Tra Cina e post Covid: guida a come rinascere con l’export

di Laura Magna ♦︎ Le esportazioni sono state l’unica voce positiva del conto economico italiano negli ultimi 10 anni. Causa Coronavirus, sono crollate del 42%. Carnevale Maffè e Cipriani Foresio, general manager di Alibaba per il Sud Europa, ci spiegano le strategie per tornare a fare commercio cross border nel mondo post pandemico

Per far rinascere l’industria italiana nel post Covid è necessario ripartire dall’export, con particolare attenzione alla Cina, che certo, ha iniziato tutto, ma resta comunque un mercato fondamentale. L’export, ovvero l’unica voce del conto economico con il segno più negli ultimi dieci anni, mentre consumi, spesa pubblica, investimenti e import sono tutti diminuti. Il lockdown ha distrutto questa ultima, debole certezza: l’export ha subito un vero e proprio tracollo, con un calo di quasi il 42% ad aprile anno su anno, che ha portato il saldo commerciale domestico in territorio negativo. Le pmi italiane, che sono anche le maggiori contributrici all’export globale, devono dunque effettuare un cambiamento copernicano, abbracciando la digitalizzazione per tornare a fare commercio cross border nel mondo post pandemico.

Lo sostiene Carlo Alberto Carnevale Maffè, professore della Sda Bocconi. E per digitalizzarsi oggi gli strumenti a buon mercato e facilmente accessibili alle pmi si moltiplicano. Ne abbiamo parlato con Rodrigo Cipriani Foresio, general manager di Alibaba per il Sud Europa e John Caplan, responsabile della piattaforma Alibaba.com per Usa ed Europa.







 

Maffè (Sda Bocconi): «Ecco la lezione che le pmi italiane non possono ignorare se vogliono tornare a esportare»

Carlo Alberto Carnevale Maffè, professore di Strategy and Entrepreneurship della Sda Bocconi

Per uscire dal tunnel della crisi attuale è necessario rinvigorire l’export, secondo Carlo Alberto Carnevale Maffè, professore di Strategy and Entrepreneurship della Sda Bocconi. «Se si isola il numero relativo alle pmi con meno di 49 dipendenti, ne risulta che le piccole imprese italiane realizzino quasi 85 miliardi di dollari di valore, posizionandosi al primo posto, sopra alla Germania, in termini di contributo all’export globale. Lo choc dei flussi commerciali italiani verso l’estero è stato senza precedenti, pari, secondo i dati Istat, al -41,6% ad aprile rispetto a un anno prima, con meccanica, automotive e abbigliamento tra i settori più colpiti. Il tema è che, sempre secondo le stime di Istat, il saldo commerciale italiano per la prima volta da anni finirà in negativo a -1,1 miliardi nel mese di aprile».

E che questo rappresenti un vero dramma per il Paese è chiaro. Il Pil italiano, cresciuto debolmente nell’ultimo decennio, deve tuttavia tutto il suo incremento proprio alla voce export che, tra il 2010 e il 2017 secondo Sace è l’unica voce del conto economico con il segno più: +6,4%, mentre consumi privati (-1%), spesa pubblica (-0,8%), investimenti (-3,1%) e import (-2,3%) hanno segnato tutti valori in calo. Come dire che, senza export, siamo destinati a una lunga e profonda recessione. Ma non tutto è perduto, ovviamente. Continua Maffè: «La lezione del Coronavirus è uno smacco che va interpretato attualizzando il processo che ha reso grande l’economia italiana nel mondo e aperto la strada all’export. Bisogna a imparare a vendere da lontano, perché lo choc da Covid non sarà del tutto riassorbito. E in questo il virus aiuta perchè ha fatto cadere i bias relazionali che impedivano l’adozione del canale digitale su larga scala anche al commercio delle imprese: le imprese devono imparare convertire i segnali da analogici a digitali. Trasformare quello che accade nel mercato in dati che possano essere usati per lo sviluppo del business. Allora, se è vero che oggi il 68% dei buyer btob considera i servizi online superiori a quelli di rappresentanti e seller questo dato da solo basta a sancire la morte del commesso viaggiatore e la nascita del commercio digitale, trasparente rapido e veloce», dice Maffè.

La necessità nel frattempo ha scatenato la corsa all’ecommerce e l’esplosione delle comunicazioni digitali tra offerta e domanda. Ma soprattutto ha messo in luce che i danni economici non dipendono tanto dai fattori esogeni ma «dagli strumenti e dalla reazione che ad essi oppongono governi e delle imprese», spiega il professore. L’Italia, come noto, è fanalino di coda in tutte le classifiche globali sulla preparazione tecnologica, la più recente e clamorosa l’indice Desi della Ue nel quale risultiamo 24esimi su 28 Paesi in termini generali e ultimi assoluti sulle competenze. Il Covid è stata una sorta di ultima chiamata che ha messo in evidenza, ancora una volta e in maniera irrimediabilie, le nostre debolezze strutturali a cui far fronte. «L’economia tornerà a crescere solo adeguandosi a questo grande choc. Le tecnologie digitali diventano indispensabili per il rapporto tra domanda e offerta: questa è la lezione che va appresa dalle pmi che non sono sempre state in grado di stare ad ascoltare».

 

Cipriani Foresio (Alibaba): «I servizi le pmi italiane dell’ecosistema Alibaba, per digitalizzarsi e internazionalizzarsi con un costo annuo che è pari a quello di un biglietto aereo per gli Usa»

Rodrigo Cipriani Foresio, general manager Alibaba e Country Manager Alipay South Europe

Ovviamente, per una platea come quella italiana, fatta per oltre il 90% di pmi spesso una trasformazione radicale è complessa e insostenibile. Ma, d’altro canto, esistono diversi strumenti che consentono di accedere a costi contenuti e in maniera pressoché automatica al mondo digitale e al mercato mondiale. Uno di questi è la galassia Alibaba, delle cui caratteristiche ci hanno parlato i vertici italiani del colosso cinese nel corso dell’Alibaba.com Italy Go Export Summit. Alibaba è molto più di una piattaforma per il commercio Btob. «È un ecosistema complesso che comprende diversi servizi su tutta la filiera, a supporto dello sviluppo commerciale delle pmi di tutto il mondo», dice Rodrigo Cipriani Foresio, general manager Alibaba e Country Manager Alipay South Europe. «Alibaba può aiutare le pmi italiane a compiere il processo di digitalizzazione oggi reso necessario dal Covid, a internazionalizzarsi e a espandere il proprio business btob in tutto il mondo. Quando Jack Ma nel suo bilocale alla periferia di Hangzhou progettò insieme ai suoi 18 soci la sua azienda, la visione era quella di facilitare il business ovunque accadesse. Da quell’idea ne sono successe di eventi e oggi Alibaba ha 100mila dipendenti, 10 milioni di aziende che vendono online e 960 milioni di consumatori attivi globalmente». Alibaba è solo un luogo, un marketplace, per dirla con le parole del manager: questo vuol dire che un’azienda che apre uno store sulla piattaforma è padrona delle proprie decisioni strategiche, di comunicazione, commerciali, di branding, e può decidere di entrare nelle piattaforme btoc o btoc in Cina o nel mondo e scegliere di usare i servizi collaterali dell’ecosistema a supporto dello sviluppo di business, servizi di pagamento come AliPay, di comunicazione come Alimama o di logistica come Cainiao. O ancora i social network Youku (lo youtube cinese) e Weibo (il twitter cinese). «Tutto a un costo annuo che è paragonabile a quello di un biglietto areo per gli Usa», precisa Cipriani Foresio.

L’Italia per la big corp cinese è un mercato strategico e uno degli unici due fuori dalla Cina dove Alibaba ha creato un team locale. Un segnale forte dell’interesse che le pmi domestiche suscitano ancora nel mondo: su Alibaba.com ci sono 600 aziende italiane, precisa Cipriani, «e 300 hanno aperto lo store in questi ultimi due mesi, di tutti settori, dal food, alla moda, alle piastrelle, alla meccanica, alla componentistica industriale. Una conseguenza del lockdown che si sposa con il fatto che sulla nostra piattaforma i buyer ricercano sempre di più il made in Italy».

 

Caplan, (Alibaba.com Usa & Europa): «Le pmi italiane hanno successo sulla piattaforma se sono affidabili e trasparenti»

John Caplan, presidente Alibaba.com Usa ed Europa

Insomma, anche le piccole industrie italiane hanno ben chiaro il potenziale di una presenza dentro un luogo virtuale. Cosa fa in pratica Alibaba per aiutarle a esportare o importare in tutto il mondo? Lo spiega John Caplan, presidente Alibaba.com Usa ed Europa: «Venti anni fa Alibaba.com era una versione digitale delle pagine gialle, utile alle imprese cinesi per vendere in Cina. Negli anni, cavalcando le profonde innovazioni tecnologiche che si sono succedute, è diventata una piattaforma complessa e completa di tutti i servizi e gli strumenti digitali utili per importare ed esportare. Il secondo cambiamento è che da cinese il marketplace è diventato globale, con aziende di tutti i settori, con circa 4mila categorie merceologiche diverse e provenienti da 190 Paesi nel mondo. Gli Usa sono il più grande mercato in termini di acquisti, un terzo dei buyer sono americani. Ogni giorno hanno accesso alla piattaforma tra i 2 e i 3 milioni di buyer: una platea vastissima per i seller». I vantaggi di questi ultimi sono, secondo Caplan, due: il primo sta proprio nell’avere una porta sul mondo per chi ha prodotti da vendere; il secondo di trovare in Alibaba un partner poco invasivo e molto flessibile.

«Un produttore italiano può avere accesso a clienti americani, europei, medio orientali e asiatici da una medesima vetrina. Il che non garantisce il successo, ovviamente: i buyer su Alibaba.com cercano alcune cose chiare. Ovvero affidabilità e soprattutto trasparenza che si misura con la ricchezza di informazioni circa il prodotto in vendita e l’esplicitazione del prezzo e rispondenza del prodotto alla descrizione. Quindi esiste una correlazione tra la proattività di un’azienda a rispondere in maniera trasparente e il suo successo. Bisogna essere attivi come seller, aggiornare i prodotti e le descrizioni, arricchire le pagine, trattare la piattaforma come un negozio fisico. Il venditore ha poi un rapporto diretto con i clienti, ha totale controllo sugli strumenti di marketing per attirare nuovi buyer. L’export è cruciale per l’economia italiana e ora che l’Italia si lascia alle spalle il Covid la cosa migliore per le pmi italiane è intensificare il livello di export verso il mondo e Alibaba può aiutarle. Perché mentre il Wto ha stimato un calo a due cifre nel commercio mondiale nel 2020, Alibaba.com ha visto nei primi mesi dell’anno il fatturato da vendite aumentare del 100%».














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