“Contrordine, compagni”: il nuovo libro di Bentivogli

Pubblicato da Rizzoli, il volume espone posizioni e visioni di un sindacalista (capo della Fim, i metalmeccanici della Cisl) che vede nella tecnologia (Industria 4.0, digital transformation, robotica, blockchain) non un pericolo ma una grande opportunità per lavoratori e imprese. E che si pone il problema di che cosa debba fare il sindacato per accompagnare i lavoratori nel cavalcare questa rivoluzione

Su autorizzazione dell’autore, riproduciamo alcuni passaggi dell’Introduzione. E consigliamo vivamente la lettura del  libro.

 







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Marco Bentivogli, Segretario-Generale Fim Cisl

 

Produzioni, lavoro, nuovi ecosistemi cambieranno la vita di ciascuno, per cui la prima operazione da compiere è quella di comprendere ciò che ci aspetta e capire che si tratta di una trasformazione più impegnativa di una semplice robotizzazione. Anche la Fiat Ritmo del 1978 era completamente automatizzata e veniva prodotta tramite robot nello stabilimento di Cassino, in provincia di Frosinone, ma la fabbrica 4.0 è qualcosa di completamente diverso: è interconnessa con un livello di interdipendenza all’interno di un ecosistema intelligente, in un dialogo tra macchina e macchina e tra macchine e uomo. La vera svolta è la connessione costante con l’ecosistema esterno materiale e immateriale attraverso nuvole di dati (cloud). In Italia, di fatto, non esiste ancora nulla del genere. Le prime piccole esperienze nel nostro Paese sono nicchie, cantieri che non somigliano nemmeno a una fabbrica 4.0. Quest’ultima è invece completamente integrata al suo interno sulle nove tecnologie abilitanti, che vedremo nel dettaglio più avanti: sistemi di produzione avanzati, manifattura additiva, realtà aumentata, simulazioni, integrazione orizzontale e verticale dei sistemi informativi, Internet delle cose, cloud manufacturing, cybersicurezza, utilizzo e analisi dei big data.

 

La digital factory by Siemens

 

Le fabbriche di Siemens e Bosch sono state le prime a cimentarsi davvero sul 4.0. Questa mutazione implica la necessità di ripensare la produzione e le persone impegnate nella produzione, ma anche di rigenerare il territorio intorno a una fabbrica smart. Una fabbrica funziona se ci sono addetti con la professionalità adeguata, ma soprattutto se intorno vi è, appunto, un ecosistema intelligente. È questo contesto che consente di riportare la manifattura al centro, e l’Industry 4.0 è l’occasione – l’ultima – per raggiungere l’obiettivo, con buona pace di chi parla di dematerializzazione dell’economia. Per riuscirci, oltre che di formazione – se ne parlerà ampiamente più avanti – c’è bisogno di una programmazione e di una progettazione politica e sociale che tenga conto dei megatrend tecno-industriali e umani, da svilupparsi sul lunghissimo periodo e non limitata al ricatto dell’immediato.

Le politiche e le iniziative con orizzonte triennale sono in questo senso inutili. Quelle italiane, che sono semestrali (ultimamente quotidiane), sono più che inutili. Bisogna guardare a un orizzonte di almeno venti o trent’anni, considerando, per esempio, che con gli attuali tassi di crescita nel 2100 l’Africa avrà quattro miliardi di abitanti, tre in più rispetto al miliardo attuale. E considerando anche che, in Italia, gli ultraottantenni raddoppieranno e nel giro di qualche decennio avremo molti più over 65 che giovani. Entrambe le circostanze dovrebbero far rifl ettere sulle dinamiche demografi che e migratorie mondiali, e spingerci a ripensarne totalmente l’interpretazione, i modelli, le priorità e le politiche di gestione.

 

Industry 4.0. Progettazione parola chiave

 

Progettazione: eccola, dunque, la parola chiave. E per non andare fuori strada, bisogna scriverla su un foglio bianco. È questa la prova di coraggio per muoversi in mare aperto, su mappe completamente nuove, e fare sul serio. Fondamentale sarà, inoltre, la partecipazione. La rivoluzione digitale sta consegnando agli archivi l’idea fordista che in fabbrica il lavoro vada organizzato seguendo una rigida catena di comando. Il combinato disposto di Industry 4.0 e delle infrastrutture di blockchain e Intelligenza artificiale modificherà in maniera profonda l’organizzazione del lavoro. Il sociologo Federico Butera spiega che la «gara contro le macchine» è un nonsense logico. Le macchine, cioè la tecnologia, possono essere progettate in modo da produrre risultati positivi per tutti, a patto che la progettazione sia un lavoro di squadra, che liberi i lavoratori dalle gabbie delle mansioni consentendo loro di svolgere un ruolo creativo.7 La partecipazione va estesa anche ai percorsi formativi, alla scuola e alle università. È la via della «democrazia industriale» che è stata seguita con successo dalla Germania e dai Paesi scandinavi.

 

robotica collaborativa
Esempio di robotica collaborativa

 

Il protagonismo delle persone, ovviamente, dev’essere promosso anche fuori dalle fabbriche. Un’autentica partecipazione si realizza pure sul versante del consumo, spingendo le aziende a fare della sostenibilità la bussola che orienta le loro decisioni. Il «voto col portafoglio», ovvero scelte di consumo che premino aziende e imprese che producono seguendo protocolli di sostenibilità, promosso dall’economista Leonardo Becchetti, può aiutare concretamente le persone a divenire soggetti e non oggetti del mercato, e, come vedremo, si configura anche come strumento di lotta sindacale. Se la fabbrica del XX secolo attribuiva al lavoro una dimensione collettiva, oggi questa dinamica si è affievolita. Dunque la chiave di volta per ritrovare una dimensione alta del lavoro è quella della conoscenza e della partecipazione a ogni livello. Bisogna valorizzare esperienze nuove e autentico buon senso contro chi predica la disintermediazione e profetizza un mondo in cui il 90 per cento delle persone starà in panchina vivendo di sussidi, mentre il 10 per cento lavorerà.

A questa visione tecnofobica, a chi sostiene che l’innovazione semplicemente cancellerà occupazione, opponiamo un modello in cui l’uomo si libera nel lavoro, riducendo la fatica e limitando le mansioni ripetitive e alienanti, allargando gli spazi in cui mettere in campo la propria intelligenza e fantasia. Le macchine, insomma, non distruggeranno soltanto, ma miglioreranno il lavoro e, ne parleremo nel dettaglio, ne creeranno di nuovo. Se accantoniamo per un attimo tutte le opinioni in merito, se vogliamo ragionare in modo empirico su quanto sta accadendo e sul suo impatto, noteremo che il nostro sistema industriale è sempre andato a più velocità: oggi è evidente che le aziende che faticano, che non investono e licenziano, sono proprio quelle più lontane dall’innovazione. (….)

 

Una realizzazione di Leonardo Da Vinci: automa semovente

 

Sarebbe utile capire come il Paese di Leonardo, Giotto, Galileo e Michelangelo sia diventato il Paese «timoroso ed esitante» di oggi. Lo ha ben ricordato Massimiliano Magrini: «È fuori dal gregge che si crea innovazione». Serve almeno un po’ di insoddisfazione per l’esistente: il pensiero divergente, come vedremo, è l’unico non sostituibile dagli algoritmi di Intelligenza artificiale, l’unico capace di ridiscutere verità acquisite per innovare anche il sapere precostituito. Il pensiero divergente è quello che ha guidato Leonardo da Vinci, Steve Jobs, ma anche Gandhi. Innovatori che hanno trovato insoddisfacente l’orizzonte che il pensiero tradizionale della loro epoca considerava immutabile. In conclusione, le innovazioni dirompenti e la loro affermazione ci stanno rendendo più forti. La nostra crescita individuale, morale, sul piano delle competenze e delle capacità progettuali e di governo del cambiamento non è, però, altrettanto rapida.»

 

Raffigurazione stilizzata di Intelligenza Artificiale

 

«Questo non ci permette di capire e utilizzare in modo sapiente le tecnologie. Un aspetto critico che dobbiamo sicuramente affrontare, una sfida a rimboccarci le maniche per coglierne le opportunità e ridurne i rischi. Da un po’ di tempo si sente dire che ci stiamo avvicinando alla «singolarità». In fisica, una singolarità è un punto nello spazio o nel tempo, come il centro di un buco nero o l’istante del Big Bang, nel quale la matematica «smette di funzionare» come accadrebbe in altri punti generici, e con essa, quindi, la nostra capacità di comprendere. Il parallelo con la nostra evoluzione suggerisce che ci troviamo in una condizione unica, quella in cui l’avanzamento tecnologico esponenziale può rivelarsi talmente dirompente da spazzare via gran parte dei nostri riferimenti. Se pensiamo ai progressi nel campo dell’Intelligenza artificiale e in quello delle neuroscienze, ci rendiamo immediatamente conto della straordinaria portata del cambiamento in corso. Possiamo gioirne ingenuamente o lasciarci intimorire da questa prospettiva. In entrambi i casi l’assenza di consapevolezza e di spirito di iniziativa prefigura gli scenari peggiori.














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