Digital transformation: ma che cosa succede ai campioni industriali dell’ Emilia?

di Marco de’ Francesco ♦ Mancanza di strategie e di chiari obiettivi di business da una parte, dall’ altra  spinta all’ efficienza e necessità di stare sul mercato. La realtà delle imprese   discussa nella tappa di Bologna  di Made in Italy – Made in Digital di Sap. Il parere degli esperti, l’esperienza delle aziende: Horsa, Cosind, CRIF, Conserve Italia, C.O.B.O.

Luci e ombre del processo di trasformazione digitale delle aziende italiane; si procede agli acquisti in nuove tecnologie in vista dell’efficienza e non per raggiungere obiettivi di business; manca una vera cultura della pianificazione, e così prevale una logica della tattica e non della strategia. Tornerebbe utile l’apporto dell’ingegneria industriale, che però è stata messa all’angolo già negli anni Settanta, con la promozione del “tempometodismo” sindacale. Infine, i numeri delle aziende che danno vita a progetti strategici – per durata e per costo – sono sconfortanti.

Questo, quanto agli esperti. Quanto alle aziende, la visione è più rosea. La digitalizzazione è in atto, e serve soprattutto a governare la complessità e a servire in modo nuovo la clientela. È emerso nel corso di una tavola rotonda tenuta nel contesto di “Made in Italy – Made in Digital: viaggio nell’eccellenza italiana”, evento organizzato a Bologna da Sap Italia – parte del colosso SAP SE, che fornisce software gestionale – in collaborazione con il Politecnico di Milano. Si è trattato della quarta tappa, dopo Brescia, Vicenza e Torino. Il concetto ribadito da Andrea Ceccherini, General business sales director di Sap Italia, è che si tratta di garantire un futuro a guida digitale per le Pmi, puntando su nuove nicchie di mercato, agilità, ecosistemi di impresa estesa e prodotti digitalizzati.







 

tavola rotonda sap bo
I partecipanti alla tavola rotonda organizzata da SAP Italia a Bologna: da sinistra a destra estrema Bruno;Iannice;Nalin; Paris; Parisini; Ponzoni (photo by Marco de’ Francesco)

Horsa: poche le aziende che investono per realizzare obiettivi di business

La tattica prevale sulla strategia, e manca una cultura del dato. E i numeri delle aziende che danno vita a operazioni strategiche sono sconfortanti. Dice Luca Bruno, Sap business unit manager di Horsa, «Noi (una realtà ICT italiana che progetta, implementa e governa soluzioni IT destinate alle imprese) abbiamo un osservatorio privilegiato: un migliaio di imprese, piccole, medie e grandi. Nella casistica, notiamo una forte diversificazione. Devo però dire che è dal Duemila che non vedo un fermento così importante nell’IT. Dunque, c’è una domanda che supera l’offerta, ma la situazione è piuttosto eterogenea. Va tuttavia sottolineato che si può identificare un elemento trainante: quello competitivo. In un contesto globalizzato, è necessario adeguarsi sotto il profilo tecnologico.»

«Poi gli incentivi hanno generato una forte frenesia; per certi versi hanno drogato il mercato. I manager acquistano, ma talvolta manca un allineamento tra stakeholder e management: l’obiettivo finale non è chiaro. E chi investe, tende a farlo in vista dell’efficienza, ritenuta un elemento fondamentale per la internazionalizzazione. Dunque la verità è che poche realtà investono per realizzare obiettivi di business. Quelle che lo fanno, peraltro, benché siano poche, sono leader di mercato o si atteggiano come tali». E poi c’è un altro problema.

Iannice, università di Bologna : la cultura della pianificazione è molto bassa

Secondo Annibale Francesco Iannice, docente all’università di Bologna nonché partner MPS «in effetti sono poche le aziende, soprattutto tra le Pmi, che stanno investendo in una logica di strategia e non di tattica. In Italia la cultura della pianificazione è molto bassa. Noi sappiamo fare malissimo le strategie, questa è la verità; l’approccio è quello della gestione della contingenza. C’è una competizione imprenditoriale che non corrisponde ad una competizione di mercato; e soprattutto manca la cultura della misura, del dato. E dunque si fatica ad essere strategici, visto che la strategia contempla la capacità di utilizzare i dati.»

«Insomma: oggi la tecnologia consente di disporre di dati, ma mediamente le imprese non sanno come utilizzarli. C’è infine un’altra cosa da tenere presente: in Giappone, per esempio, il digitale lo compra l’ingegneria industriale, per risolvere esigenze specifiche; noi negli anni Settanta abbiamo smembrato l’ingegneria industriale, grazie al “tempometodismo” promosso dai sindacati. Oggi, dunque, ci troviamo nella situazione di dover recuperare la forza dell’ingegneria industriale: quello è il futuro del processo, così come il futuro del prodotto risiede nell’R&D. La fortuna sarebbe disporre di ingegneri industriali che ne sappiano di digitale».

 

Cosind: Numeri sconfortanti per i progetti di trasformazione digitale

Il manager di Cosind Giampaolo Nalin ricorda che «noi, in quanto Compagnia di Sviluppo Industriale, da oltre trent’anni siamo nel settore della consulenza per l’ottenimento e la gestione di finanziamenti e contributi stanziati dall’Unione Europea, dai Governi di vari paesi Europei ed in particolare dal Governo Italiano a favore della ricerca scientifica e dello sviluppo tecnologico. Abbiamo gestito circa 600 progetti industriali. Dal 2015 c’è uno strumento nuovo, il Fondo per la Crescita Sostenibile (che, secondo il Ministero per lo Sviluppo Economico, «è destinato al finanziamento di programmi e interventi con un impatto significativo in ambito nazionale sulla competitività dell’apparato produttivo»; in particolare in vista della «la promozione di progetti di ricerca, sviluppo e innovazione di rilevanza strategica per il rilancio della competitività del sistema produttivo», del «rafforzamento della struttura produttiva» e della «promozione della presenza internazionale delle imprese e l’attrazione di investimenti dall’estero») che opera su progetti strategici sia per durata (nell’ordine di 36 mesi) che per costo (da 5 a 40 milioni). È diretto ad aziende strutturate. I numeri, purtroppo, sono sconfortanti. Di recente, sono state presentate 30 domande, di cui 25 a proposito di industria sostenibile e solo 5 quanto a trasformazione digitale. Di queste cinque, mi sono occupato di due».

CRIF: Il cliente al centro

La trasformazione digitale deve essere diretta a servire la clientela. Ma cosa dicono le imprese? Da dove è nata l’esigenza di cambiare e come è stata declinata? Secondo Marco Ponzoni, senior project manager CRIF la risposta a questi interrogativi  si pone in questi termini «l’impresa che domani resterà sul mercato sarà quella che avrà servito in maniera ossessiva i propri clienti. Questo è ciò che porta la digitalizzazione». Va ricordato che CRIF è «un’azienda globale specializzata in sistemi di informazioni creditizie (Sic) e di business information, servizi di outsourcing e processing e soluzioni per il credito. Fondata a Bologna nel 1988, oggi opera in quattro continenti». Sempre secondo l’azienda «CRIF offre a banche, società finanziarie, confidi, assicurazioni, società di telecomunicazioni, utilities e imprese un supporto qualificato in ogni fase della relazione con il cliente. Dalla pianificazione delle strategie di sviluppo all’acquisizione, fino alla gestione del proprio portafoglio e degli eventuali crediti insoluti».

Quanto alle dimensioni «oggi oltre 6.300 banche e società finanziarie, 55mila imprese e 310mila consumatori nel mondo utilizzano i servizi CRIF in 50 Paesi». Ponzoni ha continuato così: «Oggi si parla di centralità del cliente. Ora, noi lavoriamo con le banche, a abbiamo la situazione di debito di tutta la popolazione italiana. Dunque, siamo una società naturalmente orientata ai dati, alle analisi delle informazioni. Ora però il mercato è oggetto di un generale stravolgimento, a causa della digitalizzazione, con un movimento che porterà ad un riposizionamento competitivo dei player. È un momento epocale, perché di fianco alle banche si è inserita la forza di disintermediazione delle Fintech, e un ambiente oligopolista si trova ad avere una concorrenza nuova, di grande caratura. Come possono riposizionarsi, i player tradizionali? La linea guida è il cliente. Bisogna crederci veramente e stringere partnership, ma la strada è quella».

 

Conserve Italia : la digitalizzazione serve soprattutto ad affrontare la complessità dei nuovi business

È intervenuto poi Enrico Parisini, Cio di Conserve Italia. Secondo il gruppo «Conserve Italia rappresenta la prima industria conserviera in Italia e si colloca fra le aziende leader del settore in Europa con un fatturato aggregato o che nel corso dell’ultimo esercizio (chiuso al 30 giugno 2017) ha raggiunto 872 milioni di euro (e consolidato di 833 milioni di Euro). Trasforma ogni anno circa 600mila tonnellate di materie prime, rappresentate da frutta, pomodoro e vegetali coltivati su 20mila ettari di coltivazioni specializzate, che vengono trasformate in 11 stabilimenti, di cui 8 in Italia, 2 in Francia e 1 in Spagna. Complessivamente nel Gruppo operano 1.357 addetti fissi e 1.370 lavoratori stagionali».

Parisini ha ricordato che la società «fa 2 miliardi di conserve che raggiungono 70 milioni di persone. La nostra è una attività tradizionale. Quanto al 4.0, abbiamo progetti di agricoltura di precisione, come quelli che riguardano il monitoraggio dei campi di piselli via satellite. Questo per quanto riguarda l’attività degli agricoltori che ci conferiscono il prodotto. Quanto alla fabbrica, 20 anni fa abbiamo fatto un impianto che ha 759 macchine automatiche governate da un solo oggetto, però i dati che si scambiano sono poco intelligibili. Con le nuove tecnologie potremmo estrarre e gestire molti più dati. Il 4.0 per noi significa passare dalla stima alla misura, dalle spanne al centimetro.»

«Stando attenti alle informazioni, si possono ottenere considerevoli risparmi di energia; ma la digitalizzazione serve soprattutto ad affrontare la complessità dei nuovi business; e a non perdere sui mercati. Noi, invece, facciamo sempre meno magazzino e la nostra quota export è sempre più considerevole. Va detto che anche il mondo della distribuzione è oggetto di profondi mutamenti: in UK Ocado (un supermercato online britannico. Diversamente dai suoi principali concorrenti, la società non ha catene di negozi e fa tutte le consegne a domicilio dai suoi magazzini. La società è stata quotata alla Borsa di Londra il 21 luglio 2010 ed è membro dell’Indice FTSE 100) con cui lavoriamo non era niente, mentre ora è diventato il decimo player».

Prima della trasformazione digitale occorre puntare tutto sull’efficienza. La versione della COBO

Secondo Angelo Paris, responsabile sistemi e processi di C.O.B.O., (gruppo attivo nella progettazione, sviluppo e fornitura di soluzioni globali e sistemi integrati per il mercato dei veicoli off-highway) «la trasformazione digitale non può essere imposta dal commercialista di famiglia, nel senso che non si tratta solo di utilizzare gli sconti fiscali del Piano Calenda, perché è un tema che ha a che fare con il governo quotidiano della complessità. Le regole per un progetto di 4.0 sono queste: la prima è che l’automazione applicata ad una operazione efficiente ne aumenterà l’efficienza; la seconda è che l’automazione applicata ad un’operazione inefficiente ne aumenterà l’inefficienza. Noi ci siamo posti alcune domande prima di intraprendere il viaggio di trasformazione digitale. Dove vogliamo essere tra 4 o 5 anni, avendo in mente una strategia evolutiva? Come la tecnologia può aiutare a risolvere i nostri problemi strutturali per i quali non siamo efficienti? E in particolare: abbiamo un problema di qualità del prodotto? Soffriamo per un inadeguato livello di servizio per i nostri clienti? Vorremmo monitorare meglio l’utilizzo dei nostri asset produttivi? E altre.»

 «La condizione per iniziare la trasformazione è dunque essere efficienti, e cioè evitare le scorte, la generazione di errori, la sovra-produzione, gli operatori in attesa, l’iper-qualità rispetto alle attese del cliente, gli sprechi. Tenendo presente che l’approccio è time-consuming, dando il giusto tempo affinché le cose accadano. Non si può peraltro prescindere dall’ingaggio delle persone, e cioè occorre identificare quel 10%-15% di popolazione aziendale che dimostra attitudine al cambiamento positivo verso la logica lean. Bisogna prevedere un elevato grado di persistenza nell’approccio, non un approccio mordi e fuggi. Infine, bisogna tener presente il costo dell’errore».

Quanto a Cobo, «la trasformazione consiste nella connessione di un prodotto con l’ecosistema. E quindi quando prodotti intelligenti (trattori intelligenti e connessi, ad esempio) interagiscono al fine di costituire un sistema nel quale i mezzi sono integrati con altri attrezzi agricoli per ottimizzare l’intera attività. Ora, un sistema di equipment agricoli può essere connesso con altri sistemi come quelli di gestione dell’irrigazione, quelli di ottimizzazione della semina (grazie a dati storici) e quelli di previsione meteo. In pratica, è necessario che le aziende rispondano a domande strategiche sull’evoluzione del contesto di business nel quale operano: devono decidere se essere integratori che forniscono l’intera piattaforma o produttori di un prodotto discreto».

 

ceccherini sap
Adriano Ceccherini, General business sales director di Sap Italia (photo by Marco de’ Francesco)

Sap: abilitare un futuro digitale per le Pmi

Per Sap, sin tratta di abilitare un futuro digitale per le Pmi, con nuove nicchie di mercato, nuove agilità, nuovi ecosistemi di impresa estesa e nuovi prodotti digitalizzati. Secondo Adriano Ceccherini, General business sales director di Sap Italia «le Pmi italiane sono il motore del sistema Paese e di Sap Italia in quanto azienda. Oggi, nonostante qualche recente vicissitudine, l’indice di fiducia delle imprese rimane molto alto. Esattamente, a quota 107,7 nell’aprile di quest’anno. Questa fiducia si respira soprattutto nel manifatturiero. D’altra parte, i flussi commerciali con l’estero vanno bene; c’è chi realizza il proprio successo con l’internazionalizzazione. Nonostante ciò, non mancano segnali contrastanti: se prendiamo il 2001 come anno simbolico, da una parte il nostro export è aumentato di 140 miliardi, dall’altra la base manifatturiera è diminuita del 20%. Come interpretare questi fattori? L’ex ministro Carlo Calenda parlava di “terra di mezzo”».

Calenda, in effetti, ha riportato le aziende all’interno di una curva gaussiana: il 20% delle aziende investe nella revisione dei processi in termini di digitalizzazione; una uguale percentuale di aziende non è attiva su questo fronte e rimane indietro; e poi c’è il restante 60% che continua ad investire, ma in modalità tradizionale. Secondo Calenda, la maggior parte delle aziende rischia di non essere in grado di tenere il passo e di non saper rispondere alle sfide del mercato. «Noi, che operiamo in Italia come una azienda media (Sap ha un fatturato,nel Belpaese, di circa 600 milioni) – ha continuato Ceccherini – ci siamo chiesti cosa si possa fare per favorire il trasferimento tecnologico e per aumentare la percentuale di aziende virtuose. Noi entriamo in tutto ciò portando soluzioni per processare una materia prima che in Italia non manca: i dati. Che provengono ormai da una quantità di fonti eterogenea: prodotti, processi, mercato.»

«Sono tre, dunque, i pilastri fondamentali che costituiscono il “momento rinascimentale” della tecnologia: Big Data che si possono raccogliere con semplicità; le conoscenze per processare le informazioni; le tecnologie ora accessibili. Questi tre pilastri sono la condizione necessaria per tutto ciò che come azienda realizziamo. Quanto all’obiettivo di business che cerchiamo di abilitare, si tratta di un futuro a guida digitale per le Pmi, puntando su nuove nicchie di mercato, nuove agilità, nuovi ecosistemi di impresa estesa e nuovi prodotti digitalizzati. Noi peraltro rappresentiamo una piattaforma di ecosistema attraverso la quale transita l’80% delle transazioni commerciali nel mondo».

 

Chiara Corbo – ricercatrice Polimi-Università di Brescia, autrice assieme a Lucio Lamberti, Professore Associato di Marketing Multicanale, Politecnico di Milano dello studio “Il settore manifatturiero in Emilia-Romagna e la trasformazione digitale”(photo by Marco de’ Francesco)

[boxinizio]

La ricerca

Nel corso dell’evento è stata presentata una ricerca realizzata da Chiara Corbo – ricercatrice Polimi-Università di Brescia – e da Lucio Lamberti, Professore Associato di Marketing Multicanale, Politecnico di Milano – School of Management. Il tema era “Il settore manifatturiero in Emilia-Romagna e la trasformazione digitale”. L’obiettivo, quello di di comprendere se e in che modo la trasformazione digitale sia un fattore che sta supportando la crescita delle imprese di eccellenza italiane, con particolare riferimento a imprese di medie e grandi dimensioni (con un fatturato superiore ai 20 milioni di euro), afferenti al comparto alimentare della regione Emilia-Romagna. Industria Italiana se ne è occupata qui.

[boxfine]














Articolo precedentePrysmian Group avvia l’integrazione con General Cable
Articolo successivoAuto connessa, elettrica, autonoma e condivisa






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui