Emilia Romagna: come si stanno digitalizzando le aziende e perchè? E come ci guadagnano?

di Chiara Corbo e Lucio Lamberti ♦ Una regione che vive una forte fase espansiva trainata dall’ export, con un ruolo chiave dell’agro alimentare. Qui il business del futuro vuol dire servitizzazione, data driven management, agricoltura 4.0. Una ricerca del Politecnico di Milano per il convegno organizzato da Sap Italia 

Chiara Corbo è ricercatrice Polimi-Università di Brescia e Lucio Lamberti è Professore Associato di Marketing Multicanale, Politecnico di Milano – School of Management

Quali sono i trend in atto nella trasformazione di business delle medie e medio-grandi imprese dell’Emilia-Romagna? Come si contestualizzano nella congiuntura di sviluppo del territorio? E quali sono le prospettive a tendere? Sono questi i temi investigati nella ricerca che la School of Management del Politecnico di Milano ha condotto nell’ambito del progetto “Made in Italy Made in Digital: viaggio nell’eccellenza italiana” promosso da SAP Italia. La ricerca, che sarà presentata il 7 giugno a Bologna (vedi qui per maggiori dettagli e per l’iscrizione all’evento) ha coinvolto 10 imprese tra i 20 e i 500 milioni di Euro di fatturato operanti in Emilia-Romagna, con particolare focus sui comparti agroalimentare e manifatturiero hi-tech.







L’economia dell’Emilia-Romagna e la sua congiuntura

In sintonia con la ripresa internazionale ed Europea, anche l’economia dell’Emilia-Romagna sta attraversando una fase espansiva. Secondo i dati di Unioncamere Emilia-Romagna , dopo un 2017 chiuso con un Pil regionale in crescita dell’1,7%, le previsioni per il 2018 sono di crescita pari all’1,8% per poi riassestarsi al +1,7% nel 2019. Si tratta di dati che mostrano una crescita aggregata dell’8,6% rispetto al picco negativo del 2009, ma di fatto allineato ai livelli del 2007 e solo il 10,5% maggiore rispetto al Pil del 2000. Si tratta di un andamento comunque molto migliore rispetto alla media nazionale (con una crescita circa 2,5 volte maggiore rispetto all’inizio del secolo). Tale crescita, indipendentemente dalla sua magnitudo, appare trainata dalle esportazioni che oggi valgono il 24% in più rispetto ai livelli pre-crisi. I trend economici evidenziano andamenti comuni a tutte le economie occidentali: da un lato, un tasso di crescita a trazione estera, dall’altro (e, in parte, conseguente alla globalizzazione dei mercati) una graduale concentrazione delle imprese, con una tendenza alla diminuzione del numero di imprese registrate a livello territoriale, probabilmente figlia di una sorta di “selezione naturale” conseguente alla crisi e certamente connessa anche alle dinamiche demografiche della Regione.

 

Figura 1: andamento del PIL regionale emiliano-romagnolo 2005-2019

 

Analizzando l’andamento dei settori (figura 2) è possibile evidenziare una graduale presa di rilevanza dei servizi e dell’industria soprattutto a scapito del settore delle costruzioni, che solo a partire dal 2017/2018 sta iniziando a mostrare deboli segnali di ripresa in valore assoluto.

 

Bologna due
Figura 2: Gli andamenti settoriali in Emilia Romagna 2005-2019
Il traino delle esportazioni

Secondo le elaborazioni Unioncamere Emilia-Romagna su dati Istat  è possibile tracciare un quadro che vede, per il 2017, un valore quasi 60 miliardi di Euro di esportazioni, in crescita del 6,7% rispetto al 2016, con dinamica particolarmente accentuata nella metallurgia e negli apparati elettrici, elettronici, ottici, medicali di misura (rispettivamente +11,4% e +10,2% rispetto al 2016), con un ruolo di locomotore per il settore macchinari e apparecchiature (+7,1% rispetto al 2016, con un peso complessivo intorno al 30% delle esportazioni regionali). Il 10,4% delle esportazioni regionali riguardano agricoltura, alimentari e bevande, contro una media nazionale del 9%, ma con una dinamica leggermente meno accentuata nell’ultimo anno rispetto al totale Italia (rispettivamente +2,4% sui prodotti agricoli vs +3,4% nazionale e +5,7% alimentari e bevande vs 6,0% nazionale).

Quasi i due terzi delle esportazioni regionali hanno per destinazione l’Europa (65,5%). A livello di dinamica, risulta particolarmente accentuata in positivo la situazione della Cina (3,1% di incidenza e +20,4% rispetto al 2016) e della Polonia (+12,8% e 3,1% di incidenza). Un’elaborazione della Camera di Commercio di Bologna su dati Istat evidenzia come Bologna rappresenti la terza area metropolitana italiana (dopo Milano e Torino) in termini di esportazioni di prodotti specializzati e high-tech, con un controvalore di oltre 8,5 miliardi di Euro nel 2017 e la prima in Italia per incidenza di tali settori sul totale esportazioni (con il 62,4%).

 

Un trattore in azione su di un campo di soia

Focus sull’ industria alimentare

Con specifico riferimento all’industria alimentare, (con tale espressione intendiamo, all’interno di questo rapporto, l’intera filiera della produzione alimentare: dall’agricoltura alla trasformazione in alimenti e bevande, accorpando perciò l’agricoltura, la trasformazione primaria e la trasformazione secondaria) è possibile osservare come il comparto costituisca un settore-chiave per l’economia regionale, tanto da meritarsi il titolo di “food valley. Le aziende presenti sul territorio sono in grado di coprire tutta la filiera, partendo dalla produzione della materia prima arrivando alla tavola del consumatore, includendo – in una visione allargata – i sistemi informativi, i macchinari per la lavorazione in campo e l’allevamento, gli impianti per la trasformazione e il confezionamento, la logistica dei trasporti e, infine, la valorizzazione dei sottoprodotti e degli scarti. Il Rapporto 2017 sul sistema agroalimentare dell’Emilia Romagna (Unioncamere e Regione Emilia Romagna, 2018. “Il sistema agro-alimentare dell’Emilia Romagna”). delinea un quadro estremamente positivo: la produzione agricola regionale ha, infatti, superato 4,8 miliardi di euro con un incremento di oltre il 6% rispetto all’anno precedente, un valore superiore a quello registrato negli ultimi anni (con aumenti omogenei nel comparto zootecnico per tutte le sue produzioni principali, mentre risultati più contrastanti si sono verificati per le produzioni vegetali e in particolare fra quelle cerealicole e orticole).

Anche l’andamento dell’occupazione ha confermato il forte incremento dell’anno precedente, superando le 80.000 unità. Si tratta di un ulteriore aumento (+5%), superiore a quello nazionale, che è stato particolarmente rilevante per la componente femminile e per i lavoratori dipendenti che hanno rafforzato la loro rilevanza nell’agricoltura regionale. Il tutto, in un contesto in cui l’industria alimentare italiana, dopo quattro anni di stasi a circa 132 miliardi di euro, ha visto aumentare il fatturato del 3,8% sull’anno precedente (Federalimentare) e registrando il miglior risultato dell’ultimo decennio. Si tratta di una crescita dovuta anche grazie all’espansione verso i mercati esteri. Le esportazioni di alimentari dell’Emilia-Romagna vengono descritte da una linea di tendenza ad andamento positivo e caratterizzata da una ben definita stagionalità.

 

Un ruolo trainante per il Parmigiano Reggiano nella regione record per IGP e DOC
La regione record del DOP e dell’ IGP

Gli scambi con l’estero del settore agroalimentare dell’Emilia-Romagna nel corso del 2017 hanno visto le esportazioni superare i 6,2 miliardi, con un incremento del 5%, maggiore di quello dell’anno precedente, trainato dai risultati positivi di diversi comparti sia del settore primario, e in particolare dell’industria alimentare e bevande. Con i suoi 44 prodotti a marchio DOP e IGP, l’Emilia Romagna è la prima regione in Europa per tale tipologia di prodotti, ai quali si aggiungono 19 vini DOP e 10 IGP, 15 Presidi Slow Food e oltre 200 prodotti tradizionali. Le DOP e IGP emiliane il 42% dell’incidenza del fatturato complessivo italiano di comparto, grazie al ruolo trainante di Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma, Aceto Balsamico di Modena, Mortadella di Bologna e Grana Padano (per la quota parte prodotta in regione). Ma cosa sta accadendo nei settori oggetto della ricerca? Quali sono i trend in atto e le prospettive di sviluppo?

I tre trend della digital transformation nel comparto dell’industria hi-tech dell’Emilia Romagna

Servitizzazione come nuova forma di business

Il primo trend emerso, con specifico riferimento al mondo delle imprese manifatturiere riguarda la crescente rilevanza della componente di servizio nei modelli di business. Questo trend assume una connotazione differente a seconda del tipo di prodotto e del posizionamento di impresa: se nel caso di prodotti ad alto livello di personalizzazione la servitizzazione si connota come elemento di differenziazione dell’offerta connessa all’introduzione di funzionalità aggiuntive, maggiori elementi di controllo per il cliente o un arricchimento del contenuto “soft” di prodotto (ad esempio, sistemi IoT sul prodotto che consentono una trasmissione dati in remoto), nel caso di produzioni maggiormente standardizzate – soprattutto di macchinari – sta emergendo un tema di servitizzazione come nuova forma di business.

Sono infatti presenti primi esperimenti di noleggio delle macchine, contratti a pay-per-use e sperimentazioni di fornitura di prodotti in comodato d’uso gratuito a fronte di una corresponsione di un canone per servizi (ad esempio, il numero di unità prodotte con il macchinario). Questo trend nasce generalmente da una contingenza di mercato (ovvero da clienti che richiedono prestazioni di questo tipo), e diventa spesso un’occasione di rinnovamento del modello di business attraverso lo sviluppo di nuovi modelli “sensorizzati” che abilitino il controllo del funzionamento a distanza, nonché la raccolta e la conservazione di dati funzionale allo sviluppo di modelli di brokeraggio delle informazioni.

Data driven management

Il secondo trend è connesso alla necessità (o perlomeno all’opportunità) di sviluppare una maggiore capacità di analisi al fine di accrescere la precisione previsionale e quindi efficientare i processi-chiave. In particolare, l’introduzione di ERP più evoluti ha abilitato la possibilità di introdurre sistemi integrati di analisi storica degli ordini che ha abilitato, a sua volta, lo sviluppo di primi algoritmi di previsione della domanda. In ragione dei risultati incoraggianti conseguiti dalle imprese che hanno intrapreso questa strada, sono sempre più comuni i processi di ampliamento del campo di azione del data-driven management, a cominciare dalla manutenzione per atterrare infine al tema della smart quality, ovvero dell’analisi predittiva della qualità di prodotto.

L’innovazione dei modelli di presidio dei mercati esteri

In terzo luogo, in un territorio a forte trazione esportatrice, l’internazionalizzazione spinge all’innovazione dei modelli di presidio dei mercati esteri. Le esperienze raccolte nella ricerca non riguardano tanto gli aspetti di delocalizzazione produttiva, quanto piuttosto i processi commerciali e amministrativi delle sussidiarie: non è infrequente che il livello di visibilità sull’attività delle subsidiary estere sia molto meno forte di quanto si possa credere. Non di rado, l’headquarter non conosce i clienti delle sussidiarie, e addirittura emergono casi di “scoperta” casuale del fatto che, ad esempio, le sussidiarie avevano introdotto da anni logiche di servitizzazione dell’offerta per soddisfare clienti esteri. La sfida dell’allineamento (in genere sviluppato attraverso l’estensione degli ERP degli headquarter) è tutt’altro che agevole, e proprio per questo motivo le imprese che la stanno affrontando tendono ad assumere approcci sussidiaria per sussidiaria, anziché progetti sistemici o di rete, tanto per la complessità di un approccio contemporaneo su tutti i mercati, quanto per le possibili frizioni organizzative che maggiori livelli di controllo potrebbero ingenerare, e che suggeriscono un change management prudente ed inclusivo.

 

Advanced automation: un trattore a guida autonoma e uno a guida tradizionale impegnati su di un campo

I tre trend della digital transformation nel comparto agroalimentare e alimentare dell’emilia romagna

L’agricoltura 4.0 sul campo

Con riferimento al comparto agroalimentare ed alimentare, innanzitutto, si evidenzia come l’agricoltura 4.0 sviluppi i suoi percorsi innovativi a partire dal campo, soprattutto attraverso tecnologie di Advanced Automation (sistemi di guida automatica e droni), Internet of Things (sensori) e piattaforme per l’analisi dei dati che, attraverso la raccolta e l’analisi incrociata di fattori ambientali, climatici e colturale consentono di intervenire in modo mirato, risparmiando risorse materiali e temporali e garantendo una maggiore efficacia, con benefici sia qualitativi (sul prodotto finito) che quantitativi (sulle rese). Si tratta di soluzioni che possono portare a un aumento delle rese fino al 20% a fronte di razionalizzazione degli input produttivi fino al 30%. Il tutto, in un contesto di miglioramento anche qualitativo (ad esempio, ottimizzazione del grado zuccherino nelle uve, riduzione/eliminazione di residui di prodotti chimici nel prodotto finale). Ma l’innovazione digitale non si ferma al campo: le tecnologie consentono infatti di comprendere il momento più opportuno per la raccolta e gestirla, se necessario, in più fasi, in modo da cogliere il prodotto nel momento più indicato a seconda dell’utilizzo che ne verrà fatto lungo la filiera.

 

Blockchain per la tracciabilità dei prodotti alimentari : un’applicazione IBM
La tracciabilità dei prodotti

In secondo luogo, emerge con forza il tema della tracciabilità di filiera, che, grazie alle tecnologie digitali diventa meno onerosa: da una ricerca condotta dall’Osservatorio Smart AgriFood (Politecnico di Milano – Università degli Studi di Brescia), è emerso che il 36% delle aziende agroalimentari italiane che hanno implementato progetti di innovazione per la tracciabilità hanno riscontrato una riduzione dei tempi e dei costi legati ai processi di raccolta, gestione e trasmissione dei dati rispetto allo scenario “pre-innovazione”. Un trend identificabile anche sul territorio emiliano, dove le aziende riconoscono il potenziale delle tecnologie nel favorire la raccolta di una grande mole di dati, consentendo così di garantire l’origine di tutte le componenti di un prodotto.

Le tecnologie digitali, inoltre, trasformano l’approccio stesso alla tracciabilità: si comincia a notare un crescente interesse verso l’adozione di sistemi avanzati per la tracciabilità da parte delle aziende, guidate non solo dalla necessità di rispondere ai requisiti di legge, ma dalla consapevolezza che è così possibile creare valore lungo tutta la filiera: oltre alla tracciabilità di lotto in caso di problemi, infatti, il digitale aggiunge i miglioramenti in termini di efficienza e maggiore garanzia di veridicità dei dati nel conseguimento delle certificazioni alimentari, un controllo logistico in real time, e un miglioramento complessivo della gestione della supply chain attraverso una maggiore “visione” sull’intera filiera che consente di ottimizzare scorte, ridurre sprechi, e conseguentemente migliorare le relazioni con i fornitori. Oltre agli strumenti “tradizionali” di tracciabilità alimentare (Barcode, RFId ed ERP), si inizia a osservare un certo interesse (anche se ben poche sperimentazioni) rispetto a IoT e blockchain.

Monetisation

Infine, il tema della data monetization sta assumendo una certa centralità nei modelli di business: grazie alla sensorizzazione, un singolo trattore, in un anno, può generare fino a 1 Terabyte di dati. Solo in Italia, questo significa almeno 1 milione di Gigabyte di dati generati dai mezzi in campo, a cui vanno aggiunti dati provenienti dall’ambiente, dai magazzini, dagli allevamenti, ecc. che, una volta identificati, raccolti e analizzati possono fornire informazioni di valore per le aziende agricole: pianificazione delle colture, ottimizzazione dei cicli di raccolta, e, con riferimento alla filiera, manutenzione predittiva, inserimento di variabili di comportamento di acquisto nei piani di produzione, ecc.

 

Stilizzazione della digitalizzazione in una industria di trasformazione alimentare

Le prospettive future

Alla luce dello scenario tracciato, è possibile evidenziare tre principali direttrici innovative che si possono attendere per il futuro della manifattura e dell’agroalimentare emiliano romagnolo. Innanzitutto, il trend del data-driven management e della crescente cultura del dato appare prodromico a una crescente presa di consapevolezza di quanto il dato sia una vera e propria merce, e in quanto tale una risorsa spendibile tanto nei processi produttivi quanto come oggetto di scambio in sé. Se i primi esperimenti di smart quality e predictive maintenance stanno dando risultati molto promettenti, il percorso da fare è ancora molto lungo, specie in considerazione del fatto che non di rado il punto di partenza delle imprese è l’introduzione di sistemi gestionali con caratteristiche più moderne rispetto a sistemi di legacy ultradecennali o, addirittura, l’assenza di ERP. Per questo, le soluzioni attualmente in uso appaiono perfettibili, potenziabili attraverso una maggiore interoperabilità con macchine e sistemi commerciali (es. CRM) e l’introduzione di sistemi di Intelligenza Artificiale.

Il secondo ambito rispetto al quale ci aspettiamo uno sviluppo considerevole negli anni a venire è quello del rafforzamento dei sistemi di gestione dei rapporti di fornitura, tanto come evoluzione naturale della tracciabilità e della certificazione di filiera attraverso la sensorizzazione della fabbrica e dei campi, la diffusione di sistemi di tracciatura leggeri e sofisticati, e magari tecnologie basate su blockchain in grado di creare piattaforme di certificazione peer-to-peer, quanto come evoluzione del modello di business.

Ultimo, ma certamente non per importanza, è il tema dell’evoluzione delle competenze per abbracciare l’innovazione digitale. Se è vero che i trend di cultura del dato, orientamento al servizio, allineamento sono cogenti e paiono ineluttabili, le imprese del territorio evidenziano la delicatezza della transizione in quanto a rischio di creazione di frizioni con il nucleo operativo e manageriale dell’azienda, che, in quanto vero differenziale competitivo percepito, rischia di creare inerzie al cambiamento non solo perniciose in sé, ma con possibili effetti collaterali sull’attività tradizionale dell’impresa. Per questo motivo, il fattore critico di successo, al di là delle soluzioni tecnologiche, pare essere rappresentato dalla capacità di condividere internamente la visione e la necessità del cambiamento.














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