Digital transformation: per le Pmi progressi lenti

digital iot

Meno di un quinto delle aziende considerate nell’ indagine del Digital Transformation Institute ritiene di aver raggiunto un livello  alto di abilitazione digitale. Scarsa l’ alfabetizzazione sul tema con investimenti  per lo più estranei ad una logica d’innovazione

Presentata in occasione del 10° Forum Nazionale dei Giovani Imprenditori di Confcommercio, la ricerca annuale del Digital Transformation Institute indaga su come le opportunità e la percezione dell’innovazione e dell’information technology quali motori di sviluppo sempre più potenti e indispensabili per chi fa impresa oggi in Italia vengono percepiti dalle Pmi italiane. Dai risultati  emerge che gli ambiti di maggiore impatto rispetto ai processi di trasformazione digitale sono: concorrenza e mercato, infrastrutture, internalizzazione, modelli di business, organizzazione e processi, accesso al credito e sistemi di pagamento, normativa, politiche del lavoro e welfare, sostenibilità.

La ricerca, che ha coinvolto quasi 100 persone tra esperti, ricercatori, imprenditori e docenti universitari che hanno preso parte a tavoli di lavoro e focus group, e che fa perno su una serie di interviste a imprenditori di un campione di Pmi, mette in evidenza il ruolo della Digital Transformation come strumento attivatore dei processi di crescita delle imprese italiane e indaga la percezione dei giovani imprenditori rispetto alle opportunità offerte dal digitale e le sfide necessarie a cogliere le opportunità del cambiamento.







La digitalizzazione questa sconosciuta

I dati che riguardano la percezione del grado di digitalizzazione aziendale e lo stato dell’alfabetizzazione digitale non delineano un quadro confortante. Per identificare la predisposizione all’innovazione in relazione all’effettivo livello di maturità digitale si è chiesta al campione di Pmi intervistate una autovalutazione del livello di digitalizzazione: il 59,4% delle imprese intervistate si ritiene abbastanza tecnologica, ma solo il 17,9% crede di aver raggiunto un livello molto alto di innovazione digitale. Una buona percezione del proprio livello di digitalizzazione si rileva nelle imprese del nord-ovest e del sud e isole, ma è sopratutto il nord-est a ritenersi molto tecnologico (20,9%).

Guardando ai diversi settori di appartenenza, sono le realtà operanti nel settore turistico a esprimere una percezione più bassa del proprio livello di implementazione delle tecnologie digitali, con un 44,4% di intervistati che si dichiara poco o per niente tecnologico. Tuttavia quasi la metà delle imprese intervistate (47%) non ha mai sentito parlare di criptovalute (come i BitCoin) o modelli FaaS (Factory as a Service: uno degli elementi portanti del fenomeno Industry 4.0). Ben il 41% non conosce il termine Big Data e quasi un terzo non sa cosa sia il Cloud Computing. Dati, questi, che evidenziano una forte distanza culturale delle nostre Pmi dal digitale.

Scarsi gli investimenti  nel  digitale

Non meraviglia se, con queste premesse, siano pochi gli investimenti in digitale e questo a prescindere dalla posizione geografica: il 39,4% delle imprese dichiara di aver effettuato investimenti in tecnologie digitali per meno di 5.000 euro e il 28% ammette di non averne fatti per nulla. A dimostrarsi più propense agli investimenti in innovazione sono le realtà con un numero di addetti compreso tre 50 e 250 ( il 45,5% ha investito tra i 5.000 e i 50.000 euro e l’8,1% una cifra superiore ai 50.000 euro). Se poi si approfondisce le motivazioni e la destinazione degli investimenti fatti, si apprende che le imprese che hanno investito in tecnologia negli ultimi 5 anni lo hanno fatto prevalentemente (87,7%) al fine di adeguare le infrastrutture materiali/immateriali; poco più della metà ha tentato di utilizzare tali investimenti per migliorare le politiche del lavoro e il welfare aziendale, attraverso, ad esempio, soluzioni di smart working (52%) e per sviluppare nuovi modelli di business (51,7%).

Investire in digitale conviene, ma ci credono in pochi

Come è stato già rilevato da precedenti indagini sullo stato dell’ arte della trasformazione digitale, anche comprendenti platee più ampie per numero e dimensioni delle aziende interpellate, gli innovatori non si sono pentiti. Laddove si è investito le imprese intervistate hanno notato un miglioramento significativo nei ricavi (62,2%). Miglioramento che nel 12% dei casi è compreso tra il 25% ed il 40% dei ricavi e nel 20% dei casi compreso tra il 10% ed il 25% dei ricavi. Oltre il 15% delle aziende intervistate si è detta non in grado di valutare se l’IT abbia portato miglioramenti sul fronte dei ricavi, ed il 21% sostiene che non vi siano stati incrementi nei ricavi. Gli investimenti in infrastrutture digitali considerati più significativi dalle imprese per avviare un processo di digital transformation sono per più della metà delle imprese intervistate (55,6%) quelli in sicurezza e privacy, per il 45,4% in comunicazione e promozione e per il 37,1% nei processi di vendita.

Le ragioni: scarsa consapevolezza del nuovo quadro economico

«Guardando a questi dati è evidente – afferma Stefano Epifani, Presidente del Digital Transformation Institute – come uscendo dal circolo autoreferenziale di aziende, esperti e consulenti che parlano di innovazione ed entrando nel Paese reale ci sia un problema che non è solo di competenze, ma addirittura di conoscenza dei temi e di consapevolezza rispetto ad un intero contesto tecnologico. In molte delle nostre aziende non mancano le competenze rispetto a temi che hanno individuato, ma manca del tutto la consapevolezza che esistano degli scenari di trasformazione ignorando i quali non solo si perdono opportunità, ma si corrono rischi».

Il ruolo dell’ intervento pubblico

Non stupisce che partendo da questi presupposti, che indicano una scarsa propensione ad alimentare il motore dell’ innovazione in mancanza della consapevolezza di un chiaro indirizzo sulla direzione della trasformazione da intraprendere, una grande importanza venga data alla cornice di riferimento esterna, con l’auspicio che interventi di carattere pubblico facilitino la creazione di un ecosistema digitale, ritenuto importante  per promuovere la trasformazione. Tra gli interventi auspicabili da parte delle Istituzioni le aziende intervistate hanno individuato:

semplificazione della normativa esistente e miglioramento della burocrazia (64,1%);
maggior investimento nell’infrastruttura di rete a banca larga (52,2%);
promozione della cultura dell’impresa e della legalità, finanziamenti o sgravi fiscali per gli investimenti in infrastrutture digitali e per i progetti orientati all’innovazione (poco meno della metà);
maggiori incentivi per le attività di formazione (42,4%).














Articolo precedenteManufacturing 4.0: a Torino il nuovo master in apprendistato
Articolo successivoDieci anni di Security Summit






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui