EY: a ComoNExT l’innovazione industriale diventa open

di Gaia Fiertler ♦︎ Tutte le novità del terzo appuntamento di EY Manufacturing Lab. Nel centro di trasformazione digitale di Lomazzo aziende, start-up e università collaborano per la realizzazione di un ecosistema che funzioni

Dopo le prime tappe in Abb a Dalmine e in Electrolux a Pordenone, il progetto EY Manufacturing Lab approda all’Innovation Hub ComoNExT a Lomazzo, un centro di trasferimento tecnologico che, oltre a incubare 30 start-up, ospita 104 aziende che sono un bacino privilegiato per mettere a disposizione del territorio progetti d’innovazione e di trasformazione digitale.







«Con questa terza tappa entriamo nel vivo del concetto di ecosistema digitale, dove istituzioni, università, centri di ricerca, start-up e aziende innovative lavorano insieme su progetti comuni, portano nuove competenze sul territorio e aiutano le pmi che, da sole, non riuscirebbero a innovare, né ad affrontare il cambiamento culturale e organizzativo richiesto dall’Industria 4.0», commenta Marco Mignani, Partner EY e Med Diversified Industrial Product Leader.

È il senso stesso del progetto EY Manufacturing Lab, quello di sviluppare il network fra realtà industriali, start up ed esperti di processi industriali e di digitale per creare una cultura diffusa dell’innovazione, stimolare il bisogno nelle aziende che ancora non hanno affrontato il processo di digitalizzazione e accompagnarle con progetti dedicati e favorire contaminazioni e collaborazioni fruttuose dentro e fuori la fabbrica. Siamo solo agli inizi del processo di open innovation e di digitalizzazione e c’è bisogno di queste iniziative sui territori.

Solo il 10% delle oltre 250 aziende italiane incontrate lo scorso anno da EY nel Manufacturng Lab dice di aver affrontato il cambiamento digitale in modo strategico e strutturale, tali cioè da potersi considerare avanzate nella digitalizzazione della fabbrica, con una chiara strategia e progetti concreti, un forte commitment da parte dell’imprenditore e della prima linea e sistemi di collaborazione in una logica di filiera integrata. Così, il viaggio di sensibilizzazione continua e le prossime tappe dell’EY Manufacturing Lab saranno a Torino il 21 maggio presso Prima Industrie, azienda storica nella produzione di robot in Italia e, a Bologna, l’11 giugno nel sito produttivo completamente digitalizzato di Philip Morris Manufacturing & Technology. Quindi ci sarà un incontro conclusivo a Milano a luglio e l’EY Capri Digital Summit il 4-5-6 ottobre.

Sono state 36 le aziende manifatturiere del territorio comasco che hanno preso parte ai tavoli sulla smart factory, le digital capability e l’ecosystem contamination nella terza giornata dell’EY Manufacturing Lab, organizzata questa volta presso ComoNExT – Innovation Hub, incubatore di start-up e centro di trasferimento tecnologico che si estende su 21mila metri quadri dell’ex Cotonificio Somaini, ristrutturato negli ultimi dieci anni su iniziativa della Camera di Commercio di Como e con il contributo emblematico di Fondazione Cariplo. 

ComoNExT e il trasferimento tecnologico

Il nuovo modello di business di Sviluppo Como – ComoNExT, nato come società consortile nel 2007 e oggi società per azioni, partecipata per il 43% dalla Camera di Commercio di Como-Lecco, per il 13% ciascuna da Banca Intesa SpA e da Credito Valtellinese, per l’11,5% dalle BCC del territorio e poi Fondazione Politecnico di Milano, le associazioni di categoria del territorio, Banco Desio e Comune di Lomazzo, è partito concretamente nel 2018 con la registrazione di “NExT Innovation”.

Esterni Como Next

Un modello di open innovation che prevede una gestione di trasferimento tecnologico e digitale da parte di aziende molto innovative, con il contributo anche del mondo accademico e della ricerca. A oggi sono state incontrate 236 aziende, sviluppate 97 offerte e avviati 36 progetti, di cui 28 già conclusi. Nei primi mesi del 2019 il numero delle visite si è triplicato, si è avviata una dozzina di nuovi progetti e se ne sono estesi quattro dei pilota dell’anno prima.

L’hub è gestito da un team di 27 persone, che comprende il direttore generale, due opportunity manager che intercettano i bisogni e si rivolgono alle competenze delle aziende presenti nell’hub più adatte a formare “reti d’impresa ad assetto variabile temporanee”; tre project manager capi-progetto; chi segue l’incubazione delle start up e coinvolge i professionisti delle aziende presenti per trasmettere know-how agli startupper; un controller, un facility manager, un responsabile della comunicazione e lo staff amministrativo.

«La strategia è quella di essere sempre più promotore e generatore di business per le aziende che ospitiamo, soddisfacendo i bisogni di innovazione del territorio, dalla richiesta di un nuovo materiale a quella di un nuovo processo. In questo modo non sosteniamo costi fissi per le competenze che servono, ma di volta in volta mettiamo in pista la migliore risposta da un punto di vista tecnologico», spiega Stefano Soliano, direttore generale di ComoNExT che guida la nuova strategia, ossia gestirlo meno come “condominio” e più come centro di trasferimento tecnologico.

Stefano Soliano – Direttore ComoNext

L’occupazione degli spazi è ormai al 98% e l’obiettivo è di invertire le percentuali delle revenue tra gestione degli affitti e consulenza e servizi alle imprese. Oggi il fatturato sfiora i 3 milioni di euro, il 2018 è stato il primo anno in utile e le percentuali dei servizi sono salite in tre anni quasi al 40%, contro il 15% iniziale. L’obiettivo è arrivare al 50% entro il 2021 e proseguire nello sviluppo della consulenza e dei servizi. Il modello funziona e lo si inizia a esportare in altre aree del Paese, come a Novara, Ivrea, Pavia, Caserta, con l’intenzione di estenderlo a tutta Italia per creare una rete sempre più estesa di competenze e di sinergie.

«Forti di 800 kwnoledge workers che ogni giorno varcano la soglia dell’hub, ciascuno con le proprie competenze, che vanno dall’aerospaziale all’illuminazione, dal retail alle nuove tecnologie per il marketing, dal neuro-marketing al digital, dall’Iot al blockchain nel food, e forti dello spirito collaborativo delle aziende che scelgono di lavorare qui, aderendo al nostro patto di sistema, creiamo di volta in volta team di progetto trasversali per soddisfare bisogni di innovazione del territorio. Con questi interventi accorciamo anche le distanze tra ricerca universitaria e impresa, che spesso si muovono su fronti diversi e non si parlano fra loro, mentre noi riusciamo a ingaggiare in progetti aziendali anche qualche dipartimento e laboratorio, per esempio per la ricerca di un nuovo materiale. Ora vogliamo realizzare una rete sempre più estesa di collaborazioni, in ottica di ecosistema e di open innovation a livello, per il momento, nazionale», commenta Soliano.

Ci vuole il fisico per fare una start-up

Sono 77 le start-up incubate finora in ComoNExT, alcune delle quali sono andate sul mercato come l’aerospaziale D-Orbit, nata come spin off del Politecnico di Milano e poi incubata a Lomazzo, altre oggi sono aziende con la sede nell’hub, come la Caracol Design Studio, che ha ideato – in contemporanea con dei coreani, ma nessun altro prima di loro – la stampa 3D con bracci robotici antropomorfi Kuka e produce componentistica plastica per i settori aerospaziale, aeronautico e motorsport, o la Coelux, nata come spin off del Dipartimento di Fisica ottica dell’Università dell’Insubria, che realizza sistemi innovativi di illuminazione che riproducono la luce solare e lunare.

Il team di Caracol

Finora l’indice di mortalità delle start-up incubate in ComoNExT è stata bassissima, perché la barriera all’ingresso è molto alta: «Ci basiamo su una oggettiva valutazione e selezione di idee d’impresa, che sviluppiamo lungo un percorso programmato con l’obiettivo di far nascere nuove, sostenibili e scalabili start up. Serve spirito imprenditoriale, con la volontà di creare valore diffuso sul territorio e una mentalità innovativa, che vuol dire pensare sempre fuori dalla propria zona di comfort con propensione alla contaminazione. Inoltre qui gli startupper entrano subito in un ecosistema d’innovazione “aumentata”, dove diventano immediatamente fornitori, clienti, partner. Solo il 30% delle iniziative sono in ambito strettamente digitale», aggiunge Soliano.

La fabbrica diffusa ideata a Lomazzo
Un progetto nazionale in corso di realizzazione (l’inaugurazione è prevista per il prossimo settembre) che ha per capofila ComoNExT e Cariplo Factory, è quello del primo modello di fabbrica diffusa in Europa, con le singole aree e isole produttive dell’Industria 4.0 distribuite su diverse location, ma strettamente connesse tra loro e collegabili in videoconferenza per offrire una visione d’insieme al visitatore. A Lomazzo, per esempio, è visibile il processo di fine linea con il packaging del prodotto finito. È un progetto a carattere dimostrativo per le aziende che ancora non hanno approcciato il tema della digitalizzazione e della robotica. Gli altri parchi tecnologici coinvolti  sono: Area Science Park -Trieste, Friuli Innovazione – Udine; Hub innovazione Trentino – Rovereto; Fondazione Edmund Mach – Trento; Liuc – Castellanza; 012 Factory – Caserta. Il gruppo conta poi sull’apporto tecnico di Synesis, azienda insediata in ComoNExT e sul sostegno di colossi come Cisco, Fastweb, Kuka, Microsoft, Amazon e Nebbiolo Technologies, per le infrastrutture abilitanti.

Ma le nostre pmi stanno approfittando dei vantaggi degli ecosistemi digitali?

Dall’osservatorio sul campo dell’EY Manufacturing Lab, le nostre pmi sono senz’altro incuriosite, ma ancora lontane dal farsi “contaminare” dagli ecosistemi digitali che stanno prendendo forma in Italia.

«Quello che viene più naturale è cercare la collaborazione con centri di ricerca e acceleratori d’impresa, in particolare l’abbiamo notato nelle aziende presenti all’incontro in ComoNExT che hanno già una certa frequentazione – racconta Giulia Brusoni, Manager di EY, facilitatrice ai tavoli sull’ecosistema digitale – Alcune di loro stanno sperimentando la servitizzazione del prodotto come nuovo modello di business digitale, oppure l’integrazione di filiera tra fornitori e clienti. Ma se allarghiamo la visuale, c’è ancora molta diffidenza verso la digitalizzazione dei processi e, a seguire, verso l’integrazione di filiera, che comporta la condivisione di informazioni tra dentro e fuori. Ancora più impensabile, a parte qualche eccezione, pensare di poter collaborare tra competitor, oppure a turno essere fornitori e clienti, insomma entrare in un sistema fluido di open innovation, che aprirebbe a nuove inimmaginabili opportunità di business.»

A monte di questa difficoltà a concepire e mettere in atto l’open innovation, c’è senz’altro un tema di fiducia e, strutturalmente, un persistente “digital divide” generazionale: «Nelle nostre pmi generalmente chi ha potere decisionale e conosce bene i processi industriali fa fatica ad abbracciare la logica digitale, mentre le nuove generazioni hanno tanto entusiasmo, ma a loro manca l’esperienza e il know-how aziendale», conclude Brusoni.

Le start-up per finanziamento ricevuto, dall’osservatorio Industria 4.0 2018 del Politecnico di Milano

Il terzo step delle potenzialità di un ecosistema, dopo la collaborazione con fonti di innovazione esterne e l’integrazione di filiera, secondo EY sarebbe l’acquisizione vera e propria di competenze esterne per innovare il modello di business e restare competitivi sul mercato. Per esempio, acquisendo start up innovative, ma per arrivare a questo livello servono risorse di cui le nostre pmi non dispongono.

«Un esempio significativo – spiega Gianni Panconi, Partner EY M&A – TAS Industrial Product Leader e responsabile dei tavoli sull’ecosistema digitale – certo distante dalle nostre pmi, ma utile per comprendere il concetto di fondo e la direzione in cui stanno andando i grandi colossi automobilistici, acquisendo per esempio aziende con il modello di business dei noleggi brevi, a portata di click. La sharing economy resa accessibile dalle piattaforme digitali sta di fatto cambiando il rapporto con l’automobile, soprattutto nelle nuove generazioni, e disturberà senz’altro nel tempo la vendita di automobili. In altri casi, assorbire start up innovative può servire per affidare a loro la ricerca e lo sviluppo, senza vincoli gerarchici e potendo disporre di risorse con la giusta mentalità digitale. Benché siano modelli che richiedono molte risorse economiche, credo sia utile iniziare a ragionare in questo modo, ognuno secondo la propria scala e magari avviando collaborazioni, laddove non siano possibili acquisizioni.»

Gianni Panconi, Partner EY M&A – TAS Industrial Product Leader e responsabile dei tavoli sull’ecosistema digitale

Ibm per le pmi

Ibm, main partner di EY Manufacturing Lab, riparte dal Cloud Garage di Ibm Studios, lo spazio a Milano in Piazza Gae Aulenti dove studenti, clienti, sviluppatori e system integrator, potranno vedere e sviluppare le applicazioni delle tecnologie più evolute nel mondo cloud: intelligenza artificiale, data science, blockchain, analytics, Iot. Milano sarà la centrale operativa dell’innovazione, ma Ibm si è organizzata per territori per essere sempre più vicina alle imprese, diverse per dimensioni e settore industriale e con risorse limitate rispetto alle grandi aziende.

Giovanni Todaro, IBM

Da qui l’impegno con le piccole e medie imprese: «Il nostro impegno con le pmi è di offrire in una logica “end to end” soluzioni tecnologiche con il minor sforzo, sfruttando al massimo l’intelligenza del dato e il suo impatto sul business, come ottimizzare processi, prendere decisioni più velocemente in presenza di maggiori informazioni e migliorare l’esperienza del cliente. L’approccio è quello di partire in piccolo, con progetti pilota da ampliare in azienda, con le dovute correzioni in corso d’opera. Credo sia funzionale ripartire anche dai tradizionali distretti industriali come fulcro e motore per la creazione dei tanto auspicati ecosistemi digitali e dare un ruolo centrale alle start up per la transizione da old a new economy. IBM Italia, da sempre leader nel campo dell’innovazione, cerca di avvicinare il più possibile partner e start up innovative ai clienti, favorendo al tempo stesso la cultura del digitale e del cloud presso i propri partner, proprio grazie alla collaborazione con le start up», spiega Giovanni Todaro, Chief Digital Officer Ibm Italia.

 














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