Gli industriali dovrebbero andare da Draghi e chiedere subito misure per mitigare il costo dell’energia, prima che sia troppo tardi. Parla Alberto Clò

di Filippo Astone e Marco de' Francesco ♦︎ Intervista a 360 gradi con il grande economista ed esperto di questioni energetiche, che evidenzia una crisi grave e drammatica, soprattutto per le aziende industriali. Una crisi energetica finora sottovalutata. «Paghiamo il conto di errori strategici compiuti dalla Ue, ma anche dai governi e pure da Confindustria: la retorica della transizione energetica ha un peso, ahimè, non solo per quello che fa, ma soprattutto per ciò che impedisce di fare». Affermazioni forti: «l’Europa è causa della propria disgrazia, avendo messo in cantiere un piano insostenibile, il Green Deal, che non tiene conto delle esigenze dell’industria e anzi le calpesta»

«Questa volta per gli industriali la questione energetica sarà peggio del ‘73». Peggio del 1973? Lo dice Alberto Clò, economista tra i massimi esperti delle dinamiche energetiche, accademico di fama, e già ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato ai tempi del governo tecnico di Lamberto Dini (1995-96). Negli Anni Ottanta è stato membro del cda di società quotate come Eni, Finmeccanica, Snam e Italcementi, e ha diretto la rivista energia, fondata insieme a Romano Prodi. Logica conseguenza del suo ragionamento, nonché del vero e proprio dramma che si sta verificando nel mondo produttivo: gli industriali farebbero bene a bussare alla porta di Draghi e chiedere subito misure per mitigare il costo dell’energia, prima che sia troppo tardi. Non lo dice esplicitamente Clò, che ama rimanere sul terreno tecnico che gli è più congeniale, lo diciamo noi tirando le somme e ce ne assumiamo la responsabilità.

Ma perché l’industria dovrebbe recarsi a palazzo Chigi? Il prezzo del Brent viaggia a quota 85 dollari al barile, e il gas naturale è passato in un anno da meno di 2 a 40 dollari al milione di unità termiche britanniche (Btu). Anche il carbone ha rialzato la testa, da 50 a circa 220 dollari a tonnellata. Tutta l’industria è in difficoltà, ma soprattuttoi quella energivora, come la siderurgia, la chimica e i cementifici. Non possono reggere la concorrenza delle aziende americane e cinesi degli stessi comparti, che pagano l’energia un quinto o un sesto delle imprese italiane. E poi, perché ne hanno diritto. È insensato trovare risorse, come ha fatto il governo italiano, per calmierare le bollette delle famiglie (e di piccole imprese in regime tutelato), e non farlo per l’industria, che da una parte è chiamata ad agganciare la ripresa per risollevare le sorti del Paese e dall’altra rischia seriamente di fermarsi di nuovo o, in certi casi, di chiudere definitivamente i battenti.







Anche se, per Clò, le colpe dell’esecutivo sono relative; quelle assolute sono dell’Unione Europea. Con il Green Deal, traduzione regolamentare di un ambientalismo fanatizzante, l’Ue ha fallito da ogni punto di vista. Non poteva accadere altrimenti: la transizione verde, con la messa al bando dei combustibili fossili, calpesta le ragioni dell’industria, trascurandone volutamente i meccanismi, i tempi, i processi in nome di valori che sono relativi e che invece diventano dogmi, supremi e incondizionati. Quanto tutto ciò fosse intrinsecamente insensato, è dimostrato dal rapido dietrofront di Francia e Germania, che hanno, rispettivamente, rivalutato l’opzione nucleare e dimezzato gli incentivi per le rinnovabili.

Alberto Clò

Per Clò, una figuraccia l’ha fatta anche Confindustria, che ha passato l’ultimo anno a discutere il colore giusto dell’idrogeno, verde, blu e grigio; mentre il prezzo del metano è raddoppiato. A parte le richieste al governo e le rimostranze verso Viale dell’Astronomia, gli industriali non possono fare nient’altro. Possono solo sperare che la buriana passi presto, ma sarà durissima. Su questi argomenti abbiamo intervistato Clò.

 

D: Il prezzo dei combustibili fossili sta aumentando di mese in mese. Esattamente, cosa sta accadendo?

R: Paghiamo il conto di errori strategici compiuti dall’Unione Europea, ma anche dai governi e pure dai rappresentanti dell’industria: la retorica della transizione energetica ha un peso, ahimè, non solo per quello che fa, ma soprattutto per ciò che impedisce di fare. La trappola in cui siamo finiti non è solo di una narrazione errata di quel che andava accadendo, ma anche causa dei mancati investimenti delle società energetiche nella ricerca di petrolio e gas. Nel 2014 si investivano 800 miliardi nella mineraria, quest’anno di stima sui 250 miliardi. Meno “buchi” meno scoperte, meno offerta di barili o metri cubi. Ora ci aspettano anni duri, molto duri.

 

D: Si verificherà una crisi energetica, come quella del 1973?

Maire Tecnimont, progetti per il complesso RAPID: due unità di polietilene, una unità di polipropilene

R: Assai più grave di quella del 1973. Quella, alla fine, è stata una storia più mediatica che reale. Il petrolio non mancò mai al di là delle domeniche a piedi o delle file ai distributori. Questa è una crisi vera, e a livello continentale: c’è una reale scarsità di metano ma anche di carbone e vi è da sperare che l’inverno sia mite, la ventosità alta e che Putin ci tenga in considerazione. Tutto questo avrà un impatto fatale sulle imprese e sulla ripresa.  Peraltro, tutti i governi cantori del verbo green hanno fatto un rapido dietro-front. Si pensi al Regno Unito, il Paese più colpito, che non ci ha pensato due volte a riattivare le centrali a carbone. O alla Germania, che da un giorno all’altro ha dimezzato gli incentivi per le rinnovabili. O alla Francia, che con il presidente Emmanuel Macron ha fatto sapere che di chiudere le centrali nucleari non se ne parla; anzi, intende rilanciarle con una nuova generazione di impianti, più sicuri ed efficienti. Quanto a quello italiano, la mossa di Draghi fa intendere che la transizione energetica, che ha un costo, è un fatto sociale, non solo industriale. Draghi ha messo 4,5 miliardi per lenire il peso delle bollette dei privati, e altri ne dovrà mettere a fine anno per fronteggiare i forti aumenti a inizio del prossimo anno.

 

D: Chi pagherà la crisi?

Lo stabilimento Feralpi

R: Tutti, ma soprattutto le famiglie e le imprese del Continente. Alcune categorie industriali sono nei guai e stanno chiudendo o riducendo la produzione: nella siderurgia o ai cementifici, o certi comparti della chimica (come i fertilizzanti) – le aziende energivore per eccellenza. Il problema è che queste imprese faticano a reggere la concorrenza con quelle americane, ad esempio, che pagano l’energia il metano 5-6 dollari al milione di unità termiche britaniche contro i nostri 30-40. Soffriranno poi le aziende che comprano e vendono energia: delle 55 nel Regno Unito 13 sono fallite. Temo che delle oltre 700 che operano in molte finiranno nei guai. Molte di loro, infatti, hanno venduto contratti a lungo termine e a costo fisso per gli utenti finali e si trovano a comprarla a prezzi di molto maggiori. E la situazione non può che peggiorare: due anni fa, nel 2020 la spesa energetica globale era pari a 3mila miliardi, mentre nel 2022 salirà a 9mila miliardi: una tassa che graverà sull’economia, in un contesto in cui l’Europa è il vaso di coccio tra la Cina e l’America.

 

D: Perché l’Europa sconta una particolare situazione di debolezza nel contesto globale?

Cementi Rossi sede di Piacenza

R: Anzitutto l’Europa è causa della propria disgrazia, avendo messo in cantiere un piano insostenibile, il Green Deal, che non tiene conto delle esigenze dell’industria e anzi le calpesta; e poi porta benefici marginali: l’Europa conta solo per l’8% sulle emissioni globali, e se tutte le misure del Green Deal andassero a buon fine, il calo delle emissioni globali di CO2, in tutto il mondo, sarebbe di intorno all’1%. Nel frattempo, il verbo green ha messo in ginocchio l’automotive e in seria difficoltà altri settori imprenditoriali. In secondo luogo perché la crisi nasce dalla fame di energia dell’Asia, della Cina in particolare, che si è mossa per prima sul mercato per intercettare la ripresa. In terzo luogo perché la posizione degli Stati Uniti, che pure qualche problema lo avranno, sembra più solida di quella del Vecchio Continente. Che adesso ha paura.

 

D: Di cosa ha paura l’Europa?

Concept car alimentata a idrogeno. «Mentre il prezzo del gas si moltiplicava sino a 20 volte commenta Clò – Confindustria discettava sul colore dell’idrogeno da adottare: verde, blu e grigio

R: Anzitutto teme che la crisi energetica riduca l’attenzione verso le politiche del Green Deal, cosa che sta già accadendo. Ma il peggio, secondo me, deve ancora venire. È la questione sociale che ostacolerà la transizione. Bisogna riflettere sul fatto che la protesta dei Gilet Gialli è nata per un aumento di appena tre centesimi di euro sul prezzo del diesel. Quando gli europei riceveranno la prossima bolletta elettrica e del gas sarà un trauma per molti, soprattutto per quelle famiglie a basso reddito che già arrivano a stento alla fine del mese. Quando sei costretto a mettere le mani nelle tasche della gente – e qui non si può fare altrimenti – non puoi evitare una reazione generale. Anche molti ambienti industriali faranno pressione per un generale dietro-front; ma dal punto di vista politico conterà di più scongiurare la rivolta popolare. È una strana partita, quella che si giocherà, in cui tutti sono vinti e sconfitti. Ma proprio tutti. Anche politicamente, l’Europa ne esce distrutta: può un’area economica così vasta rimanere appesa alla mitezza e alla ventosità dell’inverno e alla posizione di Putin o dell’Opec? È una situazione insostenibile.

 

D: A proposito dell’Opec, non sembra per niente intenzionato ad incrementare l’offerta.

R: Gli Stati dell’Opec fanno i propri interessi. Lo scorso anno hanno subito il crollo della domanda del 30%-40% con prezzi in certi momenti prossimi a zero, e nessuno ha detto “diamo loro una mano”. Perché dovrebbero aiutarci? Ma qui l’Opec non c’entra: il nemico è in casa. È l’Europa che ha fallito. Se fra tre o quattro anni il costo della benzina arriverà a 4 euro al litro, questo sarà dovuto al fatto che la politica continentale e l’estremismo ecologista ha frenato l’attività mineraria. Siamo arrivati ad un tale punto di follia che ora Strasburgo deve decidere se il gas naturale sia o non sia una risorsa sostenibile, se meriti o meno la patente di “green”. In caso negativo, progetti relativi al metano non saranno più finanziabili. E poi, le scorte si sono dimezzate rispetto ad un anno fa: nessuno se ne è accorto, in Europa?

 

D: Qual è, invece, la responsabilità del governo italiano?

Il premier Mario Draghi

R: Se dovessi incontrare Draghi, gli direi di approfittare della crisi per avviare una riflessione critica a livello europeo sulle difficoltà che stiamo attraversando, sulle sue ragioni, sulla necessità di formulare interventi più pragmatici e razionali. La sensibilità verso i consumatori ha spinto il governo a ridurre l’impatto dell’aumento dei prezzi dal 65% per l’elettricità al 40% e per il gas dal 45% al 30%. Ma non sono misure strutturali. Insomma, anche per i privati la situazione sta divenendo sempre più critica. La verità è che il re è nudo, e che tutte le cose non veritiere che sono state dette sono allo scoperto: la transizione costa e sarà un bagno di sangue. Parigi non è un pasto gratis, come ha detto il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani.

 

D: Cosa dovrebbe fare, invece, Confindustria?

R: Confindustria? Confindustria è “corresponsabile” di questa crisi. Mentre il prezzo del gas si moltiplicava sino a 20 volte discettava sul colore dell’idrogeno da adottare: verde, blu e grigio. Si è vissuti, nell’ultimo anno, in una realtà parallela, per poi tornare di colpo nel mondo reale. Io mi ero permesso di dire diversi mesi fa: a settembre andiamo a sbattere. È accaduto, ma non consola dire «l’avevo detto».

 

D: E cosa dovrebbero fare gli industriali?

Carlo Bonomi, presidente di Confindustria.
Carlo Bonomi, presidente di Confindustria. «Confindustria è “corresponsabile” di questa crisi – chiosa Clò – Si è vissuti, nell’ultimo anno, in una realtà parallela, per poi tornare di colpo nel mondo reale. Io mi ero permesso di dire diversi mesi fa: a settembre andiamo a sbattere. È accaduto, ma non consola dire «l’avevo detto».

R: Se fossi un industriale, anzitutto andrei a bussare alle porte di Viale dell’Astronomia. E direi: visto come stanno andando le cose, ci volete raccontare finalmente la verità? Sul serio l’industria può essere sostenuta dal vento e dai pannelli solari? Bastano? E sono sufficienti, otto anni, per estromettere metano e petrolio – che significa anche fertilizzanti, plastiche, gomme – o è necessario un tempo molto più lungo

D: A parte le rivendicazioni di sostegni economici, quali misure possono prendere per sé le industrie per uscire da questa situazione?

R: Niente: può sempre investire nell’efficienza energetica ma con effetti nel tempo e non immediati. Ora le imprese sono chiamate a sopportare la botta. Non possono fare nient’altro, tranne la scampanellata a Confindustria, di cui abbiamo già parlato. Ma non sono certo che questi risponderanno al citofono.

Origine dell’idrogeno a seconda del colore













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