Così lo smart working ha conquistato Milano

di Chiara Volontè ♦︎ Il lavoro agile si sta affermando nelle istituzioni o nelle grandi aziende come Bayer, ma la percezione è che chi svolge la sua mansione da casa non stia realmente lavorando. E l’adozione fuori dal capoluogo lombardo è bassissima

«Abbiamo avviato la sperimentazione dello smart working in occasione dell’Expo del 2015: a Milano erano attesi 20 milioni di visitatori e temevamo che il traffico, soprattutto nel nostro quartier generale, sarebbe stato veramente problematico. Per questo abbiamo stabilito che i dipendenti si sarebbero potuti appoggiare ad altre sedi del gruppo, per un massimo di cinque giorni al mese, oltretutto con un orario flessibile che permettesse entrata o uscita più agili. Questa formula è stata particolarmente apprezzata dai nostri dipendenti e per questo abbiamo deciso di riproporla, aumentandone il raggio d’azione e gli effetti». Così Grazia Bonvissuto, Media relation manager di Bayer Italia, spiega il percorso intrapreso dalla sua azienda per iniziare a offrire ai propri dipendenti la possibilità di lavorare in modalità agile, ovvero tramite smart working. Un tema che sta diventando sempre più significativo, in primis a Milano, dove si è conclusa da poco la settimana dedicata al lavoro agile.

Proprio il capoluogo lombardo è un’oasi felice rispetto al resto d’Italia: se infatti nel nostro Paese gli smart workers sono l’8% del totale, a Milano sono il 44%, ben al di sopra della media europea e superata, a livello continentale, solo dalla Svezia. Ma il problema principale è comprendere quali siano i confini di questa forma alternativa di lavoro: molti ancora la percepiscono come un modo per essere sempre connessi o, al contrario, per potersi permettere “vacanze” retribuite restando a casa. Per questo le esperienze di Bayer e del Comune di Milano servono a circoscrivere il fenomeno e a comprendere meglio le sue possibili applicazioni.







Grazie allo smart working, i dipendenti possono lavorare in mobilità, utilizzando le nuove tecnologie che vengono ora messe a loro disposizione: device connessi a internet, infrastrutture di rete che consentono l’accesso ai dati anche da remoto e altre soluzioni che consentono, magari mentre si sta viaggiando per recarsi da un cliente, di continuare nel proprio lavoro. Ma attenzione: non si parla di uno strumento che moltiplica le ore di lavoro e di reperibilità, ma piuttosto di una riorganizzazione del tempo del dipendente che può svolgere le proprie mansioni anche quando non si trova seduto in ufficio.

Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano in Italia ci sono 480.000 lavoratori che svolgono la propria mansione con questa modalità che, dal 2017, è stata regolamentata per legge, equiparando i dipendenti che svolgono le proprie funzioni in sede a quelli che le svolgono in mobilità o in luoghi diversi dal tradizionale ufficio. Nell’analisi condotta dal Politecnico emergono sia aspetti positivi (responsabilizzazione, maggiore motivazione) sia quelli negativi, che riguardano l’isolamento rispetto alle dinamiche dell’ufficio e la difficoltà nella pianificazione dell’attività. Ad adottare questa modalità di lavoro sono soprattutto le grandi aziende che, nel 56% dei casi, hanno già avviato iniziative strutturate, contro l’8% delle medie e piccole. Quattro grandi società su dieci hanno già a regime dei meccanismi di smart working e il 44% li ha in estensione.

Dati smart working, credits Osservatorio Smart Working 2018 del Politecnico di Milano

L’esperienza di Bayer

Bayer, che è stata recentemente insignita di un prestigioso riconoscimento dal World Economic Forum per lo stabilimento di Garbagnate, inserito tra i nove migliori plant del mondo, ha avviato da quattro anni sperimentazioni per il lavoro agile. «Siamo partiti – ci spiega Bonvissuto – con una implementazione vera e propria a maggio del 2018, ma la prima esperienza è del 2015 con Expo. Si trattava di una sperimentazione a tutti gli effetti perché la norma è arrivata a maggio. Eravamo preoccupati per il traffico durante l’esposizione e per questo abbiamo deciso che i nostri lavoratori, con orario flessibile, si sarebbero potuti appoggiare per cinque giorni al mese ad altre sedi. Questo esperimento è stato particolarmente apprezzato e per questo l’abbiamo riproposto sia nel 2016 che nel 2017, nel primo caso per il solo periodo estivo, nel secondo con una finestra temporale più ampia. Un altro tema che abbiamo affrontato è quello del superamento del luogo sicuro, che la legge riconosce e tutela. Da maggio dello scorso anno siamo partiti definitivamente con la possibilità di cinque giorni al mese o un giorno a settimana, ma la media è di tre giorni ogni trenta. Non tutti possono fare smart working, e ovviamente non abbiamo previsto né buoni pasto né straordinari, così come sancito dalla legge. Oggi, su circa 900 dipendenti che sono eleggibili per il lavoro agile, circa 600 lo svolgono con costanza. E abbiamo un feedback positivo superiore al 65%. Il passo ulteriore che abbiamo svolto rispetto al progetto pilota è quello di ritenere luogo privato sicuro non soltanto l’abitazione del dipendente, ma anche quella di un parente o di chi può garantire un certo tipo di sicurezza per quanto concerne i dati. C’è, infine, parità di richiesta tra uomini e donne e abbiamo scelto di non avere una misurazione dei risultati in maniera quantitativa ma qualitativa, fermo restando che pretendiamo un certo orario di reperibilità che è sancito dalla legge».

L’esperienza della Pubblica Amministrazione: Milano

Anche una città come Milano, che per numero di dipendenti e per complessità relazionali può essere paragonata a una grande azienda, ha avviato progetti sperimentali di smart working. «Anche le Pubbliche Amministrazioni stanno progredendo – ci racconta Giuseppina Corvino, responsabile unità mercato del lavoro, Comune di Milano – e Milano non è certo rimasta indietro. Abbiamo deciso di introdurre il lavoro agile all’interno della nostra macchina amministrativa: siamo una grossa impresa con 15.000 dipendenti e dal mese di giugno verrà coinvolto nel lavoro agile circa il 20% di loro. Da settembre e ottobre, poi, verrà inserito lo smart working in tutte le divisioni, al massimo per tre giorni al mese. Questa modalità di impiego significa soprattutto un cambiamento culturale e organizzativo, perché si basa sulla fiducia di chi lo autorizza e sul senso di responsabilità di chi lo pratica. Al momento è possibile svolgerlo solo da casa, poi da qualunque luogo sicuro. Abbiamo anche avviato il progetto Masp, che sta per Master Parenting in Work and Life Balance, che è finanziato dall’Unione Europea. Finora non abbiamo avuto abusi di richieste, anzi la media è sui 2-3 giorni al mese. Abbiamo effettuato dei sondaggi per verificare il grado di soddisfazione e di sviluppo: ottima resa, parità tra uomini e donne, un’età dei richiedenti tra i 40 e i 50 anni. I giovani, al momento, sono un po’ esclusi perché necessitano di andare in ufficio per imparare quanto più possibile. Milano ha un ruolo pionieristico, prova ne sia che la settimana del lavoro agile, che è nata nel 2014 come singolo giorno, è un’iniziativa che ha preso sempre più piede e che ora coinvolge Genova, Torino, Roma e altre città».

 Lo smart working in Italia

La valutazione interna del lavoro agile risulta sempre piuttosto positiva. Ma che cosa succede se si chiede agli executive, che per forma mentis e per necessità oggettive non possono lavorare da casa soprattutto in certi momenti, che cosa pensano dello smart working? «Allo Iulm abbiamo fatto uno studio sulla relazione tra engagement e lavoro agile – ci racconta Alessandra Mazzei, direttore del centro comunicazione interne dello Iulm – e abbiamo notato che c’è una forte dipendenza. Questo perché ci sono tre componenti fondamentali: senso di dedizione emotiva, assorbimento e volontà di fare qualcosa in più. Abbiamo condotto un sondaggio che ha coinvolto lavoratori di grandi aziende che operano il lavoro agile e abbiamo scoperto che la valutazione che ne viene data dai dipendenti è di 4.4 su 5. Un punteggio altissimo che si abbassa drasticamente se si fa la stessa domanda ai manager, che invece si fermano a 2.8, a riprova della scarsa conoscenza del fenomeno. Le esperienze di Bayer o di Ferrero ci mostrano come gli executive che entrano in contatto con lo smart working lo apprezzano. Un’altra ricerca svolta da Adp Research Institute, su 19.000 lavoratori in tutto il mondo, sostiene che chi lavora da remoto quattro giorni su cinque ha un livello di engagement doppio rispetto a chi lavora un giorno a settimana da casa. Fondamentale, quindi, è anche cambiare gli strumenti per comunicare: non più mail ma social network aziendali e messaggistica immediata. I benefici sono indubbi: chi sperimenta lo smart working generalmente ha maggiore responsabilità e maggiore fiducia».

Dati smart working, credits Osservatorio Smart Working 2018 del Politecnico di Milano

Gli svantaggi dello smart working

Lavorare da casa o in modo sempre connesso non è necessariamente foriero soltanto di sviluppi positivi. Ci sono dei rischi, notevoli e che non possono essere trascurati, che devono essere considerati al momento dello sviluppo di modalità di lavoro agile. «Il rischio principale – aggiunge Mazzei – è il burnout, ovvero il sentirsi esausti ma continuare a immettere energia nel lavoro senza nessun risultato positivo. Chi lavora tanto da casa può sentire questo eccesso di difficoltà a conciliare le varie cose, anche perché spesso i familiari percepiscono il lavoro da casa come un’assenza di lavoro. Inoltre lo smart working aumenta il carico di responsabilità e il livello di organizzazione e per questo non mi sento di consigliarlo alle figure junior, che hanno bisogno di lavorare in un ambiente più tutelato».

Dati smart working, credits Osservatorio Smart Working 2018 del Politecnico di Milano

Possibili sviluppi

Lo smart working fa parte di un cambiamento molto più ampio che ha coinvolto il mercato del lavoro, a partire dalla Legge Treu del 1997, che regolamentava il lavoro interinale e introduceva il tirocinio formativo. «Oggi siamo ben lontani dallo scenario di un tempo – spiega Giuseppe Sabella, direttore Think Industry 4.0 – che vedeva l’ingresso in azienda e l’uscita, dopo circa 40 anni di “fedeltà”. La durata media di un contratto a tempo indeterminato è un anno e quattro mesi e per questo lo smart working è una risposta alle nuove esigenze lavorative. In Italia abbiamo una percentuale di lavoratori agili dell’8%, contro il 24% del Regno Unito, il 32% dell’Austria, il 34% della Germania, il 42% di Slovacchia e Norvegia, il 51% della Svezia. Milano è al 44%. I vantaggi dello smart working sono anche per l’ambiente: Bayer ci dice che nei primi tre mesi della sperimentazione ci sono stati 41mila chilometri percorsi in meno, con una riduzione delle emissioni. La crescita del lavoro agile, poi, aumenta la produttività del 42% e chi non lo concede rischia che i dipendenti storici se ne vadano a causa del sopraggiungere di nuove esigenze. Anche perché, con i salari fermi da una ventina d’anni, bisogna offrire ai lavoratori altre possibilità».

Dati smart working, credits Osservatorio Smart Working 2018 del Politecnico di Milano













Articolo precedenteBrake by Wire, l’intelligenza artificiale di Brembo
Articolo successivoBmw e Jaguar, al via una partnership per le auto elettriche






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui