Componentistica automotive: le tre mosse per non perdere il primato italiano anche in questo settore industriale

di Marco de’ Francesco ♦ Il comparto, cresciuto intorno a Fiat/Fca, vale 46 miliardi euro ed è vitale per la manifattura made in Italy. Vive però un momento di flessione, alla luce dell’andamento negativo del mercato e delle trasformazioni tecnologiche future. Tra crisi del diesel, elettrico, ibrido e guida autonoma, ecco come la pensa Paolo Scudieri, presidente Anfia (e ceo Adler), e che cosa potrebbe fare il Governo

I componentisti dell’automotive, spina dorsale dell’industria italiana che segna al momento una perdita a due cifre, sono chiamati a ridefinire rapidamente le proprie strategie. A loro disposizione tre armi per superare il momento e contrastare l’avanzata dell’elettrico: nuove tecnologie, che si possono reperire nei centri ricerca di Paesi all’avanguardia come gli Stati Uniti e Israele, R&D e personale altamente qualificato. Per sfruttare al meglio gli ultimi due elementi  sarebbero opportune iniziative governative, come crediti di imposta ad hoc. La pensa così Paolo Scudieri, presidente di Anfia, l’associazione nazionale della filiera automobilistica, nonché del gruppo Adler – Hp Pelzer, importante realtà della componentistica.

 







Paolo Scudieri, presidente di Anfia e del gruppo Adler – Hp Pelzer (foto dal sito ufficiale dell’azienda)

 

Per Scudieri l’auto green rappresenta un brusco cambio di paradigma: non è la versione a batterie di un veicolo tradizionale – è un’altra cosa, da completare con strumenti e parti appositamente ridefinite. All’elettrico, si affiancheranno mezzi più simili alle auto oggi in circolazione, come l’ibrido avanzato e il termico evoluto, con carburante naturale ecologico. Ma il tutto sarà integrato in un contesto di mobilità più complicato, regolato da software e intelligenza artificiale. Pertanto i fornitori, che rappresentano il 3% del Pil nostrano, dovranno studiare soluzioni diversificate in base alla tipologia del veicolo e al contempo innovative, per rispondere alla complessità del sistema.

Tre frecce nella faretra dei componentisti per affrontare il cambiamento di paradigma

Anzitutto, secondo Scudieri i componentisti non devono temere la mutazione in corso. «Anfia ha 106 anni: siamo passati dalle ruote di legno a quelle in carbonio. I fornitori, poi, hanno cambiato pelle più volte. Nel 2008 lavoravano per sole aziende italiane; ora esportano per il 70% della produzione, e non solo in Ue, ma anche in Usa, in Regno Unito e altrove. Hanno saputo adattarsi. Anche il gruppo Adler – Hp Pelzer, che guido, lo ha fatto. È stato fondato nel 1956 da mio padre Achille, che già al tempo aveva intuito la potenzialità dei polimeri per la nostra attività – il comfort acustico e termico di veicoli e di rivestimenti e pannelli per le portiere e tappeti interni (in ciò Adler è il secondo player mondiale). Ora utilizziamo poliuretani, poliolefine, polipropilene e polivinile».

 

 

Oggi il gruppo di Ottaviano (città metropolitana di Napoli) conta oggi 62 stabilimenti in 21 Paesi, 7 siti di ricerca e sviluppo per un fatturato annuo di 1,5 miliardi di euro. «Come Anfia, ci riuniamo spesso per disegnare una strategia e per tracciare le linee di sviluppo delle aziende dei componentisti. Secondo noi le chiavi sono tre: la tecnologia, l’innovazione e il capitale umano. Saremo costretti a diventare ancora più globali, anzi, glocali: partiremo dalla capacità di essere artigiani, dai nostri skill di mestiere. Il resto è innovazione». Un esempio? «Se un fornitore attualmente si occupa di cambi, con l’avvento dell’elettrico potrà produrre sistemi che differenziano la velocità di quei veicoli; ma lo farà in modo diverso, tenendo conto di tutte le variabili ambientali: le curve, gli ostacoli, i dossi, le altre auto. L’elettronica e la tecnologia aiuteranno il mezzo ad interpretare una viabilità complessa».

Dove reperire la tecnologia

Resta il fatto che il “salto” da un cambio meccanico ad un sistema in grado di valutare migliaia di variabili è enorme. Secondo Scuderi, l’idea giusta è quella di «dialogare con i supermarket della tecnologia e dell’innovazione, e cioè con quei Paesi dove si corre di più, dove le università sono più avanzate e la sperimentazione è all’ordine del giorno. Intendiamo integrarci in quei sistemi per procedere ad una accelerazione più repentina». Non solo gli Stati Uniti, con i grandi centri accademici del Massachusetts o della California. «Per esempio, Adler sta prendendo accordi con centri di ricerca israeliani».

Favorire l’innovazione con un credito di imposta e la formazione

Se la tecnologia si può reperire altrove, la ricerca e lo sviluppo vanno fatte in casa. Secondo Scuderi, sarebbe importante che il governo concedesse un credito di imposta ad hoc, per favorire la R&D. Inoltre, «occorrerebbe riportare il piano Calenda alla sua portata originaria, prima della recente rimodulazione al ribasso, sviluppando maggiormente la parte relativa alla formazione dei giovani e del personale». Infine, per Scuderi le attuali contingenze riservano anche una chance per il Paese. «I produttori e i componentisti del Regno Unito vedono nella Brexit un grande rischio per le loro attività, che nell’automotive sono legate a doppio filo con l’Unione europea. Spagna, Polonia e Romania hanno esaurito la manodopera e saturato la loro capacità produttiva. Noi abbiamo personale specializzato e una grande storia ed esperienza di settore. Con delle norme per favorire l’insediamento di aziende britanniche, e adeguate politiche industriali, il Paese potrebbe trarne un grande giovamento».

 

Scudieri: “Con l’auto green, il paradigma cambia, la batteria è più importante del motore”
L’elettrico non è la panacea

I carmaker puntano sull’elettrico per saltare a piè pari tutte le restrizioni che a livello internazionale affliggono i motori termici (ne parleremo più avanti). «Interessi sovranazionali – afferma Scudieri – hanno determinato l’attuale situazione. Chi ha immaginato di bandire l’auto tradizionale a beneficio di quella elettrica e di quella a guida autonoma, certo non lo ha fatto per questioni ambientali. Si pensi che le auto sono responsabili, tutte insieme, dell’8% delle emissioni di anidride carbonica. Il restante 92% non interessa? Se poi consideriamo il ciclo di vita del prodotto, l’elettrico non è la panacea: che ne facciamo, ad esempio, delle batterie al litio?»

«In realtà, si vuole dar vita ad un sistema industriale parallelo. Con l’auto green, il paradigma cambia, la batteria – che oggi può essere solo asiatica o americana – è più importante del motore; ma muta anche con la guida autonoma, dove l’elettronica, l’informatica, i servizi sono quasi tutto. La cosa sorprendente è che l’Europa, così impreparata in queste tecnologie, si è dimostrata permeabile alla volontà di centri di potere asiatici o americani di accelerare in una direzione a noi quasi del tutto sconosciuta».

 

In futuro diverse esigenze per la mobilità

In futuro, la diversificazione della domanda

Secondo Scudieri, «il Verbo dell’elettrico non sta per avverarsi: il mantra green che spazza via ogni possibile alternativa non sta per tradursi in realtà». Anche l’elettrico, che pure assumerà un rilevo maggiore rispetto all’attuale misera fetta di mercato, tra il 2% e il 3%, non la farà da padrone. «Questo perché le esigenze della mobilità urbana saranno diverse da quelle della viabilità autostradale. In un contesto sempre più complesso, saranno necessarie risposte differenti. A mio avviso, si svilupperanno tre direttrici: l’elettrico; il tradizionale evoluto, con carburante naturale ecologico; e l’ibrido, che sarà sempre più presente. Dunque, se la domanda è: “Cosa faranno i componentisti del futuro?”, una prima risposta è: “Faranno più cose”».

Il momento attuale: componentisti in difficoltà

Con circa 93 miliardi di ricavi, l’auto vale il 6% del Pil nazionale, dà lavoro a 5 mila aziende e 200 mila persone. Attorno a questo settore ruota un altro comparto, quello della componentistica che, con multinazionali del calibro di Magneti Marelli, Sogefi, Brembo, Trw e Skf in testa, vale 46,5 miliardi. Da qualche mese il mondo delle quattro ruote ha subito una pesante decelerazione, tanto da finire in campo negativo. Per esempio, la produzione industriale di dicembre 2018 ha fatto registrare, per l’automotive, un calo tendenziale del 12,3%; per gli autoveicoli del 16,6% e per i componentisti del 9,2%. «La frenata dell’automotive dovrebbe allarmare il governo – afferma Scudieri – visto che da questo lo Stato ricava un gettito di 70 miliardi. Ciò che si dovrebbe capire è che non è solo in discussione la tenuta di un settore, ma quella del sistema, dei conti del Paese».

 

Modelleria Brambilla, assemblaggio
Modelleria Brambilla, assemblaggio. La società è stata acquisita l’anno scorso da Costamp

Le ragioni della frenata

Una débâcle che si spiega prendendo in considerazione più fenomeni che si incrociano. Anzitutto, le amministrazioni centrali e territoriali di mezzo mondo hanno posto limiti alla circolazione dei veicoli diesel, sotto accusa a causa delle emissioni di ossidi di azoto. In realtà tutto nasce da uno scandalo del 2015, quando l’Epa (l’agenzia statunitense per la protezione ambientale) ha comunicato che la casa automobilistica tedesca Volkswagen aveva illegalmente installato un software di manipolazione progettato per aggirare le normative ambientali sulle emissioni. Centrali, in tutta la vicenda, non erano quest’ultime, che pure erano superiori alla norma, ma gli artifici e i raggiri che le autorità americane avevano denunciato.

Ciò nonostante, a livello globale si assiste all’ostracismo nei confronti del diesel. Vista la malaparata, le case automobilistiche europee hanno virato sulle auto a benzina. Ma anche queste hanno incontrato forti difficoltà, sia perché l’Unione Europea ha fissato in 95 grammi al kilometro le emissioni massime di Co2 per il 2021, un traguardo definito «irrealistico» da molti carmaker, che per l’entrata in vigore di un nuovo test di omologazione delle auto, il Wltp (Worldwide harmonized Light vehicles Test Procedure), procedura assai rigorosa (soprattutto in fatto di emissioni), tanto che molte case automobilistiche hanno fermato le linee. Inutile produrre macchine che non passano i test. In Italia, poi, la situazione è aggravata del ticket ecobonus-ecotassa.

 

Controllo emissione DIesel (courtesy Bosch)

«Zero bonus e tanto malus. Dal momento della sua enunciazione (per saperne di più, si consulti questo articolo   di Industria Italiana) si sono notati i primi effetti negativi, causati dalla grande incertezza che le norme hanno generato. Si è assistito ad un calo di vendite ulteriore a quello determinato dall’azione del regolatore europeo e internazionale, perché la libertà di acquisto del cliente è stata intaccata, congelata e spostata più avanti nel tempo». Con lo stop della produzione, si è fermato il lavoro dei componentisti. «Mesi durissimi, da ottobre a dicembre – continua Scudieri – ma ora qualcosa sembra essersi rimesso in moto. Ci sono più auto in concessionario, e nuovi modelli. Nonostante ciò, il 2019 sarà duro, e tutti i parametri porteranno il segno meno».














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