenni, ora con l’avvento delle nuove tecnologie i ceo devono cambiare prospettiva se vogliono assicurare un futuro all’azienda di cui sono alla guida.

Gli ad, ora, hanno bisogno di costruire la resilienza all’interno delle loro organizzazioni, incoraggiando l’innovazione e promuovendo il reskilling delle competenze del personale. Devono costruire un’impresa smart, incentrata sul cliente e connessa, combinando tecnologie avanzate e riprogettazione operativa.

I risultati della ricerca Kpmg “Global ceo Outlook 2019” indicano che serve un profilo di amministratore delegato in grado di creare organizzazioni resilienti e agili, in cui si possono sperimentare nuove idee, e i dati e le informazioni circolano liberamente ai diversi livelli organizzativi secondo un modello di connected enterprise che permette di anticipare i fabbisogni del mercato.

 

kpmg
La sede di Kpmg














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