Ex-Embraco: al via il polo dei compressori per il bianco tra Piemonte e Veneto

Si tratta del primo caso di politica industriale in Italia da lungo tempo, e prevede il salvataggio di 700 addetti. L’investimento complessivo misto pubblico-privato sarà di 50 milioni

Embraco
Embraco, veduta aerea dello stabilimento di Chieri (dal sito ufficiale dell'azienda)

Dar vita a un maxi polo dei compressori per elettrodomestici, prevalentemente per la catena del freddo, per risolvere due situazioni aziendali difficili. È l’obiettivo del piano industriale presentato dalla sottosegretaria al Mise Alessandra Todde, che ha per oggetto la fusione tra la ex-Embraco (Riva di Chieti, Torino) precedentemente controllata da Whirlpool, e la Acc di Mel (Belluno), abbandonata al suo destino dai cinesi.

 







L’investimento complessivo misto pubblico-privato per il piano industriale messo in atto è di circa 50 milioni di euro e riguarda 700 addetti. Il polo entrerà in funzione a pieno regime entro il 2024, e prevede la produzione di 6 milioni di compressori all’anno per clienti quali Bosch, Electrolux e Whirlpool «L’obiettivo – dichiara Todde – è arrivare a fine piano alla piena occupazione, nel frattempo si garantirà la cassa integrazione e la formazione».

 

Il caso Embraco

Non troppi ricordano che la Fiat (ora Fca) non si occupava solo di auto. Nei tempi in cui era la maggiore casa produttrice europea nel settore delle quattro ruote, aveva una divisione, Fiat Aspera, che produceva frigoriferi. «Avevano un grosso maniglione e gli spigoli arrotondati» – ricorda Castro. Lo stabilimento di Riva di Chieri (Torino) fu costruito appunto da Fiat Aspera, per poi essere ceduto, nel 1985, a Whirlpool, gigante a stelle e strisce, ma globalizzato, del Bianco. Whirlpool investì molto, tanto che alla fine dello scorso secolo l’impianto contava circa 2.500 dipendenti. All’inizio del nuovo secolo Whirlpool cedette lo stabilimento ad una controllata brasiliana, Embraco. Questa, nel 2004, apre uno stabilimento in Slovacchia e annuncia 812 esuberi. Per evitare il disastro il 21 luglio 2005 la Regione Piemonte stipulò un’intesa con l’azienda: si legge che la Regione erogò «a Finpiemonte (la finanziaria regionale) l’importo complessivo di 7,7 milioni di euro quale somma per l’acquisizione del compendio immobiliare della società Embraco Europe».

D’altra parte Embraco si impegnò a realizzare «un piano di reindustrializzazione» caratterizzato dall’aumento della capacità produttiva di una certa linea «e dal conseguente nuovo riassetto degli organici pari a 485 unità con l’impegno dell’Azienda a non attivare procedure di mobilità unilaterale fino al 31 gennaio 2011». In realtà, restano più lavoratori. Anche il governo e la Provincia aprirono il portafoglio, rispettivamente con 5 milioni e 500mila euro. Nel 2014 Embraco ci riprova; ma anche in questo caso viene fermata da un nuovo protocollo con la Regione, che “sgancia” altri 2 milioni in cambio di nuovi investimenti. Intanto la forza lavoro è assai dimagrita. Si arriva dunque al novembre del 2017. Embraco prima annuncia la riduzione della produzione in Piemonte; ma già due mesi dopo mette le carte sul tavolo: le attività vanno spostate in Slovacchia e i 497 dipendenti vanno collettivamente licenziati.

Il ministro dello Sviluppo Economico apre il negoziato con l’azienda e le chiede di sospendere i licenziamenti e consentire la cassa integrazione allo scopo di avere il tempo per esaminare proposte di reindustrializzazione dell’impianto. Il 15 gennaio l’Embraco conferma di volere azzerare la produzione in Italia nel 2018 con chiusura di Riva di Chieri e con i licenziamenti. Un operaio si incatena ai cancelli. Il 14 febbraio il ministro scrive alla commissaria europea alla concorrenza Margrethe Vestager per chiedere che sulla vicenda Embraco monitori «le politiche fiscali e di incentivi diretti» del governo slovacco per «accertarsi» che rispettino le regole Ue sugli aiuti di Stato. Il ministro vuole «attirare l’attenzione» sui «ripetuti fenomeni di delocalizzazione» di aziende dall’Italia verso la Slovacchia. Il 18 febbraio Embraco ribadisce il no alla Cig, scatenando l’ira del ministro: «Non incontro più questa gente».

Il 2 marzo, le goodnews: «È stato raggiunto l’accordo sulla sospensione dei licenziamenti per avere il tempo di operare sulla reindustrializzazione, quella su cui Embraco e Whirlpool si sono impegnate – rende noto Calenda -: fino a fine 2018 i lavoratori avranno lo stipendio pieno. Siamo soddisfatti». Ma come ha fatto Calenda a convincere Embraco a tornare indietro? Secondo Castro, le cose stanno così: «Quelli di Embraco ballavano la samba, e invece avrebbero dovuto ballare country. Facevano finta di essere brasiliani, e di non conoscere Whirlpool. Invece Calenda ha ricordato loro di far parte di un gruppo più vasto, e che la partita si sarebbe giocata ad un livello più alto. Ora, Whirlpool ha investito molto in Italia: l’accordo con le parti sociali al Mise del 2015 prevedeva una spesa di 513,5 milioni di euro. Lo Stato, da parte sua, ci ha messo gli ammortizzatori, e così sono stati salvati stabilimenti e posti di lavoro. La verità è che la Whirlpool non voleva entrare in conflitto con lo Stato, perché vuole restare in Italia. Poi Whilrpool e il governo italiano, con più calma, cercheranno qualcuno che arrivi a Riva di Chieri. L’operazione è facilitata dal fatto che Embraco, controllata al 100% da Whirlpool, è fornitore del suo gruppo solo per i 50% della produzione. Per l’altra metà è un sito produttivo indipendente».














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