Industria 4.0 corre in Lamborghini

  di Marco de’ Francesco ♦ Una guida sicura per muoversi nella digital transformation. Per la casa automobilistica delle Huracán, delle Aventador e ora del Suv Urus, c’è la collaborazione di KPMG. Che nel suo ultimo studio fotografa lo stato dell’ arte delle imprese italiane che affrontano la quarta rivoluzione industriale

Non c’è un framework. Non esistono best practise valide per tutti. La strada della Factory 4.0 è lastricata di scelte “individuali”, sulla scorta delle proprie esigenze e del proprio grado di maturità digitale. È il player che deve individuare un approccio personalizzato.  Lo ha sperimentato la Lamborghini, storica casa automobilistica italiana, impegnata, con il supporto di Kpmg, nell’ampliamento in chiave industry 4.0 dello stabilimento di Sant’Agata Bolognese. È stato realizzato un nuovo comparto produttivo per allargare la gamma di prodotto e grazie a un percorso integrato tra le nuove  funzioni e grazie alle tante soluzioni tecnologiche inserite nel nuovo contesto, l’azienda ha ottenuto un recupero dell’efficienza e punta ora al raddoppio della produzione.

 







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Lamborghini: linea di montaggio Aventador

L’approccio personalizzato costituisce però una sola delle cinque massime fondamentali emergenti dalla ricerca “Industry 4.0: cosa pensano le aziende italiane – Quali strategie per le aziende Made in Italy” condotta da Kpmg su oltre 200 realtà produttive (da questa ricerca sono tratte le tabelle che illustrano questo articolo ndr.). Parlano le aziende, a proposito del fenomeno Industry 4.0, in generale e riguardo al loro posizionamento in materia rispetto ai competitor. Anzitutto, l’Industry 4.0 è considerata una grande opportunità per l’upgrade del sistema manifatturiero italiano; dopo un decennio di deindustrializzazione e delocalizzazione, è l’unico movimento in grado di rivitalizzarlo. Le aziende devono farsi coraggio e investire ma  c’è un enorme problema culturale: occorrono processi di “reskill” e nuove competenze manageriali. È infine terminata l’epoca del fai-da-te: le aziende devono aprirsi alle contaminazioni esterne e creare partnership. Industria Italiana ne ha parlato con  Carmelo Mariano, Partner, Kpmg Advisory.

Kpmg e Lamborghini: il Suv Urus e l’ampliamento in stile Fabbrica 4.0

Lamborghini è uno di quei nomi di prestigio che richiamano alla mente il boom degli anni Sessanta e la nuova dimensione industriale del Paese. Le origini si perdono un po’ nel mito, in una litigata tra Enzo Ferrari e Ferruccio Lamborghini, ricco produttore di trattori. Il secondo avrebbe dispensato al primo consigli per correggere alcuni difetti della Ferrari 250 GT, di cui aveva acquistato un esemplare; il primo, stizzito, lo invitò ad occuparsi di trattori. Lamborghini, invece, nel 1963 mise su a Sant’Agata Bolognese la Lamborghini Automobili, lì dove vennero costruiti i primi esemplari della Miura. L’azienda passò di mano già nel 1972, con la cessione della maggioranza delle azioni all’imprenditore svizzero Georges-Henri Rossetti. Dal 1998, dopo vari passaggi proprietari, è parte del gruppo Volkswagen. Attualmente Lamborghini, che ha 130 concessionari in tutto il mondo, conta 1.300 dipendenti. Tra le supercar più note tra quelle prodotte in 50 anni di attività, la Aventador, la Veneno, la Diablo. L’azienda è guidata dall’amministratore delegato Stefano Domenicali, ex responsabile della divisione sportiva in Ferrari.

 

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Stefano Domenicali, AD Lamborghini, con il nuovo modello Urus

«L’azienda – dice Mariano a Industria Italiana – ha deciso di ampliare la gamma prodotto sviluppando un nuovo modello di vettura, la “Urus”, per entrare nel segmento dei Suv (si tratta, in effetti, di un SuperSuv con motore V8 a benzina, un biturbo da 650 cavalli di potenza e 850 Nm di coppia; ndr). Pertanto l’azienda ha ampliato lo storico stabilimento di San’Agata Bolognese da 80mila a 160mila metri quadrati secondo i principi dell’Industry 4.0». Un nuovo comparto produttivo con una linea di assemblaggio dedicata a Urus, e ciò, appunto, all’insegna del modello Factory 4.0. (vedi Industria Italiana ).

L’anno scorso l’azienda ha venduto complessivamente 3.457 automobili, superando per la prima volta quota 3.400 unità e facendo registrare un aumento del 7% rispetto all’anno precedente. Grazie all’ampliamento, l’azienda conta di aumentare la capacità produttiva sino a 7mila esemplari; e cioè, in sostanza, di raddoppiarla. Nei progetti a breve termine dell’azienda, una berlina a quattro porte che debutterà nel 2021 e una nuova Huracán ibrida con batterie di nuova generazione che consentiranno all’auto di percorrere lunghi tratti ad energia elettrica. Quest’ultimo modello sarà in vendita dal 2022.

La conversione all’elettrico non finisce qui. Infatti, insieme al Mit (Massachusset Institute of Technology, l’ateneo che con Harvard guida il ranking globale) l’azienda ha realizzato il concept Terzo Millennio, con quattro motori elettrici alimentati da superbatterie e largo uso di fibra di carbonio. Un giorno, non si sa ancora quando, sostituirà la Aventador, l’ammiraglia del brand. Negli ultimi tre anni sono state vendute 9mila Huracán e negli ultimi sei anni 7mila Aventador. Tornando alla Urus, per realizzare il Suv l’azienda, nel 2015, ha varato un piano di assunzione di 500 addetti; a giugno di quest’anno erano state assunte 400 persone; dunque c’è ancora spazio per 100 nuovi dipendenti.

 

Kpmg LamborghiniKpmg e il caso Lamborghini

Non esistono best practise sulla strada del 4.0: ogni player deve definire il proprio percorso. L’azienda, per realizzare l’ampliamento dello stabilimento, ha interagito con i tanti soggetti che popolano l’ecosistema. «Con i main contractor, anzitutto – continua Mariano – che offrivano la loro piattaforma tecnologica per l’energy management. E poi Lamborghini ha acquistato tecnologia, robot, linee di assemblaggio, sistemi di avvitatura; e ciascuno dei venditori proponeva il proprio gateway per l’Iot o per il controllo remoto delle macchine. Infine, è stato necessario peraltro dotarsi di controllori di processo, di sistemi di supervisione degli impianti e di software, di piattaforme applicative per integrare il tutto. Anche qui, ciascuno dei venditori proponeva la propria soluzione per l’industry 4.0. La verità è che non esiste ancora un framework di riferimento, né best practise consolidate su questo fronte».

In pratica, l’Industry 4.0 è un ecosistema complesso: grandi multinazionali dell’operating technology; multinational software vendor; operatori specializzati in nicchie di mercato; progettisti di impianti e general contractor. Pertanto «l’azienda deve definire il proprio percorso sulla scorta della propria consapevolezza circa il proprio grado di maturità digitale. Declinare la propria linea strategica sull’organizzazione e sui processi». Per Mariano «in Lamborghini è stato fondamentale fare un lavoro in team, abbattendo le barriere tra le funzioni: ricerca e sviluppo, ingegneria industriale, la qualità, la finanza e controllo. Si è realizzato un sistema digitale molto evoluto».

Kpmg Lambo

Kpmg e Lamborghini: la riduzione delle inefficienze e dei tempi della produzione

Anzitutto secondo Mariano «introducendo piattaforme di pianificazione avanzata e strumenti a supporto degli operatori in fabbrica, si è riusciti ad eliminare attività a basso valore aggiunto ed inefficienze, come i tempi che l’operatore perdeva in cerca delle istruzioni di montaggio o per capire quali componenti assemblare su una macchina; ma anche i fermi dovuti al fatto che gli addetti ai cablaggi non erano disponibili perché impegnati in un’altra stazione di lavoro. Si è aumentata l’efficienza e si è ridotto il timing di produzione».

La soluzione adottata «consente all’operatore dotato di un semplice braccialetto, di passare di fronte ad un rilevatore e di identificarsi nel sistema che poi lo guida in tutti i passi del processo produttivo. L’operatore ha la possibilità di vedere un modello 3d e di richiamare un difetto facendo visual tagging, come se taggasse un amico su una foto di facebook. Il sistema controlla un apparato di automazione molto avanzato, con robot collaborativi, sistemi di avvitatura automatica, carrelli a guida automatica». La Lamborghini, infine, una volta connesse le macchine e raccolti i dati, ha messo a punto una serie di pacchetti di servizi di manutenzione da offrire ai propri clienti.

 

Kpmg Lambo

L’Industry 4.0 nella visione degli analisti: cambia il lavoro nelle aziende

Il recupero di efficienza è solo uno degli effetti generalmente collegati alla digitalizzazione. Secondo gli analisti l’Industry 4.0 esprime una visione del futuro per la quale le aziende, sfruttando moderne tecnologie digitali, possono cambiare il modo tradizionale di lavorare, recuperando competitività. In questa visione prodotti e risorse produttive sono intelligenti, perché dispongono di sensori in grado di identificarli, geolocalizzandoli lungo l’intera filiera e trasmettendo informazioni sul loro stato. Le informazioni vengono elaborate da sistemi di algoritmi centrali di machine learning; e ciò sia in vista di una analisi di utilizzo dei prodotti che per attivare operazioni di miglioramento continuo su prodotti e processi. La vision contempla risorse intelligenti, autoapprendimento e robot collaborativi.

Per Mariano «le fabbriche sono intelligenti, e gli operatori sono supportati da strumenti digitali e da robot collaborativi che li mettono in condizione di lavorare con maggiori autonomia e sicurezza. Le risorse produttive sono interoperabili, e cioè interconnesse e in grado di comunicare secondo standard e protocolli condivisi. È chiaro che, detta così, l’Industry 4.0 esprime una visione molto ottimistica del futuro». Tornando agli analisti, dicono che entro il 2025 il 45% delle attività manuali verrà svolta da robot. Il costo di questi sistemi di automazione intelligente è diminuito del 27% negli ultimi 10 anni; di conseguenza disponiamo di una tecnologia sempre più a buon prezzo e che promette ritorni importanti, significativi in termini di produttività (+ 17%) e del contenimento dei costi industriali, con una riduzione dal 18 al 33%.

Lambo KPMG

L’Industry 4.0 secondo le aziende

La rivitalizzazione del manifatturiero italiano è a portata di mano. Per capire che cosa ne pensassero le aziende di Industry 4.0 Kpmg ha realizzato una ricerca da cui risulta che la quasi totalità delle aziende ritiene che l’Industry 4.0 rappresenti una reale opportunità per rilanciare il settore manifatturiero italiano. Infatti il 75% degli intervistati è d’accordo con questa affermazione e il 23% risulta parzialmente d’accordo. In pratica, solo il 2% non condivide l’idea. La spiegazione è abbastanza semplice: l’Italia è pur sempre il secondo paese manifatturiero europeo. Negli ultimi anni, per effetto della crisi, abbiamo tutti assistito alla chiusura di aziende, o al loro spostamento in Paesi dove il costo della manodopera è più basso; ora, dopo un decennio di deindustrializzazione o delocalizzazione, si assiste ad un fenomeno che promette di rivitalizzare il settore.

I principali benefici per le aziende dell’Industry 4.0 in termini di competitività

L’efficienza, come si è detto, rappresenta un vantaggio tangibile, ma non è l’unico. Secondo gli intervistati, i benefici sono questi: la disponibilità di dati per il miglioramento continuo (63,1%); l’aumento della produttività (54,1%); lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi (50,5%); una maggiore flessibilità (43,2%); la riduzione dei costi industriali (37,8%); la personalizzazione del prodotto (36,0%); altri benefici generici, che valgono l’1,8%. Mariano la spiega così: «Si diceva che l’Industria 4.0 rende intelligenti i prodotti o i macchinari; e che pertanto consente di acquisire informazioni su come vengono utilizzati i prodotti e su come funzionano gli impianti. Il principale beneficio che le aziende vedono nel 4.0 è proprio l’enorme disponibilità di dati».

 

Lamborghini: linea di montaggio Aventador

 

Dati che rappresentano un valore per l’azienda: consentono di attivare azioni di miglioramento sul prodotto e sul processo, nonché di sviluppare nuovi servizi. Ora si tratta di spostare il focus dal prodotto al servizio, per adottare un modello di machine as a service – per vendere non più macchine ma ore di funzionamento delle macchine. Il 4.0 comporta una piattaforma integrata, che contempla innovazione, convergenza e orchestrazione. «Al fine di cogliere questi benefici – continua Mariano – la tecnologia gioca un ruolo importante; attenzione, però, a non commettere l’errore di pensare che l’industry 4.0 sia un prodotto, o che basti installare un software. Bisogna invece orchestrare tutte le diverse leve tecnologiche: dalla connettività all’IoT ai data analytics; e ciò per organizzare un percorso che consenta di raggiungere gli obiettivi».

Kpmg LamboL’innovazione si è diffusa a macchia di leopardo

Naturalmente, accanto a Lamborghini e a altre aziende avanzate che hanno investito in tecnologia innovativa di ultima generazione, ci sono però tante altre realtà che non dispongono di sistemi evoluti. Secondo la ricerca l’innovazione si è diffusa a macchia di leopardo. Per lo studio, infatti, spesso le Pmi dispongono di sistemi informativi obsoleti e non all’altezza dei nuovi paradigmi tecnologici. Ne sono consapevoli. Poste di fronte a questa domanda: “Come percepite il vostro posizionamento circa le soluzioni Industry 4.0 rispetto ai vostri competitor esistenti o potenziali?”, solo il 5% delle aziende ritiene di essere il “best of breed” e cioè un punto di riferimento; il 25% pensa di essere leader in materia; il 18% ritiene di non avere un posizionamento omogeneo; il 41% non è in grado di esprimere il proprio posizionamento rispetto ai competitor; il 18% si definisce “follower”.

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Le barriere che rallentano il percorso verso l’Industry 4.0

Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, dalla ricerca emerge che il principale ostacolo all’affermarsi del 4.0 non è l’entità dell’investimento, ma è culturale; la cultura aziendale non è adeguata. In effetti per lo studio il problema è legato alla mancanza di cultura aziendale per il 73,9% delle risposte; alla carenza di disponibilità di risorse interne preparate per affrontare il cambiamento (60,4%); alla difficoltà a valutare le reali implicazioni pratiche e a focalizzare i benefici (56,8%); alla disponibilità di competenze (50,5%); alla scarsa propensione dell’azienda a integrarsi in network lungo l’intera filiera (44,1%) e infine alla difficile individuazione di partner esterni competenti sull’Industry 4.0 (40,5%).

Kpmg Lambo

I driver di diffusione e adozione dei processi di Industry 4.0

I fattori principali che potrebbero abilitare il percorso di Industry 4.0 in Italia sono le competenze, i cluster tecnologici e le alleanze per la creazione di ecosistemi dell’innovazione. In effetti per lo studio, le risposte degli intervistati sono così orientate, dalla più gettonata alla meno: le risorse umane in grado di sfruttare il potenziale dell’innovazione (80,2%); i centri di trasferimento tecnologico e servizi alle aziende altamente specializzati (competence center, 61,3%); un ecosistema di partner affidabili (39,6%); un sistema educativo in grado di fornire giovani talenti (36,9%); i modelli avanzati di relazioni industriali (29,7%); maggiori incentivi governativi (26,1%); la facilità di accesso al credito (13,5%); altro (7,2%); e la capacità di attrarre investimenti stranieri (3,6%).

«Il tema delle competenze è centrale – continua Mariano -: oltre la metà delle aziende ritiene di non avere in casa quelle necessarie per intraprendere il percorso. È un problema che riguarda tutti i livelli aziendali: dall’ad al middle management e alla base. È necessario attuare meccanismi di riqualificazione». In effetti dalla ricerca risulta che solo il 23% delle aziende ritiene che le competenze siano adeguate alla sfida, benché sia comunque necessario un piano di sviluppo continuo; il 20% pensano di non possedere competenze adeguate, e che sia necessario individuare un piano di sviluppo di competenze in ambito 4.0; il 57% ritiene che le proprie competenze siano parzialmente adeguate, ma che sia necessario rivedere le modalità di sviluppo delle competenze.

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L’epoca del fai-da-te è finita. È necessario aprirsi alle collaborazioni, alle competenze esterne

«C’è poi un tema di apertura delle aziende verso le collaborazioni – continua Mariano -: non ci si può illudere di fare tutto in casa. Bisogna sperimentare cooperazioni con tutti i soggetti che popolano l’ecosistema». D’altra parte Kpmg collabora con il Fraunhofer Institute e il cluster tecnologico It’s OWL, che hanno sviluppato e realizzato una digital factory presso Lemgo, in Germania, finalizzata a promuovere e integrare tecnologie cyber-fisiche applicabili in ambito operations. Kpmg ha portato una delegazione di aziende italiane in visita da quelle parti per far loro toccare con mano le applicazioni di industry 4.0, e per far capire loro come declinarle sui propri processi, sulla propria organizzazione. Il cluster comprende più di 180 partner rappresentati da aziende fornitrici di tecnologia Industry 4.0.

Dallo Stato ci si attende non solo incentivi, ma anche investimenti e partnership pubblico-private. Quali le politiche industriali più efficaci per promuovere l’Industry 4.0 in Italia? Secondo la ricerca, le aziende chiedono, nell’ordine: investimenti infrastrutturali (66,7%); adeguamento del sistema educativo (65,8%); incentivi fiscali (64,9%); investimenti riguardanti la formazione continua (64%); incentivi per la costituzione e la crescita di reti di imprese (54,1%); individuazione di settori strategici su cui investire (36,9%); incentivi per la crescita dimensionale (31,5%); investimenti diretti (31,5%); e partnership pubblico/private (17,1%). D’altra parte secondo Mariano «gli incentivi sono importanti: hanno dato risultati notevoli quanto a investimenti in macchinari; anche se la finestra temporale è stata troppo breve. Non si può pretendere di far ripartire il paese in un anno. Ci aspettiamo che vengano inseriti in una politica economica di medio e lungo periodo. Quanto alle infrastrutture, si pensi alla banda larga: è stata portata in città per la tv in streaming, mentre ce ne sarebbe bisogno in tante zone industriali, per il cloud manufacturing».

 

Carmelo Mariano(KPMG)
Carmelo Mariano(KPMG)

Le risorse finanziarie e gli investimenti previsti

Secondo la ricerca, le aziende devono essere più coraggiose, osare di più con gli investimenti dedicati. Del resto, dallo studio risulta che solo il 13% delle aziende ha allocato un budget per le soluzioni industry 4.0; il 36% ha un budget tecnologico, ma non specifico per il 4.0; il 26% non ha allocato alcun budget; come d’altra parte il 25%, che però ci sta pensando. Quanto alla percentuale degli investimenti industriali che le aziende pensano di destinare all’Industry 4.0, è inferiore al 5% per il 31% delle aziende; è tra il 5% e il 10% per il 41% delle aziende ed superiore al 10% solo per il 28% degli intervistati. Quanto alle priorità negli investimenti, queste le aree in cui le aziende prevedono di aumentare gli investimenti nei prossimi 3 anni: data analytics (82,9%); internet of things (58,6%); cyber security (42,3%); artificial intelligence (32,4%); advanced robotics (32,4%); augmented reality (22,5%); 3D printing (16,2%); altro (9,9%).

Kpmg lambo

Il digitale è la nuova elettricità

C’è da chiedersi quale sia il potenziale che il 4.0 è in grado di esprimere. A tal fine, secondo Mariano, può essere utile fare in confronto con quanto accaduto due secoli fa, ai tempi della la seconda rivoluzione industriale. «Un’espressione inglese che mi piace è looking backward to look forward – conclude Mariano – e cioè “guardiamo a ciò che è accaduto in passato per prendere spunti al fine di comprendere meglio i principali cambiamenti in atto”. La seconda rivoluzione industriale si è verificata alla fine dell’Ottocento grazie all’invenzione dell’elettricità. Questa ha consentito l’impiego in fabbrica di macchine più efficienti e performanti di quelle a vapore, che sono state sostituite. E ciò ha comportato un aumento della produttività».
L’incremento più rilevante si è ottenuto ai primi del Novecento, quando Henry Ford e Frederick Winslow Taylor hanno utilizzato la leva della tecnologia per cambiare i principi dell’organizzazione del lavoro, progettando la prima linea di produzione di massa. «È proprio questo il potenziale del 4.0: il digitale oggi – così come l’elettricità due secoli fa – offre alle aziende la possibilità di modificare il modo tradizionale di lavorare, con prodotti e servizi differenti rispetto a quelli in uso prima del cambiamento».














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