Dedagroup punta a 300 milioni di fatturato nel 2020

di Filippo Astone * ♦ Il system integrator trentino guidato da Gianni Camisa è anche sviluppatore di software proprietario, per esempio con la piattaforma Stealth per il mondo della moda. Grande attenzione a manifattura e industry 4.0. In agenda crescita all’ estero e…

«L’obiettivo per il 2020 è di arrivare a 300 milioni di fatturato. I numeri ci danno ragione: nel 2017 abbiamo totalizzato 240 milioni, mentre nel 2018 – ma i dati non sono ancora ufficiali – dovremmo essere cresciuti del 6-7%, superando i 250 milioni di fatturato. La moda è uno degli aspetti su cui ci siamo focalizzati, ma non è certo l’unico. Abbiamo un’offerta completa per l’industria manifatturiera. E con l’integrazione di Piteco abbiamo esteso le nostre soluzioni anche alla gestione della tesoreria aziendale e della pianificazione finanziaria. Siamo presenti in molti paesi e non escludiamo di ampliare ulteriormente la nostra presenza estera. Una quotazione in Borsa? Mai dire mai, ma al momento riusciamo a camminare in modo più che soddisfacente con le nostre gambe».

Gianni Camisa, amministratore delegato di Dedagroup, racconta in un’intervista esclusiva ad Industria Italiana – realizzata durante l’annuale appuntamento con lo Stealth Day, il workshop dedicato all’industria del fashion – i numeri, i piani, le peculiarità della sua azienda. Una “multinazionale tascabile” che ha festeggiato dieci anni di vita lo scorso dicembre e che veleggia rapidamente verso i 300 milioni di fatturato. Mentre si attendono i dati definitivi sul 2018, quelli del 2017 sono lì a certificare un successo costruito esportando software, competenze e modello Made in Italy nel mondo. Numeri che vanno di pari passo con il forte investimento nel capitale umano che ha visto crescere l’organico da 600 unità agli oltre 1700 collaboratori attuali. Importante leva di sviluppo è rappresentata anche dal volume degli investimenti messi in campo dal Gruppo con il Piano Industriale lanciato lo scorso anno ed in piena realizzazione (oltre 50 milioni di euro entro il 2020), destinato alle acquisizioni, allo sviluppo delle soluzioni, alla gestione del business. Ecco l’intervista.







 

Gianni Camisa, amministratore delegato di Dedagroup

 

D. Camisa, alla fine dello scorso anno avete detto che puntate a 300 milioni. Entro quanto contate di raggiungere questo traguardo?

R. Vogliamo arrivarci entro il 2020 e siamo sulla buona strada per raggiungerlo. Il bilancio 2017 si è chiuso con un fatturato di 240 milioni, mentre quello del 2018 – seppur in via ufficiosa – dovrebbe registrare una crescita del 6-7%, permettendoci di attestarci sopra i 250 milioni. La cosa interessante sul 2018 è che la crescita è stata quasi totalmente organica. Ogni anno il nostro gruppo porta avanti delle operazioni di acquisizione, ma l’anno scorso non è stato particolarmente “effervescente” da questo punto di vista. Questo significa che i fondamentali sui mercati principali ci sono.

D. Le previsioni sull’andamento nei prossimi anni dell’economia non sembrano brillantissime. O sbaglio?

R. No, in effetti non lo sono, ma il nostro comparto viene da tanti anni di trend che variano dal negativo al neutro. Soltanto negli ultimi due anni abbiamo registrato una discreta crescita. Ma non stiamo certo parlando di autentici “boom” come negli anni ’80, ma piuttosto di un paio di punti percentuali. Questo trend sarà confermato anche per il 2019 per il settore del digitale in Italia. Va però detto che ci saranno delle zone di eccellenza all’interno del comparto: i servizi, i software, alcune tecnologie applicate, ad esempio, al mondo dell’industria 4.0, vivranno una crescita maggiore. E questo ci rende abbastanza tranquilli sul fatto che anche nei prossimi anni la crescita possa essere analoga.

D. Avete intenzione di fare ulteriori acquisizioni?

R. Nel piano industriale questo tema esiste. Il punto fondamentale però è trovare in Italia e all’estero opportunità che rispondano sostanzialmente a due esigenze: la complementarietà da un punto di vista dell’offerta delle soluzioni rispetto a quello che facciamo noi; una forte caratterizzazione sulla competenza di presidio dei processi e di consulenza dei mercati che seguiamo, come ad esempio il mondo del fashion.

D. Le acquisizioni potrebbero essere anche al di fuori dei paesi in cui siete presenti, ovvero Messico, Dubai, Usa, Francia e Svizzera?

R. I paesi che ci interessano specificamente per il settore moda sono Francia e Inghilterra, dove sta emergendo una serie di trend molto interessanti e dove siamo già presenti con alcuni brand molto forti legati a gruppi italiani. Nella scorsa edizione dello Stealth Day abbiamo avuto ospite il cfo di Church’s e di Prada. Stiamo acquisendo anche altri clienti molto prestigiosi ma è inutile fare voli pindarici: i due poli di sviluppo rimangono Francia e Inghilterra.

 

Il fashion vale circa un sesto del giro d’affari di Dedagroup, ma è solo uno dei comparti in cui è attivo il gruppo

D. Il fashion è il comparto su cui puntate di più?

R. No, è uno dei comparti. Vale 40 milioni di fatturato su un complessivo di 250, quindi vale circa un sesto del nostro giro d’affari.

D. Che cosa ci può dire riguardo al vostro rapporto con il manifatturiero?

R. Abbiamo due segmenti di offerta molto importanti: una società interamente dedicata alle piattaforme Sap che lavora a stretto contatto con Stealth e che risponde alle esigenze di quei clienti che chiedono la parte di finanza e controllo che Stealth non offre in maniera diretta. Si tratta di una parte che fa volumi analoghi a quelli di Stealth e che lavora prevalentemente con il mondo industriale, con un focus particolare sul food&beverage e sul mondo manifatturiero non fashion. L’altro tema, di dimensioni più contenute – ovvero qualche milione di euro di fatturato – si concentra sui temi dell’industria 4.0, del Plm (la gestione del ciclo di vita), della robotica e della sensoristica. In questo caso sviluppiamo progetti su piattaforme commerciali non nostre, ma tipicamente Ptc, proprio per accompagnare la trasformazione digitale delle aziende che vogliono introdurre nuove tecnologie all’interno dei cicli produttivi.

D. Stealth è una piattaforma proprietaria?

R. Sì, è un nostro software gestito da noi con laboratori di sviluppo e manutenzione tutti basati in Italia.

D. Ma Dedagroup non è soltanto un system integrator…

R. Decisamente no: circa il 23% dei nostri ricavi deriva da nostre piattaforme software, che offriamo al mondo del fashion, del banking, della pubblica amministrazione e del digitale.

D. Questa è decisamente una vostra peculiarità, dal momento che i player del comparto, anche di grandi dimensioni, spesso fanno solo rivendita e servizi su software e circuiti nazionali. Voi invece vi configurate come una software house in proprio!

R. Assolutamente sì. Al nostro interno abbiamo una piccola realtà, Piteco, che si occupa di tesoreria aziendale. È il leader italiano nella gestione di questo aspetto dal punto di vista industriale, ma anche del cash management, della pianificazione finanziaria di medio e lungo termine, che a sua volta ha presidi software propri. Più del 20% del nostro fatturato ruota intorno alle nostre piattaforme. Impiegano i nostri strumenti centinaia di amministrazioni pubbliche e anche molte banche all’estero di piccole e medie dimensioni.

D. Piteco è già quotata in borsa: pensate di fare analogo percorso anche voi come Dedagroup? O pensate all’ingresso di investitori istituzionali o di fondi?

Si tratta di ipotesi che annualmente vengono rivalutate. In questo momento, avendo alle spalle un gruppo molto importante che gode di un’ottima capacità finanziaria, non ne abbiamo visto la necessità. Ma se l’ambizione di crescere dovesse diventare ancora più ampia di quella di oggi, potrebbero essere opzioni da esplorare. Ad oggi, comunque, non c’è niente di concreto, stiamo facendo il nostro percorso con le nostre gambe.

 

La sede di Dedagroup a Trento

D. Quante anime ha Dedagroup?

R. Tre, ovvero software, system integration e servizi tecnologici.

D. Non avete mai pensato di ampliare la vostra offerta anche alle consulenze strategiche e al business consulting?

Sicuramente non è il nostro mestiere fare consulenza strategica. Ma ognuna delle unità su cui ci concentriamo, cioè public, banking, fashion e industrial ha al suo interno dei consulenti di processo. Un tipico intervento che portiamo avanti. Indipendentemente dal fatto che ci sia un nostro software, parte da una blueprint di processo fatta dai nostri lavoratori. In seguito procediamo, se il cliente ne ha bisogno, a ridisegnare il processo di business che viene poi traslato in una scelta di software e in una scelta tecnologica.

D. Ci sono dati e analisi che ribadiscono come il nostro paese sia ancora indietro nel processo di digitalizzazione che sta cambiando il mondo. In Italia ci sono tante imprese che ancora non hanno avviato la digital transformation: lei come vede tutto questo?

R. Io la vivo come un’opportunità. Se fossimo arrivati alla saturazione del mercato potremmo avere un problema, ma in un mondo apparentemente molto avanzato come quello del fashion, il territorio da esplorare è ancora molto ampio. Tante aziende che sono ancora artigianali non nel modo di confezionare i vestiti, ma in quello di gestirsi, hanno bisogno di noi. Così come le pubbliche amministrazioni, le società di servizi e via dicendo. Questo significa che il paese viaggia a due velocità: c’è chi ha già portato avanti la digital transformation e oggi se la gioca sullo scenario internazionale; e poi c’è chi ha invece la necessità di digitalizzarsi per poter competere con soggetti che magari hanno già avviato questo processo. Noi lavoriamo negli Usa nel mondo delle banche e posso garantire che alcuni segmenti di quel comparto sono molto più indietro degli omologhi italiani dal punto di vista dell’innovazione, del digitale e dei servizi.

D. Per concludere: come valutate le mosse del governo nel vostro settore e la revisione dei pacchetti di incentivi per Industria 4.0?

Penso che sia ancora un po’ presto per dare un giudizio: i vecchi pacchetti funzionavano molto bene. Vedo con favore un aspetto, ovvero l’impulso sul cloud applicato alla pubblica amministrazione. Questo potrebbe permetterle di fare davvero un grande salto in avanti. Mai come ora serve una bella spinta. Poi è ovvio che il mercato deve fare il mercato e la pubblica amministrazione deve fare la pubblica amministrazione. Però un po’ di aiuto ci farebbe bene.

 *Hanno collaborato Marco Scotti e Chiara Volonté














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