La verità sull’ecosistema start-up made in Italy

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di Marco Frojo ♦ Crescono gli investimenti e per la prima volta gli investitori informali (Family Office, Crowdfunding) hanno superato quelli formali (Venture Capital). In attesa degli angeli nazionali ci pensano gli stranieri a raddrizzare le sorti degli innovatori

Il mondo delle startup italiane mostra incoraggianti segnali di crescita. In tutto il 2017 gli investimenti affluiti verso questa tipologia di società sono infatti cresciuti del 20% rispetto ai dodici mesi precedenti, arrivando a quota 261 milioni di euro. Questa cifra è stata calcolata dal Politecnico di Milano che ha combinato i dati di fonti primarie e secondarie, arrivando così a un numero esaustivo di tutto ciò che è avvenuto nell’ecosistema delle startup nell’ultimo anno.

La crescita degli investimenti è stata realizzata nonostante gli attori formali (Venture Capital indipendenti, fondi di Corporate Venture Capital aziendali, il Governmental Venture Capital e le Finanziarie Regionali) abbiano fatto scendere a 80 milioni (-21% rispetto al 2016) il loro contributo – si tratta del secondo calo dal 2012 dopo il -23% del 2014. Il dato è certamente negativo ma non preoccupa più di tanto gli esperti del Politecnico.







La diminuzione degli attori formali caratteristica strutturale

«La diminuzione non deve suscitare allarmismi e merita una lettura seria e profonda – si legge nell’Osservatorio Startup Hi-tech 2017 – In particolare, riteniamo che questo calo del contributo degli attori formali agli investimenti sia espressione delle caratteristiche strutturali del nostro ecosistema. Negli ultimi sei anni, infatti, si è assistito spesso ad andamenti altalenanti, dove le dimensioni ancora ridotte degli investimenti complessivi potevano essere influenzate significativamente da poche grandi operazioni dell’ordine delle decine di milioni di euro; sarebbe inoltre poco corretto imputare il calo ad errori o colpe dei fondi, in quanto il loro operato è coerente con la dotazione iniziale in loro possesso».

Nonostante il dato sia nel suo complesso negativo non mancano comunque note positive, a partire dal fatto che è aumentato il taglio medio di investimento: circa il 70% delle operazioni supera infatti i 500.000 euro. Questo significa che anche in Italia è possibile ottenere round di fascia medio-alta che aiutino le startup a proseguire nel processo di crescita. Anche in questo caso di tratta di un piccolo passo di avvicinamento ad ecosistemi più maturi e con dotazioni finanziarie estremamente più alte, come per esempio Stati Uniti, Gran Bretagna, Israele, Germania e Francia. «L’ecosistema startup hi-tech italiano continua purtroppo a soffrire di un cash shortage a monte e dovrebbe essere sostenuto da opportuni strumenti ed operazioni ad esso interamente destinati e dedicati – proseguono gli esperti del Politecnico – Si veda in tal senso l’iniziativa ITATech della Cassa depositi e prestiti (CDP) e del Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI)».

 

Start-up

Crescono gli investitori informali

A far da contraltare al minore contributo arrivato dai finanziatori formali sono stati quelli informali, ovvero Venture Incubator, Family Office, Club Deal, Angel Network, Independent Business Angel e piattaforme di Equity Crowdfunding, che hanno toccato quota 89 milioni con un balzo del 10% rispetto al 2016. L’anno scorso, dunque, per la prima volta dal 2012, si è registrato il sorpasso degli investimenti informali su quelli formali, guidato prevalentemente dalle componenti degli Angel Network e dei Business Angel indipendenti, nonché da una forte crescita dell’Equity Crowdfunding che raddoppia il suo valore per una stima pari a oltre 10 milioni di euro.

Il balzo di queste due componenti non è casuale e la ragione va cercata negli incentivi legati al 30% di detrazione fiscale sulle somme investite in startup e Pmi innovative. «Anche questo risultato non deve sconvolgere – si legge ancora nell’Osservatorio – La letteratura scientifica in ambito venture financing da diversi anni evidenzia che il comparto informale può contribuire in modo complementare e addirittura superiore rispetto a quello formale nel finanziamento alle startup. Inoltre, considerando la distribuzione della ricchezza nel Paese, l’Italia mostra una elevata percentuale di potenziali Angel che potrebbero guardare con interesse all’opportunità di investire in startup hi-tech. Il nostro Paese da questo punto di vista può e deve ancora maturare sotto l’aspetto culturale, con riferimento alla nostra tradizionale scarsa propensione al rischio e al terrore per il fallimento».

Le startup italiane fanno gola agli investitori stranieri

La componente che mostra il trend di crescita più significativo (e che di fatto compensa ampiamente la diminuzione da parte del mondo formale) è legata agli attori internazionali, i cui investimenti nel 2017 hanno raggiunto i 92,17 milioni di euro, +163% rispetto ai 35 milioni di euro nel 2016. Questo dato, estremamente positivo, è tuttavia impattato in maniera netta da una singola grande operazione il cui valore di oltre 40 milioni di euro pesa per quasi la metà di tutta la componente, nonché per quasi un sesto degli investimenti totali in startup hi-tech italiane nell’anno.

Risulta in ogni caso evidente il crescente interesse da parte di player internazionali per le startup italiane. I capitali sono arrivati soprattutto dall’Europa (il 51,4% del totale), dagli Stati Uniti (38,1%), da Israele (7,3%) e dalla Russia (0,5%). All’interno del dato europeo c’è un 35,9% arrivato da investitori con sede in Gran Bretagna, un 24,5% dal Benelux e un 19,1% dalla Svizzera. La stragrande maggioranza degli investimenti internazionali, infine, proviene da attori formali: 77,04 milioni di euro, pari all’83,6% del totale.

 

In arrivo un fondo da 100 milioni targato Cariplo

Nel corso di quest’anno sono state inoltre varati alcuni importanti progetti che potranno dare un significativo impulso alla crescita futura. È stato per esempio annunciato un fondo di venture capital da 100 milioni di euro dedicato a growITup, la piattaforma di Open Innovation creata nel 2016 da Cariplo Factory in partnership con Microsoft (ne abbiamo parlato qui ).  Fondazione Cariplo, Intesa Sanpaolo e il Fondo Italiano d’Investimento hanno segnalato il proprio interesse a partecipare al fondo e il Final Closing è atteso entro la fine del 2018. L’obiettivo finale è estremamente ambizioso: aumentare del 100% gli investimenti in startup italiane ogni anno fino ad arrivare a un miliardo di euro di investimenti entro il 2020.

Nel suo arco di vita, stabilito in 10 anni, il fondo prevede dai 10 ai 20 investimenti in round post-seed e dai 7 ai 15 investimenti in round A (in media 45 milioni di euro). Le aree di investimento del fondo sono rappresentate da sette industry tipiche del Made in Italy: Fintech & Insurtech, Agro-Food, Energy & Environment, Manufacturing 4.0, Italian Experience (Tourism, Culture & Entertainment), Fashion & Design e Modern Wellbeing (Health & Wellbeing).

 

Carlo Mango, consigliere delegato Cariplo Factory e growITup executive

«Non andremo a finanziare startup nella loro primissima fase ma aziende che abbiano già avuto qualche successo – ha spiegato Carlo Mango, consigliere delegato Cariplo Factory e growITup executive – Staremo su una quota di investimenti tra uno e dieci milioni di euro, perché sotto quella cifra intervengono family & friends e i business angels, sopra ci sono i venture capitalists. Gli americani la chiamano la Death Valley, la valle della morte, perché è una fase intermedia nella quale è particolarmente difficile per una startup reperire finanziamenti. Il fondo sarà indipendente e separato da Cariplo Factory. Le startup prescelte per il finanziamento non arriveranno necessariamente da growITup. La valutazione sarà responsabilità di professionisti incaricati di giudicare le opportunità di investimento».

I numeri delle startup italiane

Ad oggi le società iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese dedicata alle startup innovative (istituito nel 2012) sono 8315 ed hanno una forte diffusione geografica. Ce n’è almeno una in 1.518 comuni italiani (su quasi 8.000) e in tutte le province del Paese. I grandi centri, però, fanno da poli. Soprattutto Milano, dove ce ne sono 1207, il 14% del totale e il 62% della Lombardia. Molte più di quante non ce ne siano nelle altre due regioni che compongono il podio: Emilia-Romagna (862) e Lazio (813). Le startup innovative rappresentano però ancora una frazione ridotta delle società di capitali attive in Italia: sono pari allo 0,67%. L’incidenza è ben oltre la media ad Ascoli Piceno e Trieste (1,88%). Tra le grandi province, Milano supera la media nazionale (1%, al decimo posto), mentre Roma è al di sotto (0,41%, al 71esimo).

Secondo la più recente Relazione Annuale 2017 al Parlamento sulla strategia nazionale in favore delle startup e delle Pmi innovative redatta dal Ministero dello Sviluppo economico, i cui dati sono aggiornati al 30 giugno 2017, tra il 2013 e il 2016, il valore della produzione aggregato espresso dalle startup innovative è cresciuto di più di una volta e mezzo (+178,7%), passando dai 143 milioni di euro registrati a fine 2013 agli oltre 380 milioni di fine 2016. Al netto dei valori mancanti e delle startup che hanno cessato l’attività, il valore della produzione medio per impresa risulta quasi triplicato, passando da poco più di 110mila euro nel 2013 a oltre 320mila nel 2016. Dai dati raccolti dal Mise emergono però anche le ridotte dimensioni delle startup italiane: il 70% ha fatto registrare un fatturato 2016 inferiore ai 100mila euro.

Più nel dettaglio, circa una su quattro ha dichiarato un giro d’affari di meno di mille euro e in 693 casi addirittura pari a zero. Il 30% di startup che supera la soglia dei 100mila euro, invece, rappresenta oltre il 90% del fatturato complessivo della popolazione. Una rilevanza significativa assume, sia dal punto di vista del numero di startup incluse che dei valori espressi, la classe di imprese compresa tra 100mila e 500mila euro: costituiscono poco meno di un quarto del totale in termini numerici e circa un terzo per quel che riguarda il valore della produzione. Il 7% delle imprese attualmente iscritte al registro dedicato alle imprese innovative ha superato nel 2016 i 500mila euro di fatturato: tra queste, 139 (il 2,9% del totale) si sono attestate al di sopra del milione.

 

Carlo Calenda, Ministro dello Sviluppo Economico
La politica e gli incentivi per le startup

Da settembre 2013, le startup innovative possono ottenere una garanzia sul credito bancario da parte del Fondo di Garanzia per le Pmi, che copre fino all’80% di ciascuna operazione, per un massimo di 2,5 milioni di euro. A quattro anni dall’entrata in vigore, sono stati erogati finanziamenti per di 573 milioni di euro, destinati a 1661 startup e Pmi innovative.Inoltre l’iniziativa di finanza agevolata Smart&Start di Invitalia lanciata nel 2015 e rifinanziata dalla legge di Bilancio 2017 ha permesso l’erogazione di 15 milioni di fondi. Anche il dato sull’equity crowdfunding sembra dimostrare l’utilità del provvedimento: sono stati raccolti 18,3 milioni di euro con 96 nuove campagne solo nel 2017.

«È difficile spiegare perché il mercato del corporate venture capital italiano non registri una performance pari alla posizione che l’Italia occupa in Europa tra le economie manifatturiere, visto che davanti abbiamo solo la Germania. L’innovazione è un fenomeno che deve essere alimentato e al contempo governato per evitare le possibili distorsioni», ha commentato il ministro Carlo Calenda rilevando che, nonostante i recenti progressi, l’ecosistema delle startup italiane soffra ancora di nanismo se confrontato con quelle delle altre grandi economie europee. Più di recente, però, il mondo delle startup è rimasto deluso dalla bocciatura dell’emendamento alla legge di bilancio che prevedeva che il 3% dei fondi Pir fosse destinato al venture capital che investe in startup e Pmi innovative. Il contributo che la politica può dare allo sviluppo delle startup è però ancora significativo.

 

Paola Bonomo
Paola Bonomo, Business angel dell’anno 2017

 

«Lo scorso 26 settembre la giornata di inaugurazione del Fintech District a Milano, organizzata da Banca Sella con la partecipazione delle istituzioni e del Ministro Pier Carlo Padoan, è stata dedicata proprio a questo tema – ricorda Paola Bonomo, che di recente ha vinto il premio Business Angel dell’anno 2017 – Le istanze emerse dalle startup italiane sono molteplici, ma tra i temi ricorrenti possiamo citare la necessità di un Regulatory Sandbox e la possibilità di condurre attività di premarketing in fase di avvio e sperimentazione controllata di nuove attività e nuovi modelli di business; la semplificazione dei processi autorizzativi e la comunicazione chiara dei tempi certi di rilascio di autorizzazioni e nulla osta da parte dell’Autorità di Vigilanza; e il superamento del codice fiscale come dato necessario per l’apertura di contratti bancari.»

«Bankitalia ha dato un primo segnale positivo annunciando che attiverà un “canale fintech”, una sorta di sportello unico per le startup del settore; gli operatori, dal canto loro, hanno partecipato con grande impegno alle audizioni dell’indagine conoscitiva sul fintech promossa dalla Commissione Finanze della Camera: insomma, direi proprio che qui abbiamo “studiato” abbastanza, ed è tempo di passare dalle parole ai fatti» conclude Bonomo.














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