Consigli alle Pmi per un modello di business di successo. Oggi!

di Pepe Moder e Andrea Pezzarossa* ♦ Da AirBnB a Bla Bla Car, da Amazon ad Ali Baba. Internet ha rivoluzionato il mercato tradizionale e offre l’opportunità alle imprese, di ogni dimensione, di farsi spazio in maniera profittevole. Analisi, consigli e case history per chi vuole misurarsi con la nuova realtà a cura degli esperti del Master in Digital Transformation della 24 ORE Business School

Che la trasformazione della società intera, e di conseguenza dell’intero sistema economico sottostante, sia ormai in essere è un fatto innegabile. Non è più possibile tirarsi indietro e chi si è avvicinato solo negli ultimi anni a cercare di comprendere il fenomeno si trova oggi di fronte ad un contesto caratterizzato da una complessità crescente: se fino a 10 anni fa Internet era un mezzo di comunicazione ad appannaggio di un numero limitato di funzioni aziendali (Marketing e ICT in primis), oggi la sua struttura ne fa una enorme piattaforma di abilitazione dell’intero spettro delle attività aziendali.

Dalla logistica alle vendite, dalle operations alla gestione del personale, dal legal al finance, dal marketing al customer service, tutte le funzioni sono impattate. In questo articolo ci limiteremo ad analizzare il cambiamento evolutivo dei modelli di business, rimandando ad altri saggi l’approfondimento delle altre tematiche coinvolte. Per comprendere il fenomeno è innanzitutto necessario analizzare in profondità i motori della trasformazione: le piattaforme, il cliente e i nuovi competitor.







Le piattaforme, abilitatrici del mercato

Definire AirBnB un sito internet è un errore che ne sottostima ampiamente la funzione e l’importanza: da quasi 400 anni (vedi Adam Smith, La Ricchezza delle Nazioni, 1776) il luogo di incontro tra domanda e offerta è definito mercato. Poco importa che in questo caso sia virtuale. Quello che è rilevante sottolineare è che un’azienda privata ha costruito un ‘ambiente’, una piattaforma appunto, che permette a chi offre alloggi e a chi cerca una sistemazione temporanea di scambiare informazioni e trovare un proprio punto di equilibrio per generare una transazione. Gli esempi sono numerosi, anche in ambito B2B come nel caso del consorzio delle forbici di Premana .

 

Le differenze sostanziali con il passato sono fondamentalmente due:

questi mercati sono privati, ossia controllati non dalla ‘mano invisibile’ di smithiana memoria ma da una azienda che ha come obiettivo il profitto. E per questo motivo è in grado, grazie ai dati che raccoglie, di indirizzare – volendo – il traffico in entrata (= clienti e prospect) verso l’offerta per sé più redditizia. In questo modostanno cambiando profondamente il comportamento delle persone, portandole a superare barriere psicologiche che in passato non permettevano non solo la transazione ma addirittura l’incontro tra domanda e offerta. Per spiegare questo passaggio cruciale ci avvarremo di un esempio fattuale.

L’educazione impartita dai nostri genitori era fondata su alcuni precetti imprescindibili. Uno di questi era di ‘non andare con gli sconosciuti’. Oggi, se pensiamo a BlaBlaCar, una piattaforma di condivisione di passaggi in auto che permette a chi percorre una tratta di ‘vendere’ uno o più posti auto a persone che necessitano di spostarsi tra due luoghi interessati dalla tratta percorsa, ci rendiamo conto di quanto questa sia riuscita a generare il trust necessario a superare la barriera psicologica dell’incontro e condivisione di tempo tra due o più persone che non si conoscono e sanno poco o nulla dell’altro. La piattaforma diventa quindi garante, grazie sia ai feedback ricevuti da chi offre e chi accetta passaggi sia dalla raccolta di informazioni istituzionali dei medesimi (patente, carta di identità).

 

Il Cliente e l’inversione dei ruoli nel mercato

Se fino alla fine degli anni ‘90 i mercati erano ancora fortemente guidati dai brand per una pura ragione di asimmetria informativa e di disponibilità finanziarie, oggi assistiamo ad un incremento deciso del potere dei Clienti che, grazie ai canali digitali e alle piattaforme, hanno profondamente modificato il proprio processo di acquisto: innanzitutto sono più informati e sono in grado di effettuare acquisti in maniera più (apparentemente) consapevole. Non è raro rilevare che il cliente spesso abbia un bagaglio conoscitivo maggiore del venditore e la necessità di una continua formazione, anche condotta in maniera autonoma, da parte della forza vendita è imprescindibile. Direttamente correlato a questo aspetto è la perdita di fiducia dei clienti nei brand e la considerazione di nuovi player anche non geograficamente attigui.

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Dalla 24 ORE Business School un Master per la digital transformation

La digital transformation è un processo di cambiamento che interessa l’azienda nei diversi mercati, che agisce sia sui processi e modelli organizzativi che sulla customer experience e modelli distributivi. Sperimentato, deciso e gestito consapevolmente dalla direzione aziendale, grazie all’utilizzo dei nuovi abilitatori digitali, rappresenta l’elemento chiave per competere sui mercati del futuro. La trasformazione digitale è resa possibile dall’utilizzo di nuove tecnologie, da una visione innovativa del business e da un mindset, una cultura del capitale umano di tipo differente e determinato dall’impiego di nuove tecnologie e servizi e dallo sviluppo di digital capability. Tutto questo è al centro della proposta formativa della 24ORE Business School.

L’ obiettivo del master

Migliorare i processi operativi collaborativi e di comunicazione aziendale; migliorare le performance, la compliance, la reputazione e l’immagine aziendale; acquisire maggiore capacità di raggiungere i propri clienti attuali e i nuovi potenziali grazie all’omnicanalità; acquisire maggiori capacità di soddisfazione dei clienti con una migliore customer experience (integrated multichannel customer managemet); creare e innovare prodotti e servizi; implementare nuovi modelli di business che rispondano direttamente alle esigenze del mercato.

Come è strutturato

Il master digital transformation & business strategy, a numero chiuso e frequenza obbligatoria, è strutturato in formula part time blended (aula + digital learning) rendendo quindi compatibili le esigenze di aggiornamento con lo svolgimento della propria attività lavorativa. Le lezioni in aula si terranno il venerdì e sabato, per un totale di 7 mesi/18 giornate, per un complessivo di 126 ore di formazione. A supporto dell’attività didattica in aula, le sessioni in aula virtuale sono previste con l’utilizzo della piattaforma e-learning della 24ORE Business School, un ambiente web dedicato attraverso il quale, in modalità a distanza, è possibile consultare documenti, dispense, corsi multimediali e interagire con i colleghi e i docenti anche in collaborative learning attraverso il forum didattico.

Il programma

Il master part time digital transformation & business strategy è un percorso formativo che si articola in diversi moduli anche acquistabili separatamente

Digital Transformation & Innovation Strategy: disruption sui business model

28/06/2019 – 20/12/2019

Digital Transformation: tecnologie, new media, big data, Industry 4.0

04/10/2019 – 26/10/2019

Digital Transformation: Change Management & Engagement

09/11/2019 – 2o/12/2019

A chi è rivolto

La docenza è affidata a manager, imprenditori e professionisti del settore che con una collaudata metodologia didattica garantiranno un apprendimento graduale e completo della materia. Il master in Digital Transformation & business strategy è rivolto a manager, imprenditori e professionisti che vogliono migliorare la loro capacità di comprendere e gestire progetti di innovazione basati sulle nuove tecnologie digitali.

Qui tutte le informazioni sui costi, le modalità di iscrizione e le facilitazioni previste.

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Jack Ma
Jack Ma, fondatore e presidente di AliBaba

 

Alcuni ostacoli psicologici che indirizzavano i comportamenti di acquisto sono stati superati – v. supra -, anche in ambito B2B. Amazon Business è oggi insuperabile nella fornitura di prodotti di consumo per l’ufficio. E AliBaba sta consolidando la sua presenza in Italia. Le aspettative nei confronti dei fornitori sono cresciute, sia in termini di servizio che di prodotto. L’asticella si è alzata e difficilmente si tornerà indietro, ma non escludiamolo completamente: siamo ancora nel bel mezzo del viatico, assestamenti anche importanti sono necessari ed accadranno. Oggi nessuno accetta più attese di giorni per una risposta da parte di un nuovo fornitore, così come i tempi della logistica devono essere necessariamente più efficienti e competitivi, nell’ordine delle ore anche per i beni più complessi.

 

Centro i Distribuzione di Vercelli di Amazon
Amazon, il Centro di distribuzione di Vercelli

 

I nuovi competitor, agili e liquidi

Bassi costi di gestione, capacità di ri-orientarsi velocemente alle mutate condizioni di mercato, focalizzazione sui bisogni del cliente, sfruttamento delle molteplici piattaforme presenti online. Se pensiamo alle nuove aziende che entrano sul mercato, è possibile riassumere in quattro macro caratteristiche le differenze con quelle tradizionali:

Mindset

La forma lascia il passo alla sostanza; il raggiungimento degli obiettivi, anche con una buona dose di serendipity, è più importante della perfezione, seguendo l’adagio done is better than perfect; l’errore non è visto come un fallimento ma piuttosto come un viatico necessario per imparare e ampliare la magnitudine della scommessa imprenditoriale. La nuova mentalità imprenditoriale richiede una buona dose di soft skill quali curiosità, umiltà, voglia di imparare e di sperimentare e anche un pizzico di incoscienza. Ma soprattutto la presa di coscienza della necessità di una assegnazione chiara delle responsabilità, in grado di permettere ai professionisti aziendali di prendere decisioni, ormai sempre più demandate al vertice. Assunzione di responsabilità significa autonomia ed indipendenza decisionali ma anche rischio imprenditoriale: puoi fallire, ma non reiterando l’errore. Se così fosse, è necessario assumersi anche in questo caso le proprie responsabilità.

Modelli di business

Li vedremo in profondità tra poco, ma sono uno degli aspetti più sottovalutati dell’impatto della trasformazione digitale sulle aziende.

 

Jeff Bezos, il patron di Amazon
Organizzazione

La gerarchia è un modello superato, guidano le competenze. I controlli nei confronti dei collaboratori sono sull’output, non sulle modalità di raggiungimento. Dimentichiamo orari rigidi, luoghi e strumenti tradizionali e concentriamoci sul risultato. I team sono distribuiti, si utilizzano gli spazi comuni degli uffici per il confronto e la condivisione, mentre qualsiasi altro luogo è accettato per lavorare, purché connesso ad Internet. Riunioni ed email, due strumenti utili a non fare accadere eventi e a non prendere decisioni, vengono sostituite da modalità lavorative più efficaci: si lavora da remoto grazie alle piattaforme di condivisione e di project management in modalità agile .

Processi

La rigidità generata dall’ipercodifica, di cui le normative ISO sono un ‘ottimo’ esempio, ha ingessato il sistema produttivo, in particolare quello europeo. E’ necessario rivedere in profondità questo approccio perché è fonte di perdita di competitività ed elasticità a mercati i cui cicli risultano sempre più brevi e imprevedibili. Bene dunque studiare e definire il backbone, l’ossatura portante, e il framework di lavoro, ossia il perimetro all’interno del quale potersi muovere. Ma deve valere la regola del freedom within framework, affinché si possa tornare a recuperare produttività e competitività.

Experience

La proposizione di valore delle aziende liquide non è sul prodotto o sul servizio in sé ma sulla capacità di mettere a disposizione del proprio cliente un’esperienza memorabile. Stiamo parlando di piccole o grandi soluzioni che rendono più semplice o migliorano sensibilmente le modalità di soddisfazione di un bisogno: comprare un paio di scarpe su Zalando con tre numeri diversi; vederle recapitate a casa in 3 giorni in una scatola che contiene già la bolla adesiva di restituzione; provarle e trattenerne una, mentre la altre due finiscono lì dove erano arrivate, chiuse in una scatola con la nuova bolla di partenza; andare sul sito e prenotare gratuitamente il ritiro, che verrà fatto direttamente presso la portinaia a cui avete consegnato il pacco; e vedersi addebitato solo il costo del paio trattenuto.

Questa è un’esperienza, non è l’acquisto di un paio di scarpe. E tanti clienti cambiano comportamento di acquisto e pretendono soluzioni analoghe da tutti i propri venditori. Ma è solo per i clienti consumer? Sembrerebbe, a ben vedere di no: Vodafone non vende alle piccole e medie imprese l’ultimo modello di smartphone o la tariffa più vantaggiosa. Fornisce un servizio che diventa un’esperienza di valore: ad un prezzo fisso mensile hai il nuovo modello di smartphone che ti viene cambiato ogni due anni, una tariffa vantaggiosa all inclusive e la garanzia di una sostituzione immediata in caso di furto, smarrimento o malfunzionamenti. Soddisfa due bisogni con un’unica proposition: garantisce l’always online e il glam dello smartphone sempre aggiornato, non vende il prodotto o la connessione ad Internet.

 

Piccolo è bello (le opportunità per le Pmi)

Leggendo quanto scritto in precedenza, la memoria del lettore dovrebbe essere stimolata e richiamare un periodo storico caratteristico della storia d’Italia: il Miracolo Economico Italiano (vedi V. Castronovo, L’Italia del miracolo economico). Le similitudini della crescita della Silicon Valley con quanto accaduto nel dopoguerra sono numerose: a partire dalla mentalità aperta, lo spirito di sacrificio e la voglia di fare, il desiderio di sperimentare e di sbagliare per imparare. Poi, lentamente, le aziende si sono ingessate grazie a strutture e sovrastrutture che ne permettessero il controllo e soprattutto il governo. La sfida attuale è recuperare quello spirito e quell’approccio e applicarli ai sistemi aziendali attuali. E chi meglio delle piccole e medie imprese italiane potrebbe affrontare questa sfida?

Purtroppo deficitiamo di una classe manageriale che abbia voglia, desiderio e fame di imprenditoria, seduta com’è su quanto costruito dai propri padri o nonni, pavida di fronte a decisioni coraggiose e rischiose. Non mancano interessanti esempi contrari, come EliWMS (Intervista a Luigi Franceschetti) , dove la terza generazione di straccivendoli è riuscita nell’impresa di creare da zero un Warehouse Management System in cloud e diventare una case history internazionale per Google. O TheBespoKeDudes (Intervista ad Andrea Viganò), due giovani imprenditori italiani che hanno sfruttato le leve della distribuzione tradizionale e la vendita digitale e sono oggi in grado di essere presenti in oltre 140 mercati con i loro occhiali da sole prodotti da artigiani dell’agordino, non in Cina.

 

I nuovi modelli di business: affrontare la discontinuità

I motori della trasformazione elencati in precedenza stanno generando impatti sui modelli di business, sulle organizzazioni e sui processi conseguenti. Ma cosa intendiamo per modelli di business? Utilizzeremo una delle definizioni più comuni, secondo cui “è una descrizione del valore che una impresa offre ad uno o più segmenti di clienti e dell’architettura dell’azienda e la sua rete di partners atta a creare, mettere sul mercato e consegnare questo capitale di valore e relazione, per generare flussi di reddito vantaggiosi e sostenibili” , (Osterwalder, Pigneur & Tucci, 2005)  a cui ci sentiamo di aggiungere un contributo, maturato nel corso delle sessioni del Master in Digital Transformation della 24 ORE Business School ,vale a dire il paradigma delle 3 C. Per essere di successo, un modello di business innovativo deve oggi restituire valore al Cliente (Customer), all’azienda (Company) e alla società (Collectivity). Quest’ultimo fattore diventa sempre più preponderante nelle scelte del consumatore.

La trasformazione in atto, come detto, è totalizzante e studiare da vicino questi modelli ci permette di comprenderne le dinamiche e soprattutto gli impatti sulla struttura aziendale attuale. Sottovalutarne l’impatto è il vero tallone d’achille di gran parte delle iniziative di business digitale perché sottostima le aree coinvolte e non permette al modello una piena affermazione, rimanendo spesso zoppo di servizi a monte o a valle. Non si tratta dunque di tecnologia, non sarà il vostro IT a cambiare l’azienda; potete mettere da parte anche l’idea di assumere una nuova cintura nera del digitale. Bisogna entrare in profondità e partire dall’analisi dei bisogni e del cambiamento dei comportamenti dei clienti per capire su quali leve agire.

Sette pattern di modelli di business di successo

Analizzando i casi di successo delle aziende che stanno cambiando le regole del gioco, possiamo identificare sette pattern di modelli di business di successo. Direct to Customer,Iperpersonalizzazione,Freemium,Da possesso a servizioNuovi modelli di scambio,Platfirm,Peer to peer. Analizziamoli puntualmente:

Direct to Customer

E’ probabilmente il modello più facilmente riconoscibile perché prevede l’utilizzo di piattaforme di ecommerce, proprie o di terzi, per vendere direttamente al proprio cliente, bypassando l’intera catena di distribuzione: distributore, grossista, retailer/installatore. La naturale conseguenza è una resistenza serrata dei player, da cui dipende il fatturato del produttore a monte, i quali sono pronti a qualsiasi azione pur di non vedersi superati a destra. Salvo poi essere i primi a cercare di sfruttare le piattaforme per generare fatturato addizionale, spesso a discapito dei margini, con una conseguente guerra dei prezzi. La tecnologia favorisce certamente la circolazione delle informazioni e dunque la possibilità per gli intermediari di fare leva sui differenziali di prezzi tra i Paesi, generando margini consistenti per sé ma, di fatto, contribuendo ad un impoverimento del valore del mercato.

Visti gli ostacoli anzidetti, è ovvio che questa soluzione sia ideale per le piccole aziende e in particolare quelle nuove che non hanno da temere conflitti con alcuno, poiché ancora in via di strutturazione. Questo non significa che il modello sia adeguato solo per i nuovi interlocutori, tutt’altro. Bisogna però sedersi e studiare un approccio strategico solido, che:preveda una redistribuzione del valore per tutti o alcuni degli attori della catena distributiva; consideri l’opportunità di una differenziazione di brand e/o di prodotti, con linee (e servizi) dedicate a canali specifici; analizzi gli impatti sulla gestione diretta della logistica verso il singolo cliente e della sua relazione;sia guidato con coraggio nella sua applicazione, senza il timore di una rivoluzione. I mal di pancia si gestiscono, ma se la soluzione genera valore per più interlocutori, il muro degli osteggiatori si rompe.

Saraceni Group è un’azienda a conduzione familiare da 2 generazioni, comprendente ristoranti rinomati e una cantina, riconosciuta a livello internazionale per la produzione di vini di qualità venduti attraverso i canali tradizionali. Nel 2017 i fratelli Saraceni lanciano il loro prodotto iconico: il “Blumond”, uno spumante dolce dalla caratteristica colorazione blu acceso. In contemporanea aprono il canale eCommerce (Saraceni Wines) e, grazie allo sfruttamento delle leve di marketing digitale, raggiungono un pubblico vastissimo ed internazionale, facendo registrare il +400% di bottiglie vendute in 2 anni (300.000).

 

 

Iperpersonalizzazione

Un secondo modello in forte crescita è basato sulla cosiddetta iperpersonalizzazione del prodotto o servizio. Bisogna ridisegnare l’intera filiera di produzione per poter industrializzare il processo di personalizzazione estrema senza scadere nelle chimere anacronistiche dell’artigianato, attraente sì ma poco efficiente. A partire dall’oggetto in sé per arrivare ai servizi correlati, tutto diventa personalizzabile secondo le proprie esigenze, senza però che il prezzo sia distante dalla precedente produzione di massa. Lanieri   ne è uno straordinario esempio: potete acquistare sul sito o presso i 9 atelier nel mondo, abiti da uomo di cui potete personalizzare qualsiasi aspetto: cinque modelli di taglio della giacca, 4 delle tasche, due dei bottoni con 17 varianti di colore, due dello spacco giacca e della spalla, due della fodera con 17 varianti di colore. E non finisce qui, potete proseguire la personalizzazione all’inverosimile, arrivando ad ottenere un capo che solo voi indossate.

Con la garanzia di un taglio su misura: grazie agli algoritmi proprietari e alle misure antropometriche fornite dal cliente, Lanieri garantisce nel 95% dei casi la vestizione a pennello e nel rimanente 5% la possibilità di una correzione, anche presso l’atelier. I prezzi? Un abito su misura di lana Reda a 495 euro. Fatto in Italia. Ovvio che di fronte a queste tipologie di servizi i Clienti aumentano le proprie aspettative nei confronti di tutti i player di mercato e ci saranno attori in grado di soddisfarne le attese. Sarete voi o un nuovo competitor?

Freemium

Questo modello si è sviluppato grazie a nuove formule di proposizione del software: per poter essere attrattive e intaccare le posizioni dominanti dei monopolisti di mercato quali Microsoft e Adobe nei rispettivi segmenti, le piccole software house indie hanno dapprima proposto la formula cd. try & buy che permetteva l’utilizzo del software a pieno servizio per un periodo limitato. Dato che questa formula nel tempo aveva perso di interesse, anche a causa della vulnerabilità del software completo di fronte ad incursioni pirata che ne sbloccavano gratuitamente le funzionalità, il modello si è evoluto nella formula freemium: un set di servizi di base è gratuito senza limitazioni di tempo.

L’utilizzo di funzionalità aggiuntive richiede la sottoscrizione di un abbonamento o di un acquisto una tantum per poter usufruire della funzionalità addizionale. Il primo caso è tipico dei software professionali, il secondo invece dei videogiochi, in particolare di quelli per smartphone. Due esempi per chiarire. Slack  è un’efficiente piattaforma di collaborazione e condivisione di contenuti tra team e con clienti e fornitori esterni, in grado di rimpiazzare più che egregiamente l’utilizzo – spesso inappropriato – della mail. Il software, completamente in cloud e accessibile da desktop e da mobile, è gratuito per un numero illimitato di persone ma con limitazioni funzionali che non ne pregiudicano il pieno utilizzo. Questa killer application diventa talmente essenziale nei processi di lavoro da portare quasi naturalmente gli utilizzatori all’upgrade del servizio per sbloccare le funzionalità di archivio dei documenti condivisi e di ricerca su un numero illimitato di messaggi (fino a 10.000 nella versione free).

 

 

Candy Crush è sicuramente il gioco più popolare tra quelli per gli smartphone. La piattaforma è concepita con migliaia di livelli dalla difficoltà variabile. Il caso ovviamente gioca la sua parte. Ogni giocatore prima o poi incontra un livello di gioco particolarmente ostico, il cui superamento sarebbe agevolato se si avessero a disposizione combinazioni bonus. Queste hanno un costo e diventano particolarmente intriganti perché risolutive nel momento del bisogno. E dato che parliamo, nella gran parte dei casi, di micropagamenti di 1 o 2 euro, la spesa non è quasi percepita. Ma se andassimo a sommare il TCO del software, sarebbe nettamente più alto del costo medio di un videogioco.

Una terza variante di questo modello è quella basata sulla pubblicità: il servizio viene erogato nella sua completezza ma viene ripagato dagli introiti pubblicitari veicolati agli utilizzatori. In realtà questa variante ha dimostrato in breve tempo la sua inadeguatezza: in ambito editoriale la totalità dei quotidiani ha pubblicato negli anni una versione digitale completa che si sarebbe ripagata grazie agli inserzionisti pubblicitari. Con l’evoluzione delle piattaforme di erogazione della pubblicità online e il crescente numero di canali di informazione digitali, la quantità di spazi pubblicitari invenduti è cresciuta notevolmente, facendo crollare i prezzi delle inserzioni e diminuendo i margini delle testate.

Per questo motivo vi è stato a partire dal 2017 un ri-orientamento verso la prima variante, grazie alla quale testate come Repubblica o il Corriere della Sera oggi offrono una prima pagina completa e un accesso limitato all’approfondimento delle notizie(per numero o per argomento), richiedendo un canone mensile per la lettura completa. Modelli come le varianti del freemium sono facilmente applicabili in molti ambiti, anche distanti dall’erogazione di servizi o prodotti immateriali e, se ben supportati da un’offerta adeguata che ne giustifichi il pagamento, risultano più profittevoli del modello precedente.

Da possesso ad accesso

Se agli albori del sistema capitalistico la transazione puntava al possesso, dagli anni ‘70 in poi l’interesse si è spostato sempre più sull’utilizzo del bene o del servizio, per massimizzare da una parte i costi di produzione e il riutilizzo del bene prodotto e dall’altra renderlo disponibile per il periodo strettamente necessario all’utilizzo ad un prezzo più accessibile.
E’ l’era d’oro del renting: prodotti che prima dovevano essere acquistati per poterne usufruire possono ora essere noleggiati. Diventa particolarmente conveniente per quelle attrezzature da lavoro costose il cui uso è sporadico. La trasformazione digitale ha premuto sull’accelerazione dell’innovazione, dematerializzando l’oggetto della transazione e rendendolo disponibile al momento del bisogno (J. Rifkin, L’era dell’accesso, 2000). Facile è per quei beni che per loro natura sono dematerializzati, come la voce di un cantante. Facile ma non indolore, per il mercato della musica. Che, se analizzato in profondità, ha subito ben due discontinuità in un ventennio: prima con il sistema chiuso di Apple che risolveva a monte tutti i problemi di pirateria e diritti di fruizione. Poi con lo streaming che ha messo in crisi il framework del sistema chiuso e ha reso disponibili milioni di brani tramite un abbonamento mensile alla metà del costo di un ‘vecchio’ CD.

Ma cosa accade per quei beni materiali che non possono essere resi disponibili nel cloud? In realtà l’esercizio è più semplice di quanto si pensi: basta guardare la luna e non il dito. In altre parole, non è l’oggetto ad essere dematerializzato ma il processo di soddisfazione del bisogno. Hewlett Packard, con le sue stampanti per piccoli uffici, ha totalmente reinventato il modello di business delle cartucce di inchiostro: oggi acquisti un abbonamento mensile ad un numero di stampe, non le cartucce di ricambio. La stampante è connessa via wifi ad un servizio che controlla i livelli di inchiostro e, grazie a semplici algoritmi predittivi che calcolano sulla base dello storico il momento in cui il refill si esaurirà, invierà in automatico a casa senza alcuna azione da parte dell’utente. Questo modello è applicabile a tutti i prodotti e servizi di consumo frequente o utilizzo ricorsivo, come i detersivi o i prodotti consumabili per l’ufficio, i servizi di lavanderia o le automobili. E si estende, con grande facilità, a tutto il mercato dell’intrattenimento audio e video, podcast inclusi.

 

Nuovi modelli di scambio

Il modello in questione riveste alcune peculiarità proprie dell’era digitale che stiamo vivendo. Si caratterizza per una cesura netta dello scambio bene-moneta tra due attori di mercato, creando valore grazie ad una relazione terza che monetizza i dati ricevuti in cambio del bene dalla prima relazione. E’ il caso di Google che fornisce gratuitamente a tutti gli utenti un’intera piattaforma di Office automation, analoga in tutte le funzionalità a quella ben più costosa di Microsoft. Per l’utilizzo e lo storage di gran parte dei dati nessuno paga nulla, né i privati né le aziende. Da dove viene ricavato il profitto? Dalla monetizzazione dei dati di comportamento e di preferenze espressi nell’utilizzo (e non nel contenuto prodotto) degli strumenti, legati a doppio filo a Gmail, al motore di ricerca e a Maps. Ecco dunque che questi dati vengono valorizzati in forma rigorosamente anonima per inserzionisti terzi che vogliono conoscere più a fondo le caratteristiche comportamentali e di scelta dei propri cluster di clienti.

Idealmente qualunque azienda, se opportunamente strutturata nella rilevazione e raccolta di dati potrebbe adottare questo modello, concedendo ad un prezzo simbolico o addirittura gratuitamente un bene per poi poter monetizzare i dati raccolti durante il suo utilizzo. Deve però essere un uso frequente e rilevante, altrimenti i dati raccolti hanno basso significato. In alcuni casi questo modello può essere ibridato con l’aggiunta di una opzione a pagamento del servizio dietro anonimizzazione e non raccolta dei dati di utilizzo. Ma dato che la percezione della violazione della privacy è molto bassa da parte del cliente medio, sarà nettamente superiore il numero di quelli disposti a concedere i propri dati in cambio dell’ultimo modello disponibile.

 

Platfirm

Definire le platfirm non è agevole. E’ un termine ampiamente trattato già nel 2016 (Troiani, Sica, Scotti, The Platfirm age, Harvard Business Review 2016)   per indicare quelle aziende in grado di aggregare attori di mercato differenti per generare un valore superiore alla somma dei singoli. Il valore sta nella cooperazione e collaborazione di agenti prima in concorrenza o non in diretta comunicazione perché disposti simmetricamente agli opposti nelle relazioni di mercato (cliente-fornitore). Oggi vogliamo superare questa definizione, seppur brillante, estendendola a tutte quelle aziende in grado non solo di creare questo valore ma di permettere la creazione di un mercato, ossia dell’incontro tra domanda e offerta, prima intermediate da agenti terzi o non raggiungibili con la medesima facilità. Pensiamo ad esempio a tutte le aziende piattaforma che permettono la condivisione di beni o servizi, come la già citata BlaBlaCar: permette a chi guida un’auto di offrire un passaggio e a chi deve percorrere la medesima tratta di trovare un driver. Prima questo matching era praticamente impossibile.

La stessa Gig-economy è abilitata dalle platfirm: ogni ristorante, grazie a piattaforme come Glovo, può estendere il suo raggio di azione; i rider possono guadagnare qualche spicciolo effettuando le consegne; i clienti finali possono avere il loro cibo preferito direttamente a casa. Qui il valore sta non solo nella semplificazione ma anche e soprattutto nella capacità di fare incontrare domanda ed offerta, diventando il controllore terzo del mercato. Probabilmente la forma più remunerativa ma anche quella più difficile da applicare, tra quelle esposte, perché richiede come prerogativa assoluta la creazione di uno spazio che sul mercato non c’è ancora e che spesso necessita il superamento di piccole o grandi barriere psicologiche da parte dei clienti per essere adottata.

Peer to peer

Anche quest’ultimo modello non è figlio di un’evoluzione ma dell’accelerazione impressa all’innovazione dalla trasformazione digitale. Si tratta di piattaforme che permettono l’incontro tra domanda e offerta tra agenti paritetici di mercato (due consumatori, ad esempio). Fino a ieri la produzione di energia elettrica era di esclusiva competenza delle Utility. Chi, privato o professionista che fosse, fosse stato in grado di produrre energia elettrica in surplus, ad esempio attraverso i propri pannelli solari, aveva tre opzioni: rivenderla ad un prezzo concordato al gestore; disperderla; conservarla grazie a costosi accumulatori. Oggi, grazie alla tecnologia e alle aziende piattaforma è possibile scambiare energia elettrica tra privati, utilizzando la blockchain come strumento di garanzia della titolarità dei soggetti e delle transazioni.

 

 

Ancora più interessante è l’esempio di Borsa Del Credito, una realtà italiana che permette un accesso al credito da parte delle aziende a tassi più bassi di quelli offerti dal sistema bancario tradizionale ed in soli tre giorni; mentre ai creditori propone tassi di remunerazione mediamente più alti del mercato, attualmente attorno al 5%. Con una garanzia sul capitale investito in caso di insolvenza da parte del debitore . Il modello di business crea valore e marginalità perché è in grado di semplificare l’intero sistema di soddisfazione della domanda e dell’offerta, diminuendo drasticamente le inefficienze e quindi i costi. Ovviamente fornisce la massima efficacia in contesti obsoleti e iperstrutturati, dove la discontinutà non può che creare efficienza e quindi marginalità.

Il punto di arrivo? E’ quello di partenza!

Abbiamo passato in rassegna dunque i principali modelli di business che la trasformazione digitale ha reso possibili. Long story short, da dove partire per capirne l’applicabilità in azienda? Dal convitato di pietra più volte citato, il Cliente. Senza avere chiari i differenti profili cliente, le loro caratteristiche sociali, caratteriali e comportamentali; senza sapere i punti di contatto e soprattutto senza conoscere i bisogni che spingono oggi i clienti ad adottare comportamenti differenti per raggiungere soluzioni simili sarete sempre una nave, grande o piccola a piacere, in mezzo all’oceano senza lo straccio di una carta nautica.

Gli autori*

Pepe Moder, con oltre 20 anni di esperienza in ruoli internazionali di Chief Digital Officer in Ras, Allianz, Barilla, Pirelli, Fiat Chrysler, è oggi Partner e fondatore di Imaginars. Conduttore di RadioNext su Radio 24, coordinatore scientifico del Master in Digital Transformation della 24ORE Business School e della School of Management dell’Università di Bergamo. Autore di Trasformazione Digitale (EGEA), Internet Startup (Apogeo), Web Marketing per le PMI (Hestia)

 

 

 

 

 

Andrea Pezzarossa, Digital Consultant di Imaginars, collabora con la 24ORE Business School e la School of Management dell’Università di Bergamo, dopo aver maturato esperienza nell’ambito dell’analisi dei dati di ascolto, della valutazione del contenuto televisivo e della contro-programmazione a Sky Italia e Mediaset Premium.

 














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