Cisco, le reti Intent Based sono il pilastro della fabbrica del futuro

di Renzo Zonin ♦︎ Gli Ibn posseggono intelligenza sufficiente a comprendere ed eseguire le richieste fatte da operatori che comunicano con gli apparati a un livello superiore rispetto alla solita linea di comando. Per questo sono in grado di far convergere Ot e It e comportarsi da backbone per i sistemi aziendali coinvolti nella gestione dei dati. Ma quale sarà l’impatto di questi network sulle filiere? Ne abbiamo parlato con Michele Dalmazzoni, Sales Leader Collaboration & Industry 4.0 della multinazionale, a margine di un evento organizzato dal CFI e moderato da Filippo Astone

Per farsi un’idea di come saranno le fabbriche nel prossimo futuro, fra tre o cinque anni, bisogna andare a vedere cosa stanno facendo le aziende che innovano, quelle che creano le tecnologie sulle quali si baserà il funzionamento di stabilimenti, centri di calcolo, reti telematiche. E visto che la caratteristica che accomuna tutto ciò che ruota intorno al mondo di Industry 4.0 è, senza tema di smentita, l’interconnessione, abbiamo ascoltato in merito al futuro della connettività la posizione di Cisco. Un’azienda che vanta numeri impressionanti: nel mondo, ogni due switch Ethernet venduti, uno porta il suo marchio. Così come due router di classe enterprise su tre, e un router per service provider su tre. I suoi quasi 78.000 dipendenti hanno generato nel 2019 un fatturato di 49,3 miliardi di dollari (27 dei quali su prodotti infrastrutturali), con un’Ebitda del 65% – in pratica, gli utili costituiscono i due terzi del fatturato.

Ma soprattutto, l’azienda di San Jose, in piena Silicon Valley, spende circa 6 miliardi di dollari in ricerca & sviluppo ogni anno: più di qualsiasi altro concorrente diretto nel settore dell’enterprise networking. Questi investimenti e la propensione a innovare ne hanno fatto uno dei primi sostenitori delle software defined network e delle Ibn, Intent based network, reti intelligenti e fortemente automatizzate, controllabili stabilendo policy ad alto livello che la rete stessa si occuperà di tradurre in comandi operativi. Altri aspetti importanti della connettività Ot/It del futuro saranno, secondo Cisco, la sicurezza – che aumenterà con la diffusione delle Ibn, ma che richiede ancora tecnici esperti e difficili da trovare – e la collaboration, la cui importanza si è rivelata in pieno durante lo scorso lockdown. Il tutto tenendo sempre presente la peculiare situazione del nostro Paese, con un tessuto industriale costituito in buona parte da Pmi e con un livello di know-how sulle tecnologie digitale non ottimale.







 

Un Paese frammentato

Michele_Dalmazzoni
Michele Dalmazzoni, Collaboration & Industry IoT leader at Cisco Italy

Cisco è fin dalla sua nascita un’azienda che anticipa e guida le transizioni tecnologiche. Tanto che è stata la prima a progettare, produrre e commercializzare un router, fuori dall’ambito universitario. Ma questa vocazione all’innovazione come si declina a livello locale? Come procede l’adozione delle nuove tecnologie nel nostro Paese? Lo abbiamo chiesto a Michele Dalmazzoni, Sales Leader Collaboration & Industry 4.0 di Cisco, intervenuto in collegamento alla tavola rotonda “Come saranno le tecnologie per l’industria fra 5 anni?”, organizzata da Cluster Fabbrica Intelligente e moderata dal direttore di Industria Italiana, Filippo Astone durante l’ultima edizione della fiera Bimu. Questo articolo ha preso le mosse dalla tavola rotonda e poi ha aggiunto alcuni approfondimenti fatti da Industria Italiana, anche con la collaborazione dello stesso Dalmazzoni. Va detto che Cisco ha appena aderito al Cluster Fabbrica Intelligente come Pathfinder (partner tecnologico) per portare le sue competenze in tema di Industrial Network e Collaboration. In particolare, Cisco metterà a disposizione la propria esperienza e competenza, al fine di indagare i trend tecnologici attraverso benchmark, soluzioni in fase di progettazione e best practice nelle aziende e nell’impatto sulle filiere. Lo scopo sarà di supportare la crescita e la resilienza delle aziende, favorendone la competitività nel tempo. Ma anche di comprendere meglio il bisogno futuro di competenze per la selezione, implementazione e uso delle tecnologie applicate nel manifatturiero italiano del prossimo futuro.

«Noi in Cisco Italia traduciamo questa innovazione in qualche cosa di applicabile al contesto del nostro Paese. Siamo, come dico sempre parafrasando un noto cantautore, a metà strada fra la Via Emilia e la Silicon Valley. Il grande tema per noi è l’execution, l’applicazione delle tecnologie al contesto italiano. Il fatto è che è vero che il futuro è già presente, ma non è egualmente distribuito. Abbiamo in Italia alcune eccellenze a livello internazionale e poi una coda lunghissima di aziende che segnano il passo. Questa situazione è dovuta in parte alla frammentazione del nostro comparto industriale e in parte al cronico ritardo sul fronte della digitalizzazione». Sicuramente essere un Paese di Pmi su questo fronte non aiuta. In parte perché la piccola azienda difficilmente può permettersi investimenti cospicui, e in parte perché tende a essere più “conservativa”, in quanto non può assumersi il rischio di salti in avanti che, se fatti in modo avventato, possono risultare costosi. Inoltre, spesso le piccole aziende, soprattutto quelle di tipo padronale, hanno poca simpatia per le novità e vivono nel culto del “qui si è sempre fatto così”.

La buona notizia comunque è che anche in Italia ci sono eccellenze in grado di muoversi all’interno di uno scenario tecnologico in rapida evoluzione. «Tornando alle prospettive future, è evidente che in uno scenario IoT, quello della super digitalizzazione, dove tutto risulta connesso, l’impostazione tradizionale delle reti (intese come piattaforme che gestivano risorse con quantità di dati e  di operazioni limitate) non risulta più essere adeguato. L’esplosione delle applicazioni e degli oggetti collegati, tutto è connesso alla rete, la crescita dei processi associati e interessati a questi elementi, l’abbattimento delle barriere tra It e Ot, tra la rete d’impresa e la rete della fabbrica, tra l’interno e l’esterno – pensiamo anche solo alla necessità di comunicare con i servizi in cloud e con la filiera – fa sì che serva una nuova generazione di reti, che noi chiamiamo Intent Based Network».

Cisco è stata una delle prime aziende a credere nella cosiddetta “convergenza” tra le reti Ot e It.

Una rete che ti capisce

Parliamo, dunque, di reti intelligenti? E cosa sono gli “intent”? «L’intent, potremmo tradurla intenzione, è ciò che voglio fare: è una policy descritta ad altissimo livello. Facciamo un esempio per chiarire il concetto. Se ho diverse tipologie di utenti che possono accedere alla mia fabbrica, alla mia rete, posso avere come intento di definire tre categorie: quella dei dipendenti stabili, dei dipendenti a contratto e dei fornitori. Stabilito questo, la rete, dotata di una sua capacità di analisi (ottenuta tramite machine learning, sensori, intelligenza) è in grado di stabilire l’identità dell’utente e di assegnargli automaticamente un profilo, indipendentemente dal luogo da dove la connessione avviene. Può essere in remoto, in presenza, da una connessione fisica o virtuale; in ogni caso la rete è in grado di tradurre la mia intenzione di mantenere livelli distinti di accesso in una policy concreta e operativa sulla rete stessa. Sarà quindi una rete software defined, definita da un livello programmabile, che si occuperà di monitorare continuamente l’implementazione di queste policy. Tutti gli oggetti connessi sono dei sensori, gli apparati di rete stessi sono dei sensori. È una rete capace di fare assurance e di verificare che gli intenti siano tradotti in policy». Sintetizzando, una rete Intent Based è una rete in grado di colmare la distanza fra business, It e Ot, perché ha al suo interno intelligenza sufficiente a comprendere ed eseguire le richieste fatte da operatori che comunicano con gli apparati a un livello superiore rispetto alla solita linea di comando.

Potremmo dire che chi gestisce una Ibn (Intent Based Network) di fatto impartisce i suoi ordini sotto forma di policy che sono, a tutti gli effetti, direttive di business; mentre sarà la rete stessa a tradurle nei classici comandi da inviare ai vari apparati per realizzare l’obiettivo richiesto. Si tratta di un salto epocale, paragonabile nell’It al passaggio dall’Assembler ai linguaggi di programmazione ad alto livello. In più, si tratta anche di un notevole passo in avanti sulla strada dell’automatizzazione. «Dovete sapere che nelle reti di oggi, il 95% delle operazioni di configurazione e gestione del network avviene ancora manualmente: pensate al livello di incidenza dell’errore umano, e alle possibili falle del sistema di sicurezza. La rete Intent Based invece è una rete intelligente ad alto livello di automazione e con monitoraggio costante. Noi parliamo di “zero trust” in quanto tutti i soggetti, tutti gli utenti, tutti i device e le macchine connesse vengono costantemente sottoposti a un monitoraggio in grado di rilevare eventuali anomalie. Questa è una rete di nuova generazione che consente una gestione del dato come elemento centrale della strategia aziendale. Si sente dire da più parti che il dato è il nuovo petrolio, e che tutto gira intorno al dato, ma se non ho una rete di questo tipo non posso fruire di questo patrimonio della mia azienda e, cosa ancora più importante, non posso definire delle strategie di monetizzazione del dato. Quindi sto privando la mia azienda di un revenue stream importantissimo.

Schema Rete Intent Based. Le Ibn sono reti intelligenti e fortemente automatizzate, controllabili stabilendo policy ad alto livello che la rete stessa si occuperà di tradurre in comandi operativi. – Fonte Cisco

Cybersecurity e industrial collaboration

Fino a che le reti intent based non saranno diffuse in modo capillare, errore umano e buchi di sicurezza saranno all’ordine del giorno. Il tema della sicurezza è quindi al centro dell’attenzione. Qual è la visione di Cisco sul tema dell’industrial cybersecurity? «Il mondo reale è un brown field, non è una realtà che si può disegnare sulla carta ex novo. Esiste un mondo di protocolli e standard proprietari estremamente complesso. La sfida della cybersecurity è di avere dei sistemi, delle piattaforme in grado di interpretare questi linguaggi per effettuare quel monitoraggio e quel lavoro di assurance di cui parlavo poco fa. Questo lo facciamo con la nostra piattaforma CyberVision, che consente di tenere sotto controllo tutto quello che accade nel mio sito produttivo, non solo in ottica perimetrale, ma anche all’interno della stessa fabbrica o della stessa azienda, analizzando tutto ciò che succede in termini di comunicazione. Ogni volta che facciamo un audit scopriamo cose incredibili, in termini di comunicazioni di rete nell’azienda».

Tra l’altro, proprio in Italia Cisco sta dedicando risorse alla cybersecurity in ambito di Industria 4.0, tramite una partnership con Made, il Competence Center del Politecnico di Milano. Ne abbiamo parlato in questo articolo . L’accordo con Made comprende l’organizzazione di attività di formazione e informazione, volte a trasferire know-how di cybersecurity alle aziende, in particolare per la parte Ot. Un know-how di cui c’è grande bisogno, visto che – secondo un’indagine condotta dalla stessa Cisco – su 600 responsabili It intervistati, il 93% dichiara di faticare per trovare le figure professionali necessarie. E questo fatto ha portato l’azienda di San Jose a mettere a disposizione in Italia 500 borse di studio sul tema. Tutte le informazioni per candidarsi (il termine è fissato per il 27 novembre) le potete trovare in questo articolo.

L’Intent Based Networking sfrutta l’AI per comprendere le intenzioni dell’utente, creare policy adeguate e verificarle costantemente

Industrial collaboration, fra videocall e realtà aumentata

Tecnico indossa RealWear HMT-1 Smarthelmet connesso via Webex

E cosa sta facendo Cisco per quanto riguarda invece l’industrial collaboration? «Parlando di Industrial Collaboration, basti pensare un attimo a quello che è successo qualche mese fa con il primo lockdown, e capirete bene come sia oggi fondamentale non solo consentire alle persone di collaborare da remoto, ma anche di dialogare con le macchine tramite linguaggio naturale, usando chatbot, o delle card. Questo lo facciamo con la nostra piattaforma Webex». Nel caso di Webex è giusto parlare di piattaforma perché non si tratta di un semplice programma per fare videochiamate: Webex è un sistema modulare in grado di coprire praticamente tutte le necessità di comunicazione di un’azienda, a tutti i livelli. Comprende fra gli altri moduli come Webex Meeting per organizzare videoconferenze (anche con centinaia di partecipanti), con video in alta definizione, audio e funzionalità di screen sharing; Webex Team, per il lavoro collaborativo da remoto, con funzionalità di messaging, file sharing, whiteboarding; e Webex Calling, che in pratica porta il sistema telefonico aziendale sul cloud, consentendo di effettuare e ricevere chiamate su qualsiasi dispositivo connesso al network. Una tale ricchezza di funzioni ne consente un utilizzo pervasivo.

«Posso citare come esempio un’azienda del settore alimentare che ha stabilimenti negli Stati Uniti. Ora sta riaprendo le sue fabbriche, ma le sue persone, i suoi tecnici specializzati, non possono raggiungere gli impianti Usa per supervisionare il restart. Come faccio a dare supporto ai miei tecnici specializzati per le operazioni di collaudo e per la manutenzione? Ebbene, la piattaforma Webex consente di collegarsi alle macchine usando come terminali non solo semplici Pc o tablet, ma anche degli smartglasses o smarthelmet, grazie ai quali posso guidare l’operatore remoto, acquisire e trasmettergli video, lavorare con la realtà aumentata eccetera (la soluzione si chiama Cisco Expert On Demand, maggiori informazioni qui NdR). Dunque usando queste tecnologie è possibile realizzare una fabbrica altamente collaborativa, nella quale la collaborazione è sia fra le persone, sia fra le macchine e le persone. E questo è solo uno dei sistemi di cui si compone la fabbrica intelligente. La metafora che uso sempre è che, come il corpo umano, la fabbrica è un sistema di sistemi: il sistema di sicurezza, quello collaborativo, quello per la gestione del dato e via discorrendo».

 

Portare l’innovazione al tessuto industriale italiano

Si direbbe che le tecnologie dei prossimi cinque anni siano in effetti già disponibili oggi, almeno a livello di piattaforme sulle quali andare poi a costruire le varie soluzioni e applicazioni richieste dalle fabbriche. Introdurre questi elementi nelle imprese italiane è una sfida. Sfida che un’eccellenza come Cisco vuole vincere, ed è proprio per questo che ha inventato lo slogan della “via italiana al 4.0”, e ha costituito una sorta di “customer club” di aziende manifatturiere? E di cosa si tratta esattamente?

Fatturato Cisco per settore. Nel mondo, ogni due switch Ethernet venduti, uno porta il suo marchio. Così come due router di classe enterprise su tre, e un router per service provider su tre. I suoi quasi 78.000 dipendenti hanno generato nel 2019 un fatturato di 49,3 miliardi di dollari (27 dei quali su prodotti infrastrutturali), con un’Ebitda del 65% – in pratica, gli utili costituiscono i due terzi del fatturato- Fonte Statista 2020

«Come dicevo, il nostro compito è di implementare concretamente queste soluzioni. Nella percezione di tutti il 4.0 è un po’ schiacciato dal modello tedesco, fatto di grande dirigismo centralizzato e grandi filiere organizzate. Questo non è il caso dell’Italia, quindi ci siamo messi a fare innovazione insieme alle aziende italiane. Abbiamo scelto aziende rappresentative del tessuto industriale del nostro Paese, come Marcegaglia, Fluid-o-Tech, Dallara e tante altre, e insieme a queste abbiamo fatto innovazione direttamente sul campo. Così abbiamo imparato che è possibile fare un percorso di digitalizzazione anche nelle Pmi, soprattutto in quelle più piccole dove la sfida è più alta, ma solo a condizione che in azienda ci siano le persone giuste, dotate dei giusti strumenti culturali». Insomma, si torna all’annoso problema della mancanza di know-how, di skill tecnologici, e di personale tecnico adeguatamente formato. A questo punto non solo le aziende, ma il “sistema Paese” deve prendere delle decisioni, e scegliere se vuole investire in conoscenza e incoraggiare le discipline Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematics), o se vuole alleviare il problema spingendo all’adozione di sistemi intelligenti e automatizzati per l’Ict, riducendo la necessità di personale formato. Tuttavia, queste due ipotesi non sono in contrapposizione fra loro: possono – o forse devono – essere perseguite entrambe. La grave alternativa è lasciare le cose come stanno, con la conseguenza di perdere progressivamente terreno nei confronti dei Paesi nostri concorrenti, fino a farci risucchiare nelle posizioni di fondo classifica.














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