Dove vuole arrivare lo Smact, il competence center del Triveneto

di Marco de' Francesco ♦︎ Al via i bandi. Focus su intelligenza artificiale, IoT, big data. Tra i soci Carel, Electrolux, Schneider, Danieli, Pam, Banca Intesa

Lo Smact, il competence center veneto, vorrebbe essere il primo tra gli otto selezionati dal Mise a tagliare il traguardo. È tutto pronto: entro la fine del mese saranno pubblicati i bandi che consentiranno alle aziende di presentare progetti di ricerca applicata all’industria, in materie particolari come ad esempio l’intelligenza artificiale utilizzata per il retail. Se passeranno al vaglio dello Smact, i piani saranno co-finanziati fino al 50% della spesa, e le imprese vincitrici potranno fruire dell’ingegno e della capacità di otto università, due centri di ricerca, nonché delle abilità di provider di tecnologia e servizi. Il competence center del Triveneto, società consortile per azioni finanziata a fine aprile con 7 milioni dal Mise, è costituito da 40 fra enti pubblici e privati, e si autodefinisce “giunto strutturale tra il sistema della ricerca e quello delle imprese”.

Il suo compito è quello di realizzare il trasferimento tecnologico, e cioè di tradurre invenzioni scientifiche in processi e prodotti industriali. Non è il primo ente ad avere intrapreso questa strada sul territorio: si sono avverate, finora, solo esperienze isolate che si sono concluse anzitempo. Ma allo Smact pensano che quegli insuccessi non siano destinati a ripetersi, per via dell’ampiezza dell’offerta, ben strutturata e integrata da soggetti diversi. Per esempio, sono in corso di realizzazione tre live-demo, piccole fabbriche dove le imprese possono toccare con mano i vantaggi della digital transformation. Ne abbiamo parlato con i docenti Fabrizio Dughiero, prorettore dell’università di Padova e presidente del consiglio di gestione dello Smact, e Carlo Bagnoli, delegato di strategy innovation all’università Ca’ Foscari di Venezia nonché consigliere nel comitato guidato da Dughiero.







 

Che cos’è lo Smact

Uno dei grandi problemi del Nordest è sempre stato quello del mancato trasferimento tecnologico. Il processo di conversione di invenzioni scientifiche in prodotti e processi industriali si è avverato in maniera saltuaria e insufficiente. Così, una parte dell’atomistico mondo delle imprese trivenete è rimasto complessivamente ai margini delle grandi linee di sviluppo dell’industria più avanzata, anche a causa dell’asimmetria di linguaggio tra accademie e azienda e della mancanza di una realtà strutturata quanto a offerta tecnologica. Si sono avverate solo esperienze isolate e frammentarie, talvolta oggetto di scadenze repentine e inattese. Parchi tecnologici, società di consulenza e altro non sono stati in grado di mantenere la promessa di una contaminazione continua tra chi sa e chi deve fare. Si pensi a Veneto Nanotech, la società pubblico-privata costituita nel 2003 per coordinare le attività del distretto per le nanotecnologie voluto dalle università locali, dal Miur e dalla Regione Veneto. In circa 10 anni aveva sviluppato prodotti e processi innovativi in settori diversi, come l’aerospazio, la meccatronica, l’agroalimentare, la meccanica, i tessile, l’ambiente e la salute. Aveva attivato circa 400 commesse del valore medio di 25mila euro, supportando aziende venete come Benetton ma anche di altre regioni, come Enel, Ducati, Ferraris. Poi, nel 2015, la mancata ricapitalizzazione. Per una manciata di euro (2,8 milioni) si chiudeva in anticipo questa importante esperienza.

Il mancato trasferimento è un limite che il Triveneto ha scontato con la perdita di una infinità di aziende, una volta uscite dalla comfort zone della lira deprezzabile e del mercato nazionale. Il confronto globale è un’altra cosa. È un mondo in cui nessuno può fare da sé: non sopravvive il più forte, ma chi sa organizzarsi meglio, al proprio interno e con gli altri. A questa esigenza risponde lo  Smact, che si autodefinisce “giunto strutturale” tra il sistema della ricerca e quello delle imprese. Smact-CC sta per “Social network, mobile platforms & apps, advanced analytics & big data, cloud, internet of things”; è detto anche in breve Scc, ed è un competence center. Questi, annunciati ai tempi della presentazione del piano Industry 4.0, nel 2016, sono stati costituiti con due anni di ritardo, e sono stati finanziati con le risorse della manovra 2018. Attualmente sono otto: a parte lo Smact, quelli di Milano, Torino, Genova, Bologna, Pisa, Roma e Napoli. A differenza dei digital innovation hub, che hanno una connotazione territoriale, i competence center operano su tutto il territorio nazionale, essendo distinti per temi e tecnologie. Ad esempio, il focus del Made di Milano sono le tecnologie digitali per la fabbrica 4.0; quello del Cim 4.0 di Torino l’automotive, l’aerospazio e l’automazione. Tornando allo Samct, organizzare la pluralità con la condivisione delle competenze è il suo modus operandi dichiarato. L’idea è quella di porsi come unicum, come attore forte e indiscusso della gestione degli skill. Non è facile. Il 30 aprile il Mise ha siglato il decreto di concessione di 7 milioni di euro di finanziamento al competence center; questo, una settimana dopo, a seguito di una attenta selezione, ha assunto un direttore generale, Andrea Tellarini che, dalla sede amministrativa (Il campus di San Giobbe dell’università Ca’ Foscari) avrebbe dovuto occuparsi di direzione organizzativa e strategica. Poi, non tutti i fidanzamenti sono destinati a concludersi con le giuste nozze. Per un qualche motivo, lo Smact e Tellarini si sono separati anzitempo. Per Dughiero non c’è fretta di nominarne un altro. «Ci penseremo con calma, forse a settembre. In altri competence center non c’è neppure, il general manager. Si lavora ugualmente».

Fabrizio Dughiero, prorettore dell’università di Padova e presidente del consiglio di gestione dello Smact

In dirittura d’arrivo i bandi presentati dalle imprese per realizzare progetti di ricerca applicata in materia industriale

«Forse saremo i primi a pubblicare i bandi, a fine settembre» – afferma Dughiero. Sono già stati deliberati dallo Smact, anche a seguito di un lavoro di coordinamento tra i competence center, che dialogano tra di loro al Mise. «Abbiamo subito capito che quando si parla di bandi e di rendicontazioni, è meglio confrontarsi fra pari. Noi siamo avanti sulla tabella di marcia, e avremmo già potuto concludere questo passaggio, ma abbiamo preferito non intraprendere una strada in solitaria». I bandi dello Smact sono detti Irss, termine che associa l’innovazione, la ricerca industriale e lo sviluppo sperimentale. Le tre grandi macroaree sulle quali aziende grandi e piccole, ma anche raggruppamenti di aziende, potranno presentare progetti. Nella pratica, i bandi indicheranno materia specifiche. «Ad esempio – continua Dughiero – l’intelligenza artificiale applicata al retail, algoritmi di machine learning per il processo produttivo, nuove modalità di utilizzo della realtà aumentata per verificare la qualità dei prodotti, e tanto altro». Chi partecipa al bando dovrà realizzare nella propria azienda uno show-room per illustrare ad aziende terze i risultati pratici conseguiti. Per i bandi, lo Smact ha a disposizione 2,7 milioni di euro. «Ma non intendiamo impegnarli tutti subito – chiarisce Dughiero -: l’idea è quella di spenderne una parte, compresa tra gli 1,5 e gli 1,8 milioni. D’altra parte, i progetti vanno co-finanziati dalle aziende, fino al 50%». Dopo un mese e mezzo dalla pubblicazione dei bandi, le aziende sapranno quali progetti sono stati approvati. Si è detto che possono partecipare anche aggregazioni di imprese. «L’idea è quella di associare un’azienda grande e alcune piccole, per fare del trasferimento tecnologico un beneficio di filiera. E ciò in base ad accordi soft, senza troppi pesi burocratici: si tratta di indicare che alcune imprese lavorano insieme. Il finanziamento viene concesso alla capofila». Il progetto sarà seguito, dal primo all’ultimo giorno, da un project manager: «Un monitoraggio a garanzia del risultato che si intende ottenere».

Lo scenario apllicativo di Industria 4.0

La domanda: aziende medie già avanzate nella trasformazione digitale svilupperanno casi pilota per le Pmi che intendono accedere ai servizi dello Smact

La logica è quella della piattaforma, che unisca domanda e offerta. Sul primo fronte, le imprese alla ricerca delle competenze e delle tecnologie; quelle offerte dallo Smact, come vedremo, sono soprattutto l’internet of things e l’industrial internet of things. Tra queste, un primo nucleo di imprese partner, pronto a sviluppare progetti di innovazione, ricerca industriale e sviluppo sperimentale. Questi progetti dovranno rappresentare casi pilota e dimostrazioni pratiche per le Pmi che accederanno ai servizi di Smact. Secondo il competence center, la selezione del partenariato ha privilegiato imprese di medie e grandi dimensioni, poche ma consistenti per fatturato, attività di trasferimento tecnologico e collaborazione con università.

Infatti si tratta di nomi conosciuti: Aspiag Service, concessionaria del marchio Despar Nordest, fa parte del Gruppo internazionale Spar Austria e aderisce al Consorzio Despar Italia che riunisce tutte le concessionarie del marchio sul territorio nazionale; il gruppo Brovedani di San Vito al Tagliamento (Pordenone) che costituito da sette società e otto unità produttive, si occupa di macchine speciali, automazione e componenti meccanici di precisione; la padovana Carel Industries, azienda quotata in Borsa che ha chiuso il 2018 con ricavi per 280 milioni e che produce soluzioni per l’efficienza energetica residenziale e industriale; Danieli & C. multinazionale italiana con sede a Buttrio (Udine), è uno dei leader a livello mondiale nella produzione di impianti siderurgici; con quasi 10mila dipendenti, l’anno scorso ha fatturato 2,7 miliardi; Officine Meccaniche; l’azienda di consulenza informatica di Villorba (Treviso) Eurosystem; il Gruppo Pam, colosso veneziano della grande distribuzione, con quasi 10mila collaboratori e un fatturato di 2,4 miliardi; la trevigiana Keyline, che realizza chiavi e macchine duplicatrici meccaniche; Microtec; l’azienda padovana di consulenza informatica Miriade; la società veneziana di abbigliamento Ovs, che l’anno scorso ha conseguito ricavi per 1,5 miliardi; il gruppo veneziano Save, quello che gestisce l’aeroporto San Marco e lo scalo di Treviso; la trevigiana Texa, che produce analizzatori per gas di scarico, stazioni per la manutenzione dell’aria condizionata e dispositivi per la telediagnosi, destinati ad autovetture, moto, camion, imbarcazioni e mezzi agricoli; la padovana Tfm Automotive  & Industry, specializzata nella progettazione e realizzazione di componenti per l’industria e il settore automobilistico; la veneziana Thetis, società di ingegneria che sviluppa applicazioni tecnologiche per l’ambiente; e infine la triestina Wärtsilä Italia, il più grande produttore di motori diesel del gruppo finlandese Wärtsilä. Coinvolte anche le associazioni di categoria, ponte tra il competence center e il tessuto produttivo. Peraltro, Smact opererà in costante dialogo con le Regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia, e con le Province Autonome di Trento e Bolzano, soprattutto per la definizione di indirizzi di sviluppo locale e nella erogazione di finanziamenti per favorire la trasformazione digitale delle Pmi.

Foto dei soci nel giorno della costituzione di Smact scpa

L’offerta: obiettivo nuovi prodotti, servizi e modelli di business grazie a competenze accademiche e non solo

Il fronte dell’offerta è esteso e qualificato. Partecipano anzitutto al competence center otto università: Padova, Venezia Ca’ Foscari, Venezia Iuav, Verona, Trento, Bolzano, Udine e la Scuola superiore di studi avanzati, la Sissa. A questi atenei si aggiungono due centri di ricerca: la Fondazione Bruno Kessler e l’Istituto nazionale di fisica nucleare. Nel complesso, si tratta di oltre 155mila studenti, 6mila ricercatori e 300 brevetti che assicurano competenze e know-how necessari alla causa, che è quella, come chiarito dal Mise, di svolgere attività di orientamento e formazione alle imprese nonché di supporto nell’attuazione di progetti di innovazione, ricerca industriale e sviluppo sperimentale. Lo scopo, è quello di far sì che le aziende, soprattutto le Pmi, siano messe in grado di realizzare nuovi prodotti, processi o servizi grazie a tecnologie avanzate in ambito Industria 4.0. Agli atenei e ai centri di ricerca si aggiungono i provider tecnologici e quelli di servizi. Quanto ai primi, si tratta di Acca software, Adige, Corvallis, Dba Lab, Electrolux Italia, EnginSoft, Innovation Factory, Intesa Sanpaolo, Omitech, Optoelettronica Italia, Schneider Electric, Tim. Quanto ai secondi, sono LefPwC Advisory, e Umana. Secondo Dughiero, un simile spiegamento di competenze è necessario: «I bandi europei, ad esempio, si vincono solo così, mettendo insieme gli skill di più attori del territorio. Solo utilizzando la forza dell’aggregazione si raggiungono i risultati; altrimenti si creano strutture isolate, e non si va da nessuna parte. L’Ue, peraltro, mette a disposizione 9 miliardi di euro per progetti che possono essere realizzati dai competence center».

 

Il modello di business

Secondo Bagnoli «uno degli elementi sui quali si sta lavorando è il modello di business», che descrive le logiche secondo le quali un’organizzazione crea, distribuisce e raccoglie il valore. Per il professore, i problemi da risolvere non sono sul lato della domanda, ma su quello dell’offerta. «Non sarà per niente difficile reperire aziende in cerca di tecnologie e competenze; resta invece da chiarire il metodo di ingaggio dei docenti». Questi sono abituati a fare exploration, e cioè ricerca pura; si tratta di aiutarli a fare exploitation, e cioè sostenerli nella messa a terra delle idee. Capire quali siano i potenziali clienti, quale sia il giusto prezzo di un prodotto o di un servizio derivante dalla ricerca, procedere alla standardizzazione di questi ultimi. Che vanno posti sul mercato per reperire risorse, grazie alle quali lo Smact potrà prosperare. «Insomma, si tratta di individuare un processo di delivery di prodotti e servizi; non è semplice ma lo stiamo mettendo a punto».

Carlo Bagnoli, delegato di strategy innovation all’università Ca’ Foscari di Venezia nonché consigliere nel comitato guidato da Dughiero

La digital transformation si tocca con mano ai live demo

«Stiamo realizzando i primi tre live demo – afferma Bagnoli – piccole fabbriche dove le imprese possono toccare con mano i vantaggi della digital transformation». In tre campi particolari. Il TransFood-I4.0Veneto, situato nella fiera di Padova, si occupa di agrifood, ma presto sarà possibile implementare altri tipi di processi. L’Odyssea-I4.0Friuli Venezia Giulia, realizzato in Sissa e in parte nell’ateneo di Udine, sarà invece focalizzato sui gemelli digitali e altre tecnologie di frontiera. Quanto a Robo3D-I4.0 Trentino Alto Adige, che sarà operativo al Prom-Lab di Rovereto in collaborazione con le strutture di Noi Tech Park di Bolzano, si occuperà di meccatronica, robot, additive manufacturing. «Si parla di teaching factories, veri e propri poli di dimostrazione» – commenta Bagnoli. Sempre per Bagnoli, «ne realizzeremo altre due, in tema di fashion e di arredamento. Ma, per ora, concentriamoci sulle prime tre».














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