Cineas: il risk management fa bene all’impresa…

….soprattutto quando arriva in Cda. L’VII edizione dell’Osservatorio sulla diffusione del risk management nelle medie imprese italiane - realizzata dal Consorzio universitario del Politecnico di Milano in collaborazione con l’Ufficio Studi di Mediobanca – parla chiaro: le aziende italiane con performance economiche migliori sono quelle con i sistemi di gestione del rischio più evoluti

Da destra: Luigi Lana, presidente di Reale Mutua; Massimo Michaud, presidente Cineas; Stefano De Polis, segretario generale di Ivass; Edoardo De Biasi, moderatore e direttore di Milano Finanza; Andrea Montuschi, presidente di Great Place to Work Italia; Giorgio Basile, presidente e a.d. di Isagro;  Gabriele Barbaresco, direttore dell’Ufficio Studi di Mediobanca.

Condotta su un campione di 315 aziende manifatturiere di proprietà italiana – in prevalenza operanti in ambito B2B (alimentare, beni per la persona e la casa, chimico farmaceutico, meccanico e metallurgico) -, con 61 milioni di euro di fatturato medio e una base organica di 157 dipendenti, la ricerca del Consorzio universitario del Politecnico di Milano (Cineas) – in collaborazione con l’Ufficio Studi di Mediobanca– ha fotografato la situazione italiana in fatto di risk management.

“Anche quest’anno la ricerca evidenzia che le aziende più attente alla gestione del rischio sono anche quelle che hanno performance migliori (+20% Roi rispetto alle aziende che non lo gestiscono) – ha commenta il presidente di Cineas, Massimo Michaud nel corso della presentazione – ma nel report 2019 abbiamo fatto un passo avanti rispetto a questa correlazione, andando ad esaminare i comportamenti virtuosi all’interno delle aziende che dichiarano di gestire i rischi.”







Alla presentazione della ricerca ha fatto seguito una tavola rotonda tra Luigi Lana, presidente di Reale Mutua; Stefano De Polis, segretario generale di Ivass, Andrea Montuschi, presidente di Great Place to Work Italia; Giorgio Basile, presidente e a.d. di Isagro; Gabriele Barbaresco, direttore dell’Ufficio Studi di Mediobanca. A moderare Edoardo De Biasi, direttore di Milano Finanza.

 

Massimo Michaud, presidente Cineas
Massimo Michaud, presidente Cineas

Perché le imprese gestiscono i rischi?

Sebbene la maggioranza della platea investita dalla ricerca Cineas condivida la definizione di “gestione del rischio” – ovvero mettere in atto strategie che riducano frequenza e severità del danno (84,6% delle imprese), in vista di preservare l’integrità del business – la maggioranza delle imprese persegue passivamente questo obiettivo.

E infatti questo nucleo maggioritario si limita a dotarsi di una copertura assicurativa (39,5% delle imprese), la quale significa solo trasferire su terzi il rischio, o, ancor peggio, si attiene meramente all’ottemperanza degli obblighi di legge (27,3% delle imprese).

Risk management: la leva di una minoranza vincente

Resta marginale invece la quota di imprese che vede nella gestione del rischio una leva competitiva, ovvero uno strumento da utilizzare in maniera proattiva al fine di raggiungere un migliore posizionamento rispetto ai propri competitor (12,9%). È suggestivo però che questo piccolo gruppo di aziende realizzi performance economiche apprezzabilmente migliori: Roi al 10,3% rispetto al 7,8% delle altre; export: 55,3% vs. 46%.

Non basta mappare i rischi per parlare di governance

La principale attività espletate nel funzionamento del sistema di gestione è la mappatura dei rischi, interessando il 49,3% delle imprese. In effetti, si tratta dell’azione più immediata, ma è solo il primo passo nella costruzione di un sistema di gestione del rischio. La rilevazione ex-post dei rischi e degli eventuali incidenti avvenuti viene sviluppata solo dal 39,9% delle imprese.

La ricerca di Cineas ha voluto entrare in profondità, sondando le attività più evolute legate alla “governance del rischio”. Il risultato è il configurarsi di una platea delle imprese esigua. Prendiamo il caso del coinvolgimento di una figura professionale (tipicamente il risk manager il quale provvede alla sintesi delle evidenze), ebbene solo il 17,9% del campione ne prefigura la posizione. Quando poi si arriva fino alla più avanzata attività, la discussione dei rischi in CdA, si scopre che solo l’11,8% delle imprese la pratica.

Eppure, quando si osservi la redditività delle imprese in relazione al tipo di attività intrapresa, si rileva che la migliore marginalità è conseguita dal ristretto insieme di aziende che condivide in CdA i temi di gestione dei rischi. “C’è una relazione biunivoca tra governance d’impresa e gestione dei rischi” evidenzia Massimo Michaud.

 

La graduatoria dei rischi: la compliance in testa

I rischi più rilevanti sono quelli legati ad un obbligo legale: ovvero sicurezza sul lavoro e responsabilità civile da difettosità del prodotto. “Si tratta di una conferma – ha commentato Gabriele Barbaresco, direttore dell’Ufficio Studi di Mediobanca – rispetto alle precedenti edizioni. Stabile anche il cyber risk, seguito da danni ambientali e dai rischi legati a eventi catastrofali naturali. In coda i rischi geopolitici, quelli da imitazione e contraffazione e legati al reperimento e ritenzione delle competenze professionali”.

Quest’anno appare un’accresciuta rilevanza attribuita alle catastrofi ambientali: “Probabilmente i fenomeni meteorologici estremi – spiega Barbaresco – e le loro conseguenze stanno divenendo un fattore che con sempre maggiore frequenza incrocia il vissuto delle aziende e con i quali esse sono chiamate quindi a fare i conti in maniera sempre meno episodica”.

I rischi legati alle normative

In prevalenza sicurezza sul lavoro e difettosità del prodotto sono tendenzialmente ai primi posti per tutti i tipi di aziende; diverso l’andamento di rischi specifici che in base alle peculiarità delle aziende scalano la graduatoria.

Tra geopolitica, competenze e imitazione

I rischi geopolitici figurano in coda al ranking generale, sono in realtà percepiti con urgenza dalle imprese che hanno una catena di fornitura e vendita a maggiore proiezione internazionale.

I rischi relativi al reperimento e ritenzione delle competenze professionali, anche questi apparentemente poco rilevanti se si guarda alla classifica generale, ricevono una maggiore attenzione da parte delle imprese che operano in settori ad elevata tecnologia per le quali la qualità professionale delle risorse assume valenza strategica.

Il rischio di imitazione del prodotto è maggiormente percepito nelle imprese del B2C rispetto a quelle del B2B; da ultimo, il rischio finanziario, nella accezione di mancato ottenimento del credito è in cima alle preoccupazioni delle imprese che appartengono alle classi di merito creditizio più basse, mentre tocca solo marginalmente quelle che possono contare su una struttura patrimoniale e finanziaria molto solida.

 

Due focus: Cyber Risk e Internazionalizzazione delle forniture

La ricerca Cineas ha anche scandagliato quattro ambiti: il codice di autodisciplina (per una definizione leggere qui), il rischio reputazionale, il cyber risk, l’internazionalizzazione delle forniture. Industria Italiana si è concentrata su queste due ultime.

Cyber Risk: l’educazione del personale come leva strategica

Il cyber risk è innanzitutto associato dalla grande maggioranza delle imprese al rischio di subire un fermo produttivo (79,3% delle imprese). La perdita di informazioni strategiche ha un’ampia rilevanza (45%) quasi equivalente alla perdita di informazioni coperte da privacy (42,4%). Per quanto riguarda le iniziative delle imprese per il contenimento del rischio, nel 92,2% vengono adottati sistemi di firewall aziendali; apprezzabile il dato dell’80% di imprese che si occupano di educare adeguatamente il personale per difendersi dagli attacchi, mentre appena il 7,1% delle imprese ricorre alla copertura assicurativa.

Internazionalizzazione delle forniture

Un dato strutturale interessante, e relativamente poco conosciuto delle medie aziende di proprietà familiare, riguarda la loro internazionalizzazione, non tanto sul versante delle esportazioni, tema ampiamente noto, quanto su quello delle forniture. Se da un lato il 93% delle medie imprese vende propri prodotti all’estero, il 91% di esse acquista input o beni intermedi dall’estero. Perché avvalersi di fornitori stranieri? Le motivazioni riguardano più frequentemente la natura dei prodotti che non quella dei produttori e toccano solo marginalmente la qualità. Quindi, si acquistano all’estero prodotti non reperibili in Italia (per il 58% delle imprese) o che in Italia sono più costosi (42,3%), mentre non si cerca all’estero maggiore qualità (solo il 14,2% delle aziende). Per un’impresa su quattro (26,3%) il fornitore straniero offre maggiori garanzie di continuità (regolarità e durata del rapporto).

N.B. L’indagine di Cineas nel 2019 è stata condotta con la Compagnia Assicurativa Helvetia  e la Società di brokeraggio Mansutti – con una Gold partnership – la Società peritale C&P e le Compagnie Assicurative HDI Assicurazioni  e Reale Mutua.













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