Watson aumenterà l’intelligenza delle piccole imprese, e le farà guadagnare di più. Parola di IBM

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IBM Cognitive Visual Inspection

Di Marco de’ Francesco ♦ Da Big Blue un messaggio forte e chiaro: la digitalizzazione può essere la chiave del rilancio competitivo per le PMI del manifatturiero italiano. Si punta sull’innovativo concetto di Intelligenza Aumentata. E l’alleanza con Cisco…..

Il momento è adesso. Perché le aziende capaci di cogliere l’attimo conseguiranno un vantaggio competitivo in breve tempo, ma con effetti a lungo termine. In gioco, successo e sopravvivenza sul mercato. E poi, perché è l’ora cruciale per la manifattura italiana. «Ci siamo dentro: si tratta di mettere insieme la leva digitale, e quindi l’immenso capitale rappresentato dall’Iot, con il Made in Italy, che conta per il 16% del Pil ma che ha ampie prospettive di crescita. Inoltre, ci sono strumenti di natura fiscale e finanziaria per rilanciare la propria impresa».

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Stefano Rebattoni, Global Technology Services e Responsabile della Strategia Industria 4.0 per IBM Italia.

La digitalizzazione spina dorsale delle trasformazioni

Questo è il pensiero di Stefano Rebattoni, Global Technology Services e Responsabile della Strategia Industria 4.0 per IBM Italia. Affermazioni rese nel contesto di IBM Watson Summit Italia 2017, che si è svolto a fine maggio all’Arco della Pace di Milano. Si parte da un principio: «La digitalizzazione è la colonna portante, la spina dorsale di tutte le operazioni di trasformazioni dell’azienda e del sistema». E si considera l’obiettivo all’orizzonte: «Perché non osare, puntando dritti alla quinta rivoluzione industriale, all’Industry 5.0? Con l’unione delle capacità cognitive all’Iot, le dimensioni dell’operation technology e dell’information technology saranno una cosa sola. Dobbiamo immaginare un’azienda fluida, interamente virtuale, dove non esiste più distinzione tra ciò che è fisico e ciò che è digitale».







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Gioco di squadra per fare sistema: IBM e Cisco

Ma perché ciò accada occorre dar vita ad un polo che assuma il ruolo di orchestratore nell’ecosistema di riferimento, facendo propria l’idea che più ci sono attori in gioco, più valore si trae. E la tempistica è fondamentale: «Si tratta di giocare di squadra, e di fare velocemente sistema» – ha continuato Rebattoni. Di qui, sempre a Milano, la declinazione italiana dell’annuncio del 6 luglio scorso, quello combinato di Armonk e San Jose, che illustra la partnership con Cisco: «Le piattaforme collaborative ad elevata sicurezza Cisco Spark e WebEx – questa la dichiarazione ufficiale – verranno integrate nelle soluzioni di collaborazione cloud leader di mercato di IBM, fra cui Verse e Connections, supportate dalle capacità di cognitive computing di IBM».

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Michele Dalmazzoni, Industry IoT leader Cisco Italy.

L’approccio congiunto di IBM e Cisco è stato descritto da Rebattoni insieme a Michele Dalmazzoni, Industry IoT leader at Cisco Italy. Si è anzitutto definita la quarta rivoluzione industriale, intesa come la connessione tra sistemi fisici e digitali, legata ad analisi complesse ottenute grazie ai big data e agli adattamenti real time. Una rivoluzione che comporta l’utilizzo di macchine intelligenti, interconnesse e collegate ad internet. «D’altra parte – hanno rilevato entrambi – il mercato offre nuove priorità per il settore manifatturiero: tra queste, la possibilità di migliorare la produttività e la qualità del prodotto, ridurre i tempi di inattività, gestire meglio la catena di fornitura globale, derivare profitti dall’innovazione, ottenere visibilità real time per i propri asset e mettere in circolazione più velocemente nuovi prodotti».

Raccolta dati, analisi, cognitive computing

Di qui il percorso comune. «Si tratta anzitutto di raccogliere dati – hanno continuato – sia quelli già disponibili, che quelli ottenibili abilitando macchinari e asset della supply chain. Poi occorrono strumenti per l’analisi. Si tratta di elaborare modelli operativi e predittivi, di estrarre informazioni dai dati, e di visualizzare i dati con dashboard significative. Il terzo passaggio è relativo all’uso del cognitive computing. E qui occorre ridefinire i modelli tramite la funzionalità del machine learning; introdurre funzionalità cognitive per migliorare produzione, logistica, qualità e altro; e infine utilizzare dati non strutturati (audio, video e foto) per realizzare diagnosi di problemi complessi».

Quanto all’architettura logica, comporta da una parte piattaforme hardware abilitanti e servizi applicativi, reti di comunicazioni, concentratori, dispositivi, sensori e altro; dall’altra applicazioni, piattaforme cloud, edge network e altro. Naturalmente, dal punto di vista tecnico, il discorso si fa un po’ complicato. Va detto che c’entrano sia il Cisco Edge Computing (architettura orizzontale che distribuisce risorse e servizi di calcolo sull’infrastruttura che connette il cloud all’Internet delle Cose. Viene attivata vicino alla fonte dei dati; ndr) e l’IBM Watson IoT platform (definita dalla società come un servizio completamente gestito in hosting sul cloud, e progettato per derivare valore dai dispositivi Internet of Things. Fornisce funzionalità quali la registrazione di dispositivi, la connettività, il controllo, la visualizzazione rapida e lo storage di dati IoT; ndr).

Watson IOT Center, Monaco.Architekturbüro: Murphy/Jahn, Chicago. Courtesy IBM

Il sistema comporta diverse applicazioni integrate per Industria 4.0. Ad esempio, quelle relative alla sicurezza sul posto di lavoro, alla realtà aumentata, all’interfaccia avanzata tra uomo e macchina, alla logistica smart, alla riduzione dei tempi morti e altre. Grande rilievo è riservato alla gestione degli asset e alla manutenzione predittiva basata, quest’ultima, su modelli che contemplano l’evoluzione della condizione degli asset. E sono previste applicazioni collaborative avanzate, per mettere insieme conoscenza e decisioni, social e cognitive (IBM) con Cisco Spark (stanza virtuale in cui risiedono file e documenti e in cui i team si riuniscono, avviano chiamate video e sessioni di chat) e Webex (per riunioni online). Un’importanza decisiva, infine, viene attribuita da entrambe le società alla cyber-security.

Cisco

Cisco si definisce come la società «leader mondiale nelle tecnologie che trasformano il modo con cui le persone si connettono, comunicano e collaborano, attraverso reti intelligenti e architetture che integrano prodotti, servizi e piattaforme software». La multinazionale, fondata nel 1994, ha sede a San Josè (California) ed impiega in tutto il mondo circa 70mila dipendenti, con un fatturato di 48,6 miliardi di dollari.

IBM

L’International Business Machines Corporation, più nota come IBM e soprannominata “Big Blue”, sede ad Armonk, New York. Attiva dal 1888 ma formalmente costituita nel 1921, è attualmente guidata, a livello globale, dal presidente e Ceo Virginia (Ginni) Rometty; presidente e ad di IBM Italia è invece Enrico Cereda. La multinazionale ha fatto segnare, nel 2015, un fatturato di 81,8 miliardi di dollari e un utile al lordo delle imposte di 17,7 miliardi. Ha circa 430mila dipendenti. La politica della Rometty è stata senz’altro quella di spostare gli investimenti verso “imperativi strategici” (big data, cloud computing, data analytics) e cioè verso comparti ad alto potenziale di crescita.

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Ginni Rometty, CEO IBM ( courtesy IBM)

Il dato, nuova risorsa naturale

«Grazie alla combinazione dei nostri punti di forza tecnologici e alla comprensione delle modalità operative dei team – aveva affermato a luglio Inhi Cho, General Manager, IBM Collaboration Solutions – IBM e Cisco potranno fornire la nuova generazione di strumenti di collaboration necessari per stimolare l’innovazione e orientare la produttività. Attraverso l’inclusione delle analisi e delle tecnologie cognitive, puntiamo a rendere queste soluzioni capaci di apprendere tutti gli elementi importanti in un dato contesto, ed eseguire le azioni più idonee per conto dell’utente».

«C’è anzitutto un punto di congiunzione tra IBM e Cisco – ha affermato Rebattoni -: il dato, inteso come la nuova risorsa naturale. Spetta a Cisco prelevarlo, a noi analizzarlo e metterlo a disposizione. L’idea è quella di inserire agenti Watson nei device Cisco». Secondo Dalmazzoni «c’è un solo rischio, quando si intende divulgare l’importanza del 4.0: essere percepiti come quelli che hanno rapporti solo con le grandi aziende. Non è vero. Siamo partiti due anni fa, e abbiamo riscontrato l’interesse anche di aziende medio-piccole, di proprietà famigliare». Per Rebattoni «si tratta di insistere sul tessuto manifatturiero italiano, che ha grandi potenzialità e potrebbe trarre grandi benefici dal 4.0».

La ricerca “Industria 4.0 in Italia: Vision Et Execution

Sempre nel corso del Watson Summit, Andrea Rangone, Ceo di Digital 360, ha presentato la ricerca “Industria 4.0 in Italia: Vision Et Execution”. L’obiettivo era quello di interpretare il fenomeno del 4.0 sia sotto il profilo dell’innovazione industriale (operational technology) che sotto quello dell’innovazione gestionale (information technology). E ciò sia dal punto di vista della vision che dell’execution. La ricerca comprende anche la progettualità attuale di Industria 4.0, analizzando priorità, budget, modelli organizzativi ed altro. Si è preso in considerazione un campione di 135 aziende: il 41% delle quali tra 101 e 250 dipendenti; il 29% tra 251 e 500 dipendenti; il 13% tra 501 e 1.000 dipendenti; e il 17% oltre mille dipendenti.

Un punto di partenza e una vision arretrate

Lo studio, quindi, è focalizzato su aziende medie e grandi; mancano le piccole imprese, che pure compongono una parte rilevante del tessuto industriale italiano. Il periodo di riferimento per la rilevazione e l’analisi corrisponde ad aprile 2017. In termini di execution, e relativamente a tecnologie tradizionali “3.0” di supporto operativo, risulta per esempio che il 73% ha adottato da tempo strumenti di supporto alla progettazione (CAD 2D/3D e software specialistico); ma solo il 16% si è fornito da tempo di un sistema computerizzato della gestione della manutenzione; il 10% da poco; il 20% sta valutando una possibile applicazione; il 46% non l’ha adottato e l’8% ritiene che non sia applicabile alla propria azienda.

Quanto alle tecnologie avanzate “4.0” di supporto operativo, prevale l’area di chi è rimasto indietro: il 44% non ha adottato sistemi di automazione avanzata; il 57% non si è fornito di interfacce avanzate uomo-macchina; il 59% non ha fatto nulla in termini di manifattura additiva e il 64% in termini di cloud manufacturing. Quest’ultima soluzione è stata adottata da tempo soltanto dal 4% delle imprese. Per quello che riguarda le soluzioni IT “generaliste” il quadro è più vario. L’82% ha adottato da tempo un ERP (sistema di pianificazione delle risorse d’impresa) esteso ai principali processi aziendali; ma meno dell’1% si è fornito di cognitive computing e di intelligenza artificiale.

In termini di visione strategica, però, solo il 10% ritiene che sia poco veritiera l’affermazione secondo la quale “per affrontare il futuro di medio e lungo termine occorre un importante cambiamento culturale nella propria organizzazione aziendale, simile a quello che ha caratterizzato le internet company”; e solo il 4% ritiene che sia poco veritiera (l’1% pensa che sia per nulla veritiera) l’espressione “l’integrazione dei dati a livello di tutte le aree aziendali, incluse quelle più operative, è la chiave per il futuro, così come l’accessibilità a tali dati da ogni applicazione”.

Quasi la metà delle aziende ha già avviato progetti in area “Industria 4.0”

La ricerca è naturalmente molto più estesa; ne riportiamo alcuni passaggi significativi. In generale, in termini di visione, prevale la consapevolezza che Analytics e Industrial IoT costituiscano il motore dell’Industria 4.0; ed è un po’ minore, ma comunque maggioritaria, la stessa convinzione su cloud e additive manufacturing. Incrociando visione e maturità tecnologica, risulta che il 20% delle aziende sia costituito da “attaccanti 4.0”; il 15% da “imprese in cammino”; il 29% da “teorici”; il 15% da praticoni (3.0 e 4.0) e solo il 21% da “belle addormentate”. E poi, il 46% delle aziende ha già avviato progetti in area “Industria 4.0 ”.

Carlo Calenda

La funzione del Piano Calenda

Tra le belle addormentate, la ragione prevalente della propria inerzia viene così esposta: non è ancora il momento, non siamo pronti. Quanto infine al piano Calenda, l’approccio è pragmatico: in realtà ulteriori stanziamenti, da parte di chi ha già investito, sono legati ai risultati che si otterranno con i progetti di Industria 4.0 già in corso. Secondo Rebattoni «il Piano Calenda ha acceso la scintilla, ha creato il momento incentivando il processo di trasformazione digitale, che è una necessità per le imprese, perché su questo si decideranno il vantaggio competitivo e la sopravvivenza sul mercato. Va detto che molti imprenditori che hanno compreso l’importanza del 4.0 procederebbero sulla strada della digitalizzazione anche se gli incentivi non ci fossero. Ora si tratta di passare dalle parole ai fatti; e noi, che siamo dalla parte dell’offerta, dobbiamo accelerare».

Le tre dimensioni dell’ Ecosistema IBM

Per il responsabile della Strategia Industria 4.0 per IBM Italia «la digitalizzazione è il filo conduttore dell’Industria 4.0 – ha affermato -. Perché riguarda i concetti chiave coinvolti: cyber security, big data, cloud computing, realtà aumentata, robotica, prototipazione rapida, radio frequency identification, super connessione degli impianti e additive manufacturing. L’ecosistema IBM è articolato in tre dimensioni. Anzitutto, le collaborazioni di sistema, e quindi le attività territoriali e di business networking; poi le partnership tecnologiche (Eurotech, Terramatica e altre); e infine le alleanze strategiche, con Cisco, Sap, Zebra. In vista della trasformazione digitale, sono già state svolte diverse attività informative. Ora sta per partire il roadshow IBM-Cisco, realizzato in collaborazione con Affari&Finanza, Digital Magics e Ucima, e con il patrocinio di Confindustria. Si chiamerà “Industria 4.0: Il momento è adesso”. Quanto alle date: il 7 giugno a Padova, il 4 luglio a Modena e il 10 ottobre a Torino».

Il primo passo verso la digitalizzazione, il più difficile

Ma perché la digitalizzazione è così importante per il manifatturiero? «L’imprenditore – ha affermato Rebattoni – anche quello a capo di una piccola azienda, deve prendere in considerazione l’evoluzione del suo settore di business, e immaginarsi come sarà tra due o tre anni. Si troverà a competere con realtà che neppure conosce, native digitali, che godranno del vantaggio di minori costi operativi. Per lui, questi competitor rappresentano una seria minaccia in termini di mera sopravvivenza. Bisogna pertanto respingere la cultura del “per ora non faccio niente, vediamo come andranno le cose”. Se si è piccoli, meglio iniziare con un percorso graduale, a piccoli passi. Ma intanto si inizia. Va detto che la trasformazione digitale ha un orizzonte temporale medio di due o tre anni. Il primo passo è sempre il più difficile da fare».

I tre driver del 4.0 per IBM

Dunque, per Rebattoni sono tre i driver del 4.0: «Anzitutto – afferma – la competitività, in vista di una riduzione dei costi. Poi, la qualità del prodotto, legata al suo ciclo di vita e alla interazione con la fabbrica. Infine, la flessibilità, dal momento che si intraprende la strada della customizzazione del prodotto. Questo è il vero valore aggiunto».
Due parole, infine, sull’IBM Watson Summit Italia 2017. L’evento è focalizzato sul cognitive business, perché «per affrontare le sfide di oggi – si legge nell’abstract del convegno – le aziende devono infondere nuova intelligenza nei loro processi, nei loro sistemi, nel loro modo di lavorare». Relativamente “Industry 4.0 e Internet of Things: le nuove vie della competitività” si legge che «la profonda convergenza e connessione tra mondo fisico e mondo digitale è una forza dirompente, che sta rivoluzionando il modo in cui vengono pensati i prodotti e i modelli di business. È la nuova economia digitale, e nessun settore è escluso da questo cambiamento».














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