Chi ha paura dell’ Intelligenza Artificiale?

di Marco De’ Francesco ♦ I timori sugli sviluppi imprevedibili della A.I. frenano il progresso, sostiene Paul Daugherty, CTIO Accenture. Tutti i miti da sfatare e gli imperativi di cui tenere conto per un mondo in cui gli uomini aiutano le macchine e le macchine aiutano gli uomini, reinventando, business, lavoro e industria. Peraltro, da qui passa anche il processo di digital transformation

«Mettiamola così -dice Hal -: la serie 9000 è il computer più affidabile mai realizzato. Nessun computer 9000 ha mai commesso un errore o alterato un’informazione. Siamo tutti, senza possibili eccezioni di sorta, infallibili e incapaci di errore». Ma il computer Hal, che nel noto film di Stanley Kubrick gestisce un’intera astronave, è dotato di fredda scienza, cova propositi ambigui e alla fine tradisce l’equipaggio. E noi, secondo l’esperto di Accenture Paul Daugherty, siamo ancora spettatori di quel film; soprattutto adesso, quando l’intelligenza artificiale avanza al passo serrato e si avvicina alle potenzialità di Hal 9000. La nostra paura frena il progresso. Perdiamo tempo prezioso a chiederci se i robot distruggeranno l’umanità, o ci ruberanno il posto di lavoro. Sciocchezze che ci distolgono dalla via maestra, che è quella di una mentalità aperta verso un fenomeno che è destinato a dominare i prossimi anni nella tecnologia, nell’industria e nella società.

Il potenziale della AI è immenso, perché rimuove la complessità della programmazione; ma l’AI è un meccanismo al servizio dell’umanità, non contro di essa: permetterà di risolvere problemi ritenuti irrisolvibili. L’importante è che si capisca che l’AI è una intelligenza collaborativa nel contesto di un rapporto bidirezionale tra l’uomo e la macchina: mentre l’uomo con le sue competenze dota la macchina dei dati necessari per farla funzionare, la macchina migliora le possibilità dell’uomo di valorizzare la propria creatività.







Tutto ciò, secondo Daugherty – ospite qualche giorno fa a Milano di “Meet the Media Guru”, nel cui contesto ha illustrato i temi del libro di cui è co-autore (insieme a H. James Wilson), “Human + Machine: Reimagining Work in the Age of AI” – si declina in nove operazioni. Anzitutto, tre miti da sfatare: l’AI è una minaccia; le macchine ci ruberanno il lavoro, le metodologie non cambieranno. Poi, tre imperativi di cui tenere conto: re-immaginare il business, un nuovo approccio verso il lavoro e l’intelligenza artificiale responsabile. Infine, tre sfide per le aziende: nuove abilità e formazione; data veracity e un impegno che non preveda un punto di arrivo. Per Daugherty è questo il lavoro da fare, senza paure. Perché il fattore umano sarà sempre centrale; e l’intelligenza artificiale, tornando al film di Kubrick, più che al cattivo robot Hal somiglia alla monolito nero che dona all’uomo nuove capacità.

 

Il libro di Daugherty e Wilson

Tre miti da sfatare sull’Intelligenza artificiale

«Il primo – afferma Daugherty, Chief Technology and Innovation Officer di Accenture – è che i robot costituiscano una minaccia. Secondo taluni, ci sostituiranno. E va sottolineato che una certa mentalità è stata diffusa dalla cinematografia. Si pensi ad Odissea nello Spazio, il capolavoro di Stanley Kubrick, dove il computer Hal 9000, in grado di gestire l’intera l’astronave, sfugge al controllo umano. Accadrà questo? Davvero l’AI prenderà il nostro posto e si rivolterà contro di noi? Io penso che questo tema ci stia distraendo, e che tutto il tempo che utilizziamo per gestire la paura dovremmo sfruttarlo per farci aiutare dall’AI a risolvere i problemi. Chi ha paura frena il progresso». Per Daugherty l’Intelligenza Artificiale non distruggerà l’umanità, ma le si affiancherà semplificando alcune operazioni ancora oggi nelle mani dell’uomo.

Altro mito da sfatare è che “le macchine ci ruberanno il lavoro”. Per Daugherty «È evidente che certe attività saranno automatizzate – afferma Daugherty – ma a medio termine l’intelligenza artificiale favorirà la nascita di milioni di posti di lavoro, soprattutto nell’industria e nel terziario avanzato, e in tanti altri settori. Casomai, il tema di rilievo qui è il re-skilling». In pratica, per Daugherty, i robot non sostituiranno il fattore umano, bensì contribuiranno far nascere professioni a oggi inesistenti. Le macchine devono essere intese come innovazioni tecnologiche con cui collaborare; spetta all’uomo aggiornare le proprie competenze e abilità per stare al passo con il progresso e le leadership devono favorire questo processo.

Ultimo mito da sfatare è che le metodologie non cambieranno, e che si potrà continuare con quelle in uso. «In realtà – afferma Daugherty – le aziende che intraprendono un approccio innovativo per implementare l’intelligenza artificiale stanno meglio delle altre, sono più veloci e performanti e fatturano di più. C’è un ritorno importante degli investimenti». Quanto a metodologie di lavoro, secondo Daugherty subiranno modifiche dipendenti dal rapporto con i mezzi: a prevalere non sarà la collaborazione uomo-macchina, ma uomo più macchina, addizione che consente di raggiungere nuove frontiere.

Tre imperativi di cui tenere conto

Re-immaginare il business

«Siamo ad un grande punto di svolta nelle aziende – ha affermato Daugherty -: siamo all’inizio della terza generazione di nuovo lavoro. La prima era quella dell’automazione, con la Ford, con le linee di assemblaggio e con la gestione scientifica dell’automazione; la seconda, quella della re-ingegnerizzazione: grazie all’informatica, abbiamo creato nuovi sistemi industriali e nuovi ruoli, e abbiamo modificato i processi. Alla fine, è proprio quello che abbiamo fatto negli ultimi 30 anni. Ora, con l’intelligenza artificiale bisogna pensarla in un altro modo: non abbiamo più i processi statici, dalla a alla zeta, da un punto di ingresso ad un punto finale. Oggi infatti si re-immagina tutto: abbiamo processi dinamici, personalizzati e adattivi. Tutto questo è basato sul cambiamento: anche dei nostri ruoli e delle nostre funzioni. Per esempio, nel comparto industriale aziende come General Electric e Siemens utilizzano nuovi approcci: i gemelli digitali sono copie digitali della macchina vera e propria. Così il tecnico interagisce in tempo reale con un motore anche è già in strada o in volo, e può curare real time la questione della manutenzione. Ciò significa utilizzare meglio il capitale umano e l’equipaggiamento».

 

Digital twins di un impianto di produzione energetica (courtesy Siemens)

 

In pratica, secondo Daugherty le aziende devono immaginare un nuovo modo di organizzarsi, capace di valorizzare l’esistente e accogliere l’innovazione. È fondamentale focalizzarsi sulla formazione per adattare le professioni attuali in vista della crescente diffusione dell’Intelligenza Artificiale e preparare chi deve accedere al mercato del lavoro. «Oggi, per esempio, tramite l’intelligenza artificiale si possono offrire pacchetti di vestiario personalizzati. Anche la moda sta cambiando, verso la personalizzazione di massa».

Un nuovo approccio verso il lavoro

«Si parte da un concetto di intelligenza collaborativa: gli uomini aiutano le macchine e le macchine aiutano gli uomini. Prendiamo le capability migliori di una persona e quelle migliori di un software o dell’AI, e le mettiamo insieme. Così abbiamo diversi tipi di lavoro che vengono creati: anzitutto, pensiamo alle funzioni train, explain e sustain. Formare, spiegare e sostenere l’innovazione. C’è bisogno di persone in grado fare formazione, anche quanto all’AI. E chi si occupa della formazione non è più il trainer di una volta: abbiamo bisogno di psicologi e sociologi, per esempio. E poi Mark Zuckerberg ha assunto 25mila tra explainer e susteiner: gli algoritmi non sostituiscono gli algoritmi, pertanto servono e serviranno sempre persone in grado di spiegare e sostenere tutti questi calcoli.

E ancora, si considerino le funzioni embody, interact e amplify. Embody significa utilizzare fisicamente i cobot. Ma ciò secondo uno studiato equilibrio tra persone e robot collaborativi: in Tesla si sono resi conto che il grado di automazione nei processi è eccessivo, e che pertanto c’è bisogno di più persone. E questo perché serve più flessibilità e adattabilità: anche in Bmw le persone stanno sostituendo i robot. Interact si riferisce invece al nostro modo di interagire con gli altri grazie alla tecnologia. Oggi con l’intelligenza artificiale, per esempio, un non vedente può utilizzare una particolare tipo di occhiali che gli consentono di sapere, entrando in una stanza, quante quanti uomini e quante donne ci sono, qual è la loro età media, e dove sono i mobili e gli oggetti più importanti. Ciò permette ai non vedenti di interagire con il resto del mondo. Amplify, infine: perché oggi si può accrescere la potenza di ogni servizio. Si pensi ai processi di conformità nelle banche, come l’antiriciclaggio. Prima c’erano persone dedicate; ma l’intelligenza artificiale queste cose le sa far meglio». Secondo Daugherty, dunque, l’AI è una intelligenza collaborativa nel contesto di un rapporto bidirezionale tra l’uomo e la macchina: mentre l’uomo con le sue competenze crea la macchina e la dota dei dati necessari per farla funzionare, la macchina migliora le possibilità dell’uomo di valorizzare la propria creatività.

 

Il cobot Yumi al lavoro (courtesy Abb)

Terzo e ultimo imperativo, l’intelligenza artificiale responsabile

«AI significa pensare diversamente anche in relazione agli obblighi che abbiamo verso le persone con le quali lavoriamo. Ora, chi conosce la fantascienza conosce Isaac Asimov, che aveva “formulato” leggi sulla robotica: il fatto, per noi, è che l’AI farà sempre fatica ad essere responsabile; occorrono persone responsabili che formulino regolamenti e che si occupino del monitoraggio. Bisogna stabilire con certezza cosa far fare alla macchina, e cosa debba continuare a fare l’uomo. Il secondo punto è la trasparenza. Se ne parla molto, oggi, in Europa, per via della GDPR. In questo campo, la domanda classica che ci si pone è: dove posso usare l’AI e in quale forma? L’importante è capire che i regolamenti vanno rispettati, e che le aziende non devono prendere scorciatoie. D’altra parte, l’AI è concepita per seguire tutte le policy e le best practice di oggi. Occorrono onestà ed equità». In pratica, rifacendosi alle tre leggi della robotica di Isaac Asimov, Daugherty ricorda come la AI debba sempre essere impiegata a beneficio dell’umanità. Un imperativo, questo, che pone in essere la questione etica di un’Intelligenza Artificiale che sia anzitutto responsabile ma anche onesta, imparziale e trasparente. La responsabilità degli atti compiuti dalla AI deve essere sempre in capo alle persone.

 

Isaac.Asimov01
Isaac Asimov. Secondo Daugherty le sue tre leggi sulla robotica devono essere considerate valide

Tre sfide per le aziende

Nuove abilità e formazione

«Com’è noto, a fronte di milioni di lavori vacanti, ci sono milioni di disoccupati. Non è un problema di matching: è che mancano le capacità richieste dalle aziende. Bisogna pertanto fornire le persone di nuove abilità, quelle che noi chiamiamo fusion skills, e che corrispondono alle capacità necessarie per trovare un posto di lavoro che si basi sull’intelligenza artificiale. Il fatto è che le aziende non stanno facendo abbastanza. Si pensi che i due terzi dei manager pensano che la forza lavoro non sia pronta per la AI; ma solo il 3% delle aziende sta aprendo il portafoglio per fare formazione in questo campo». In pratica, per Daugherty, con la crescente diffusione dell’AI, si deve colmare il gap tra le competenze già presenti nel mercato del lavoro e quelle ora imprescindibili, maggiori rispetto alle prime. Serve quindi formare vecchi, nuovi e futuri lavoratori per consentire una più efficace collaborazione in vista del binomio uomo più macchina.

Data Veracity

Quanto alla seconda sfida, è la cosiddetta Data Veracity. «Quella dei dati è di per sé una grande sfida, visto che provengono da un gran numero di fonti eterogenee. E la AI migliora di momento in momento, perché si autoalimenta grazie alle informazioni che elabora. Ma bisogna utilizzare dati accurati». Questo perché informazioni poco accurate possono minare la qualità delle ricerche fatte per mano dell’AI. È quindi fondamentale attingere da fonti sicure, collezionare e gestire i dati con precisione per svolgere un lavoro accurato, affidabile ed eticamente corretto.

Non esiste una linea d’arrivo

Infine, si tratta di prendere in considerazione una realtà auto-evidente: non esiste una linea d’arrivo. L’Intelligenza Artificiale non ha un traguardo da raggiungere perché essa continuerà a svilupparsi e a crescere con noi. «Ci sarà sempre un divario tra le potenzialità della tecnologia legata all’AI e la realtà dei fatti. Possiamo correre il più veloce possibile, ma la verità è che il traguardo avanza dinanzi a noi».

Uno sguardo all’intelligenza artificiale

«I sistemi di intelligenza artificiale – si legge nel libro  “Human + Machine: Reimagining Work in the Age of AI” – non solo stanno automatizzando molti processi, rendendoli più efficienti; ora consentono a persone e macchine di lavorare in modo collaborativo in modi nuovi. Così, stanno cambiando la natura stessa del lavoro, richiedendoci di gestire le nostre operazioni e i nostri dipendenti modi drammaticamente diversi». Ora, almeno nell’industria, l’intelligenza artificiale è costituita da algoritmi, sempre più complessi, strutturati per consentire alle macchine di realizzare meglio delle persone attività tipicamente umane. Quanto meglio?

Industria Italiana aveva affrontato il tema a fine febbraio: l’articolo si può reperire qui.  Emergeva che, qualora le aziende investissero (con la stessa energie delle leader di mercato) in AI e in un’efficace cooperazione uomo-macchina potrebbero ottenere, in media, incrementi di fatturato del 38% e di occupazione del 10%. Altro che licenziamenti di massa. Tutto ciò, secondo la ricerca “Reworking the Revolution: Are you ready to compete as intelligent technology meets human ingenuity to create the future workforce?” prodotta da Accenture, basata sulle risposte di oltre 14mila lavoratori di 11 Paesi e di 1.201 dirigenti senior nonché integrata da un modello economico che ha messo in relazione investimenti nell’AI e performance finanziarie delle imprese. Ma come si ottiene quella collaborazione uomo-macchina che consenta il raggiungimento di tali risultati? Emergeva che bisogna lavorare sulla formazione interna.

Quanto a Daugherty, focalizza l’azione dell’AI sulla persona umana e sul lavoro. Per lui, si tratta di tutti quei sistemi che possono estendere le capacità umane di sentire, comprendere, agire e imparare. Nonostante la concezione di AI contemporanea sia solo agli albori, per Daugherty «l’innovazione che porterà nelle nostre vite sarà qualcosa di incredibile, paragonabile solo all’invenzione dell’elettricità». Una svolta epocale, certo, ma che mai sostituirà l’uomo, suo creatore, bensì incrementerà le potenzialità del vivere quotidiano sia nella sfera privata che professionale. Bisognerà attendere molto? «La rivoluzione dell’AI non sta arrivando; è già qui – si legge – e sta per reimmaginare i processi dell’azienda, attraverso tutte le sue funzioni. Si tratta di ottenere il massimo beneficio dalla capacità di questa tecnologia di aumentare le abilità umane».

 

[boxinizio]

 

Paul Daugherty,Chief Technology & Innovation Officer di Accenture nel corso dell’ incontro Meet the Media Guru a Milano ( photo by Marco de’ Francesco

Paul Daugherty

È il Chief Technology & Innovation Officer di Accenture, dove guida anche il gruppo Technology Innovation & Ecosystem ed è membro del Management Committee globale. Oltre alla supervisione della strategia tecnologica di Accenture, Daugherty è responsabile dell’innovazione attraverso le attività di Ricerca e Sviluppo dei Technology Labs di Accenture e attinge alle tecnologie emergenti per offrire le ultime innovazioni ai clienti a livello globale. Ha fondato e dirige Accenture Ventures, che si occupa di investimenti strategici in equity e open innovation con lo scopo di accelerare la crescita delle aziende ed è a capo di un grande gruppo di technology architect, esperti altamente qualificati e certificati. Inoltre Daugherty coordina alleanze, partnership e le relazioni di alto livello di Accenture con le principali società di tecnologie emergenti e guida il Global CIO Council di Accenture e il CIO and Innovation Forum che si tiene ogni anno.

Accenture

Accenture è un’azienda leader a livello globale nel settore dei servizi professionali, che fornisce una vasta gamma di servizi e soluzioni nei settori strategy, consulting, digital, technology, operations e security. Combinando esperienza e competenze specialistiche in più di 40 settori industriali e in tutte le funzioni aziendali – sostenuta da una rete di delivery center a livello mondiale – Accenture opera all’intersezione tra business e tecnologia per aiutare i clienti a migliorare le proprie performance e creare valore sostenibile per i loro stakeholder. Dispone di circa 442mila professionisti impegnati in più di 120 paesi. In Italia è guidata da Fabio Benasso.

[boxfine]














Articolo precedenteInnovare? Fare impresa 4.0? A parole sono tutti buoni, ma…
Articolo successivoNasce MindSphere World Italia per lo sviluppo dell’ecosistema Iot






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui