Dove vogliono arrivare i competence center?

di Gaia Fiertler ♦︎ Dal palco del Wmf di Cernobbio arrivano dichiarazioni di intenti e bandi per i progetti. Tutti gli otto competence si dicono pronti a partire dopo aver ricevuto la prima tranche da 70 milioni dal Mise. Ma generare reddito e sopravvivere sul mercato non sarà semplice

Sfide e opportunità che attendono i Competence Center da qui a tre anni: mettere in moto la macchina del trasferimento tecnologico alle imprese, intercettare il mondo delle pmi a livello di filiera per accelerare la trasformazione digitale dei processi, prodotti e modelli di business del nostro tessuto economico e, a monte di tutto ciò, garantirsi la sostenibilità economica.

Sono 73 milioni di euro i fondi stanziati dal Mise per l’avvio di questi otto hub di innovazione sorti nell’alveo del Piano Industria 4.0, cui se ne aggiungono almeno altrettanti come investimenti dal mondo produttivo in cash, tecnologie, attrezzature e personale. Questo il focus dell’incontro che si è svolto al World Manufacturing Forum di Cernobbio a fine settembre dal titolo “I Competence Center e i Dih: l’ecosistema 4.0 raccontato dalle imprese”, che ha visto intorno al tavolo i rappresentanti di quattro degli otto competence center: Made di Milano, Cim 4.0 di Torino, Bi-Rex di Bologna e Artes 4.0 di Pisa, oltre al rappresentante di Confindustria alle Politiche industriali Andrea Bianchi.







Con un febbrile work in progress negli ultimi mesi, dopo l’approvazione dei finanziamenti da parte della Corte dei Conti e i primi bandi in arrivo entro il mese di ottobre (il primo è stato pubblicato da Smact che rappresenta le eccellenze del Triveneto), i neodirettori e amministratori stanno mettendo in piedi una complessa macchina pubblico-privata, con il compito di ridurre i ritardi dell’innovazione digitale in Italia e accelerare la diffusione della digital factory. Come?

I competence center in Italia

«Intanto facendo leva proprio su questo ritardo», spiega con una sferzata di ottimismo Enrico Pisino, l’amministratore delegato di Cim 4.0, il competence center che fa capo a Torino, con 23 grandi aziende tra cui Eni, Fca, Stmicroelectronics, Reply, Thales Alenia Space, Avio Aero, Michelin, Iren, Leonardo, Skf, Siemens e i due centri di ricerca dell’Università degli Studi e del Politecnico di Torino. «Arriviamo 5-6 anni dopo gli altri, a partire dalla Germania, ma possiamo imparare dagli errori altrui e noi fare anche meglio, perché siamo capaci di fare bene e meglio.» L’obiettivo primario di questi hub di innovazione sarà di accorciare i tempi del trasferimento tecnologico dal mondo della ricerca alle pmi italiane con progetti di innovazione finanziati (oggetto della maggior parte dei bandi in arrivo, progetti che abbiano una maturità tecnologica tra TRL 5 e 8, cioè siano in fase di industrializzazione e prototipazione), favorendo il network e le collaborazioni tra imprese e mondo della ricerca, nonché fare orientamento e formazione alle pmi, mettendo loro a disposizione competenze e soluzioni già disponibili. Proprio per questo scopo specifico, il primo bando di Cim 4.0 a differenza di quelli degli altri sarà circoscritto a valutare la maturità tecnologica di pmi e start-up, per mettere loro a disposizione le tecnologie e applicazioni già disponibili che non le abbiano ancora intercettate.

Enrico Pisino, ad di Cim 4.0

In generale, i manager di questi competence center dovranno governare un’articolata struttura a rete che comprende centri di ricerca, università, grandi aziende, provider tecnologici e piccole e medie imprese, che sono infatti le vere destinatarie del Piano Industria 4.0. Sembra proprio che sui nostri distretti industriali, che hanno fatto la forza e ricchezza dell’Italia in passato e che la globalizzazione non ha per niente spazzato via, si sia deciso di scommettere e investire. Gli otto competence center approvati dal Mise nascono infatti su un concetto di specializzazione che, in molti casi, coincide con una prossimità fisica dei diversi attori coinvolti. Il Cim 4.0 di Torino, per esempio, sarà specializzato sulla manifattura avanzata (metallic additive manufacturing) e sulla digital factory con tutte le tecnologie abilitanti, in particolare per i settori aerospace e automotive, su cui il Piemonte vanta delle eccellenze.

|Gli ambiti applicativi di Industria 4.0. |Giovanni Miragliotta|Lo scenario applicativo di Industria 4.0 per i prossimi anni.
La crescita del mercato 4.0 in Italia nel 2018. Osservatorio Industria 4.0 del Politecnico di Milano

Quello di Milano, Made, ha invece soprattutto provider tecnologici nella sua compagine consortile, anche concorrenti fra loro, con gli head quarter a Milano (39 aziende, tra cui Ibm, Italtel, Kilometro rosso, Kuka, Mbda, Parametric Technology, Prima industrie, Reply, RF Celada, Rockwell Automation, Sap, Sei Consulting, Sew Eurodrive, Siemens, STMicroelectronics, Techedge, Tesar, Trust4value, Whirlpool e 4 università lombarde), orientati all’intero ciclo di vita della produzione manifatturiera in chiave 4.0.

Marco Taisch, presidente di Made e professore del Politecnico di Milano

A sua volta Bi-Rex di Bologna, già forte come ecosistema industriale, al suo interno ha più pmi utilizzatrici (28) che non fornitori di tecnologie (17), pmi che rappresentano il 40% della sua compagine, e metterà in campo le competenze su big data e additive manufacturing dei suoi centri di ricerca, università (5 atenei e 7 enti di ricerca) e delle grandi aziende, applicati alle sue filiere principali: meccatronica, packaging, Ict, servizi (produzione e logistica), automotive, aereospaziale. Più tre di nicchia: biomedicale, agrifood ed energia e ambiente. Tra le grandi aziende “locali” del Consorzio ci sono Sacmi, che esprime il presidente del Consorzio Domenico Bambi; Bonfiglioli Riduttori, Ima e Philip Morris Manufacturing & Technology Bologna.

L’ecosistema creato da Bi-rex

Artes 4.0, invece, sarà focalizzato sulla robotica e le tecnologie annesse, facendo capo al Polo Sant’Anna Valdera a Pontedera, fortissimo nella bio-robotica con il prof Paolo Dario che è anche direttore scientifico del centro di competenza. Tuttavia Artes 4.0 è il centro di competenza con la compagine più estesa territorialmente e numericamente, con ben 7 Regioni coinvolte e 127 membri tra atenei, grandi aziende (Trenitalia, Comau, Esi Italia, Rea Impianti, Idrotherm 2000), pmi e start-up (tra tutti Tecnalia, Time, Laboratori Archa, Meccano, Alleantia, Certema, Mediavoice). «Le nostre principali sfide sono da un lato quella di farci conoscere sul territorio, proponendo a ciascun interlocutore la competenza giusta di un sistema così complesso, che intanto sto facendo conoscere e incontrare al suo interno per creare sinergie e opportunità di business. La seconda sfida sarà l’esecuzione dei progetti di ricerca applicata, che devono comprendere sia le aziende sia le università, tenendo conto dei tempi del mercato», commenta Lorna Vatta, il direttore esecutivo di Artes 4.0, ingegnere, manager in multinazionali della meccanica e, più di recente, consulente di start-up innovative.

Con la quarta rivoluzione industriale si moltiplicano le nuove professionalità

Portarsi a bordo le università in modo più convinto è uno degli obiettivi anche dell’amministratore delegato di Cim 4.0, Enrico Pisino, ingegnere a capo della ricerca e innovazione di Fca per la Regione Emea. E il manager guarda ancora più in là sugli obiettivi del centro: «Non solo dobbiamo completare il piano, favorendo il trasferimento alle pmi di tecnologie già mature e accelerando il trasferimento tecnologico di innovazione digitale e industriale, ma dobbiamo anche già pensare a cosa servirà alle imprese tra tre anni, in pratica agli sviluppi tecnologici possibili per essere pronti a rispondere al mercato e continuare a essere attrattivi.» La vera sfida per tutti è infatti quella di rendere sostenibile il proprio modello di business oltre i tre anni previsti dal Piano industria 4.0 con i primi finanziamenti approvati, continuando ad attirare anche capitali privati.

Lo sviluppo digitale delle aziende: il divario tra piccole e grandi realtà. Fonte EY

Bi-Rex già in questa prima fase ha ottenuto 14 milioni di euro dalle imprese tra cash e attrezzature, tecnologie e ore-uomo, contro i 7 milioni stanziati dal Mise: «Va riconosciuto il contributo dei privati già in questa fase di avvio. Certo dovremo continuare a essere attrattivi con i nostri servizi e opportunità di business e di innovazione industriale, arrivando al territorio nel modo più capillare possibile, perché se tutta la filiera cresce grazie all’innovazione di processo e prodotto se ne avvantaggiano tutti, compresa la capofila, con una riduzione dei costi e un aumento di ricavi. Ma certo non si può pensare che progetti di così profonda trasformazione industriale, come quella digitale in corso, non coinvolgano le istituzioni pubbliche con un respiro più ampio dei tre anni previsti per partire, come d’altronde avviene negli altri Paesi, dal Quebec alla Germania», commenta Stefano Cattorini, direttore generale di Bi-Rex di Bologna. Il focus ora è dunque sul far partire la macchina e renderla sostenibile, continuando ad attirare investimenti più che finanziamenti e casomai, proprio attraverso i primi, risultare credibili presso le istituzioni pubbliche e creare un circolo virtuoso in un orizzonte medio-lungo.

Come avviene la selezione dei progetti di innovazione da parte di Bi-Rex?

Pisino tra l’altro suggerisce di sfruttare i finanziamenti previsti per il trasferimento tecnologico da Horizon 2020 e Fabrizio Ferro, consigliere di Made, incoraggia a far partire la macchina, «a costruire la casa dove invitare a vedere come funziona l’Industria 4.0, a spiegare il Roi dell’investimento, a creare servizi che fidelizzino i clienti e, con il continuo sviluppo delle tecnologie, a far girare la ruota». Non fa una piega. Nella “casa” di Milano, nel campus della Bovisa del Politecnico, sono in arrivo entro la primavera 2020 duemila metri quadri di spazi espositivi, con linee dimostrative dell’intero ciclo di vita di prodotto e l’integrazione delle tecnologie abilitanti l’Industria 4.0 da parte dei vendor. L’obiettivo è quello di far toccare con mano come funzioni la produzione guidata dai dati e fare prototipazione rapida. A Torino, nell’ex complesso Mirafiori dove avrà sede il competence center nell’ambito di un progetto di rivalutazione del territorio industriale ancora più esteso, saranno visibili cinque linee pilota di manifattura avanzata per ogni filiera (automotive e aerospace) dove poter fare training on the job, una linea digitale per gli “use cases” e una “Enterprise Academy 4.0”, che formerà le competenze necessarie grazie a personale specializzato. Marco Taisch, presidente di Made e professore del Politecnico di Milano, presentando il Report 2019 “Skills for the future of manifacturing” ha richiamato tutti alle proprie responsabilità formative per lo sviluppo e la competitività del Paese: istituzioni, imprese, dipendenti. La prima raccomandazione del WMF è infatti quella di creare un mercato manifatturiero con una cultura della formazione continua: «Le istituzioni devono fare la loro parte, i datori di lavoro pure, ma anche i dipendenti devono svolgere un ruolo attivo per mantenersi sempre occupabili. Oggi non ci sono più scuse. Con tutti questi strumenti mobili a disposizione e le nuove modalità di apprendimento, l’aggiornamento continuo è davvero a portata di mano».

La mancanza di skill è il motivo principale per cui gli imprenditori non investono. Fonte Wmf

L’altra grande sfida per tutti sarà quella di rendersi riconoscibili e attrattivi con la propria specializzazione al di fuori del territorio di riferimento, assumendo un peso e una rilevanza nazionale e internazionale. È quanto auspica anche Confindustria, che sta collaborando alla creazione di questa “infrastruttura tecnologica permanente”, come l’ha definita Andrea Bianchi, il direttore Area Politiche Industriali di Confindustria, con l’ingaggio della ricerca e delle università da una parte, e l’avvicinamento del tessuto economico delle pmi dall’altra parte, grazie anche alle associazioni di rappresentanza datoriale. «Confindustria si è mossa subito dall’approvazione del progetto nel 2016 all’interno del Piano Industria 4.0, attivando sul territorio 20 c (Dih), punti di accesso al digitale, sportelli dove le imprese possono fare un self-assessment, messo a punto con Assoconsult e Politecnico di Milano, sulla propria maturità digitale e accedere quindi alle competenze e alle tecnologie che servono. «Più saranno chiare le specializzazioni di ciascun centro di competenza, più sarà facile per noi orientare le nostre associate a quello più funzionale, oltre la prossimità fisica che non sempre è la soluzione migliore in base alle diverse esigenze aziendali. Noi rappresentiamo la cinghia di trasmissione e dialoghiamo su due dimensioni con i competence center, quella territoriale ma anche quella più verticale, di carattere nazionale, in base alla peculiarità di ciascun centro», racconta Bianchi, che di recente ha creato un Digital Team, una cabina di regia con i direttori dei 20 Dih per avere una cornice di riferimento comune e condividere best practice ed esperienze.

Quali sono le competenze che chiedono le aziende? Fonte EY

Allo stesso modo, nonostante ogni Competence center abbia i propri obiettivi di business, al momento si respira un atteggiamento di collaborazione e sinergia tra i vari manager. Auspica così una «sana competitività, ma anche collaborazione con chi ci fosse una contiguità sinergica di interessi», Ferro di Made. Esorta a una «competizione leale» Pisino di Torino, che rassicura sul fatto che ci sarà spazio per tutti. Cattorini di Bologna spinge per creare un sistema coeso e organico tra centri di competenze e cluster tecnologici, dove la specializzazione non isoli, ma si faccia rete con le migliori esperienze italiane per creare sinergie: «Il segreto per trasformare questa complessità in ecosistema è la coesione». Voce un po’ fuori dal coro Lorna Vatta, che suggerisce di non esagerare con l’invito alla collaborazione: «Siamo anche noi delle start-up, e come ogni start-up che si rispetti dobbiamo focalizzarci sul nostro business». Ognuno con la propria strategia, ma ciascuno dei competence center avrà la sfida di coinvolgere il più possibile aggregazioni di imprese dentro e fuori le singole filiere proprio nella logica di una crescita del livello di innovazione e di competitività da monte a valle. «Nei bandi premieremo paternariati tra aziende capofila e pmi della filiera, o anche non della filiera da coinvolgere su progetti specifici, per una diffusione capillare delle tecnologie abilitanti l’Industria 4.0 e la creazione di un vantaggio competitivo con riduzione dei costi e aumento dei ricavi sull’intera filiera», precisa Stefano Cattorini, direttore generale di Bi-Rex.

Stefano Cattorini,direttore generale di Bi-Rex

Vatta sta pensando anche ad azioni di marketing che sfruttino le nuove tecnologie per una traduzione divulgativa dei concetti di robotica e biorobotica per renderli comprensibili dalle imprese. Il tema della filiera, da coinvolgere in progetti di innovazione sia verticali che orizzontali, ma comunque in una ottica di sistema, è il piatto forte che si giocherà anche nella prossima Legge di Bilancio, come ci rivela Luca Manuelli, presidente del Cluster fabbrica intelligente e Chief Digital Officer di Ansaldo Energia, che è socio del Competence Center Start 4.0 di Genova, specializzato sui temi della sicurezza fisica e digitale.

Luca Manuelli, presidente del Cluster fabbrica intelligente e Chief Digital Officer di Ansaldo Energia

Il progetto del Cluster è di estendere alle filiere degli associati quel modello di self-assessment sulla maturità digitale e sulla cyber security che in Ansaldo Energia hanno sottoposto a un centinaio di fornitori strategici (“AENet 4.0: Smart Supply Chain”), con lo stesso tool utilizzato dai Digital Innovation Hub di Confindustria. «La consapevolezza della propria “readiness” e dei propri fornitori è il primo passo per poter avviare una integrazione di fabbrica non solo verticale ma anche orizzontale sulla filiera, secondo un approccio olistico e decidere quali interventi e investimenti portare in azienda e suggerire ai propri stakeholder», commenta Manuelli.

Le fabbriche faro nel mondo. Fonte McKinsey and Company

Oltre a immaginarsi tante future “AENet” con grandi aziende capofila e con il coinvolgimento di Confindustria per aggregare le pmi, Manuelli avverte sulla necessità, in questo momento di forte convergenza tra ricerca e industria, di ristabilire questa linea strategica anche nel Piano Nazionale della Ricerca che è in fase di elaborazione, poiché nella prima bozza non si fa cenno al concetto innovativo di fabbrica intelligente né di manifattura associati al tema della ricerca. «Il mio timore è che si ritorni a privilegiare investimenti per la ricerca pura e non per quella applicata, che sola può assicurare lo sviluppo del nostro sistema industriale in fase di trasformazione digitale e che i competence center cercheranno di accelerare, riducendo il gap tra mondo dell’impresa e mondo della ricerca. Ma ci dev’essere una coerenza di tutto il sistema, anche per pensare di giocare la partita dei finanziamenti che Horizon 2020 metterà sul piatto, ma per ottenere i quali sarà necessaria la parola magica della “ricerca applicata” ai bisogni di innovazione delle imprese per aumentare la competitività sul mercato con nuovi processi, prodotti e servizi», conclude Manuelli.

Cosa prevede il Piano Impresa 4.0 per l’innovazione? Fonte Mise













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