Che cosa succederà a Fca in Europa? Ci saranno alleanze? E l’occupazione?

Mike Manley, ad Fca Copyright Phalène de La Valette - No changes Made https://www.flickr.com/people/54329250@N04

di Marco de’ Francesco ♦ Le attività nel Vecchio Continente e in Italia hanno una marginalità risicata. L’azienda è concentrata sull’America e sui marchi Jeep e Ram. Che cosa si può dire alla luce delle strategie annunciate da Manley? Il parere di economisti (Berta) consulenti ( Aversa) sindacalisti ( Di Palma )

Fca in Europa da sola non potrà stare a lungo. Gli utili, il valore, vengono generati perlopiù altrove, grazie alla produzione che si realizza negli Usa e a Detroit in particolare, ex cimitero industriale riportato in vita dal Lingotto, una città che nel 2013 aveva dichiarato fallimento. Ora l’America sussidia il Vecchio Continente. E d’altra parte Fca punta sugli Stati Uniti: lì ha investito 14,5 miliardi di dollari, e si appresta a metterne sul piatto altri 4,5. Il dualismo Europa – Usa, però, non può durare a lungo.

Addirittura, secondo Giuseppe Berta, docente al dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’università Bocconi, nonché storico dell’industria e ex direttore dell’Archivio Fiat, «la parte europea è in fase di smobilitazione. Sarà venduta in blocco, o fortemente ridimensionata con cessioni consecutive. Il perché è evidente: non si investe, e dopo aver distribuito miliardi di dividendi e dopo le ultime dazioni a Detroit, non ci sono più i soldi per farlo. E soprattutto, Fca sa che l’impiego di risorse nel Vecchio Continente non è produttivo».







Questa, però, è la versione più estrema. Altri osservatori considerano auspicabile una partnership tra la parte Europea della multinazionale dell’automotive e un carmaker forte, dotato di mezzi. Intanto l’ad del Lingotto Mike Manley, si è lasciato sfuggire, al Salone dell’auto di Ginevra, di essere comunque aperto ad «alleanze e fusioni». Staremo a vedere. Su tutto ciò abbiamo sentito, a parte Berta, anche il vice presidente globale e presidente Emea della società di management consulting AlixPartners Stefano Aversa e il responsabile del settore automotive della segreteria nazionale di Fiom Cgil Michele De Palma. Nei prossimi giorni, Industria Italiana interpellerà direttamente anche i vertici Fca.

 

Lo stabilimento Fiat Mirafiori a Torino. Qui è prevista la produzione della 500E

Squilibrio sugli utili, sbilanciamento tra America e Europa

Il totale dell’utile operativo di Fca, nel 2018 è stato pari a 7,2 miliardi di euro, il 6,3% del fatturato; in aumento dai 7 miliardi del 2017. Ma quali Paesi lo realizzano? L’area Nafta (Usa, Canada, Messico) ha raggiunto quota 6,2 miliardi, contro i 406 milioni dell’area Emea (Europa, medio Oriente e Africa). In pratica, il valore si raccoglie per l’85,5% in America del Nord, e cioè soprattutto negli Stati Uniti. Per contro, il Vecchio Continente e le propaggini a Sud e a Est fanno segnare un debolissimo 5,5%. Vanno poco meglio dell’America Latina e dell’Asia, che è in rosso. Non è, per la verità, una questione del solo Lingotto.

 

Stefano Aversa, vice presidente globale e presidente Emea della società di management consulting AlixPartners

 

«Praticamente tutti i produttori non-premium soffrono in Europa – ricorda Aversa -. Il gruppo Volkswagen e Psa-Opel hanno volumi e sinergie che danno loro un relativo vantaggio. Per questi produttori, inclusa Fca, una partnership con un altro carmaker in Europa è una opzione da considerare seriamente. Attualmente, infatti, come si legge dai numeri, quasi la totalità degli utili della multinazionale dell’automotive sono realizzati grazie ai grandi SUV e pick-up venduti oltreoceano; ma anche il mercato brasiliano si sta riprendendo. Dunque, ci troviamo di fronte ad una dicotomia: da una parte il Nafta e Brasile, dove Fca cresce e fa utili; dall’altra il Vecchio Continente, dove Fca soffre, come Ford ed gli altri concorrenti. Nel breve l’America continuerà a sussidiare l’Europa che resiste attraverso una attenta gestione ed ottimizzazioni; ma nel medio termine soluzioni strutturali con altri costruttori, seppur non facili, vanno esplorate».

 

Produzione di Jeep nel polo automotive di Goiana in Brasile(Foto: Juca Varella/FCA/FOTOS PÚBLICAS)

Fca incarna ormai, secondo Berta, il modello americano

«Qui cassa e incentivi all’esodo, lì stabilimenti nuovi e assunzioni». La mette così, sinteticamente, De Palma. Del resto, la focalizzazione degli investimenti dalle parti di Detroit è un fenomeno risalente ai tempi successivi all’accordo americano tra l’ex ad del Lingotto Sergio Marchionne e il presidente Barack Obama, patto funzionale all’acquisizione a buon prezzo di Chrysler dietro cessione di brevetti e know-how. Dal 2011, afferma Berta, Fca ha investito negli Usa 14,5 miliardi di dollari generando circa 30mila nuovi posti di lavoro. Dunque, per Berta, la news di questi giorni, relativa ad una ulteriore tranche di 4,5 miliardi di dollari di investimenti per consolidare la capacità produttiva degli impianti americani non deve sorprendere, in quanto parte di una precisa strategia.

Berta sottolinea che 1,6 miliardi serviranno per ricostruire un vecchio stabilimento abbandonato nell’area urbana di Detroit; lì si faranno, con 3.850 nuovi posti di lavoro, sia la nuova Jeep Grand Cherokee che importanti piattaforme ibride. Nota Berta sul Corriere di Torino che oggi le multinazionali tendono ad essere più radicate nel territorio dove inizialmente si sono sviluppate. Con un’eccezione. «Può sembrare strano, ma mentre Volkswagen rappresenta la Germania e Toyota il Giappone, Fca incarna ormai più gli Usa che l’Italia, più Detroit che Torino».

 

Michele De Palma, responsabile del settore automotive della segreteria nazionale di Fiom Cgil

Mentre l’America avanza, l’Europa segna il passo

Allo sforzo in America fa da contraltare la situazione del Vecchio Continente. Almeno secondo De Palma, per il quale «c’è un ritardo voluto. Delle due l’una: o si perseguono obiettivi finanziari, come ha fatto Fca nella vendita di Magneti Marelli e relativa distribuzione di cedola agli azionisti, o si punta a risultati industriali. Ad oggi, quanto a stabilimenti, Torino funziona ad un solo turno, Cassino e Pomigliano d’Arco sono in cassa integrazione; quanto alla sorte di Cento e Pratola Sarno, che si occupano di diesel, è la più incerta».

In realtà il discorso sulla ritirata del Lingotto dal Piemonte e quello sul divorzio dall’Italia è molto complesso. Risale a prima della guida Marchionne. Chi fosse interessato, può approfondire l’argomento in questo articolo.  In discussione c’è – in un contesto più ampio e per dirla con il direttore di Industria Italiana Filippo Astone – «una classe dirigente miope, incapace di fare politica industriale o progetti a lungo termine». E che, per perpetuarsi, procede senza prendere decisioni forti. Come nell’elettrico, secondo De Palma, dove per ora si è segnato il passo.

«Aziende francesi e tedesche svilupperanno soluzioni condivise per le batterie, che sono il cuore del nuovo paradigma di auto-motive. Gli investimenti in materia sono davvero considerevoli, all’estero; paesi asiatici come Corea del Sud e Giappone sono molto avanzati. Noi, seppure realizzassimo modelli totalmente elettrici, finiremmo per dipendere dall’Asia». De Palma inserisce nell’elenco degli “errori” di Fca, o cioè delle posizioni che a suo giudizio non hanno arrecato vantaggi, anche «l’uscita dal contratto nazionale e da Federmeccanica. Questo passaggio era stato venduto in questi termini: ci saranno piena occupazione e salari tedeschi. Questi ultimi non li ha visti nessuno, e anzi la paga è inferiore a quella dei lavoratori di comparto. Quanto all’occupazione, si è già detto. Noi non firmammo, otto anni fa. E abbiamo fatto bene: quando si perdono diritti, non si guadagna neppure su altri fronti». A proposito di emolumenti, va ricordato che a marzo i dipendenti Fca avranno un premio di redditività in busta paga, del valore medio di 880 euro.

 

La sede storica della Fiat al Lingotto ( autore Pablo García Roza )

Non solo indiscrezioni: l’apertura di Manley

Al Salone di Ginevra Fca ha presentato qualche novità nel settore dell’auto elettrica: Jeep Renegade e Compass nelle versioni ibride plug-in, un Suv Alfa Romeo ibrido compatto, e la “Centoventi”, utilitaria totalmente elettrica e con una autonomia da 100 a 500 km. Non è chiaro se e quando quest’ultimo modello entrerà in produzione. Intanto l’ad Mike Manley ha fatto sapere che Fca svilupperà l’elettrico da sola. Secondo Manley il vantaggio accumulato da altri carmaker nel settore non è un fattore discriminante, anzi; ha dichiarato al Corriere della Sera che «gli altri hanno investito molto e prodotto vetture. Il risultato? Oggi in Europa l’elettrico rappresenta il 2% del mercato. Noi entriamo in questo sfruttando un abbassamento dei costi. Dobbiamo esserci e ci saremo al meglio, anche con la 500. Lo facciamo sviluppando da soli la nostra piattaforma. La nostra piattaforma. In futuro, perché no, valuteremo eventuali collaborazioni».

Ma in realtà Manley fa un’importante apertura in tema di alleanze. Forse inattesa. «Abbiamo una posizione forte e indipendente – ha affermato al quotidiano – ma se c’è un’alleanza, una partnership, una fusione che rafforza le nostre opportunità per il futuro, noi la prenderemo in considerazione». Altre indiscrezioni e mezze parole dei manager emerse a Ginevra dimostrano che la via della partnership è un’ipotesi seria. E che la dicotomia tra Europa e America è destinata ad approfondirsi ancora di più. Si sa che l’ad di Psa Carlo Tavares, è interessato soprattutto ad un’alleanza con Fca sul mercato americano. Lo ha dichiarato lui stesso. Un’operazione di questo genere potrebbe rendere i Continenti ancora più distanti e portare a soluzioni separate.

 

L’ad di Psa Carlo Tavares sarebbe interessato ad una allenza con Fca per il mercato americano

Lo spirito anti-industriale che getta benzina sul fuoco

Se è vero che la classe imprenditoriale di questo Paese non sempre si è dimostrata all’altezza delle grandi sfide che si intravedevano all’orizzonte, è anche vero che l’azione politica nazionale negli ultimi decenni è stata caratterizzata da un marcato atteggiamento anti-industriale. Si pensi, quanto all’attualità, al ticket ecobonus-ecotassa, che avvantaggia carmaker coreani, giapponesi e tedeschi a scapito soprattutto della produzione nostrana di Fca. Un harakiri impensabile in altri Paesi più consapevoli. Si cambia forzosamente paradigma quando i processi industriali non sono stati aggiornati. Sul punto, si consiglia la lettura di questo articolo  di Industria Italiana.

«Un contesto che di certo non invoglia Fca a presidiare il territorio – afferma Berta -; d’altra parte il governo in carica pare non troppo incline a farsi condizionare dalla realtà. Non lo so, ma credo che c’entri una questione di mentalità di alcuni suoi esponenti. È questo, secondo me, il motivo per il quale ci stiamo avvitando in una crisi sempre più grave. E non si può dire che Fca non sia danneggiata dalla situazione. Non stupisce che sia sempre più attratta dall’America». Secondo De Palma, il 2019 potrebbe essere l’anno giusto per una partnership per la Fca del Vecchio Continente. «Appunto perché sarà un anno difficile. Non è prevista l’uscita di modelli nuovi, il mercato europeo è decrescente, le normative sulle emissioni di Co2 sono stringenti e fattori di sistema rischiano di pesare molto sull’occupazione. Sono elementi che spingono l’azienda a cercare una via d’uscita. Del resto, il problema vero è che il Paese no si rende conto che senza l’automotive non si ha mai un’industria sviluppata e autonoma. In tutti gli stati importanti ha un ruolo centrale: in Usa, in Giappone, in Cina e in Germania. È il sistema complesso per eccellenza, riguardando fattori diversi, come la mobilità e la sicurezza. Invece, talvolta sembra che l’Italia se ne voglia liberare».














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2 Commenti

  1. Nelle valutazioni non si tiene conto della procedura di infrazione per la pessima qualità dell’aria.
    Le Regioni e i Comuni più inquinati hanno dovuto definire estese ZTL dove possono transitare solo vetture che beneficiano del bonus ecologico.
    Ha fatto bene il governo!
    Ha fatto male FCA che non ha investito un euro in innovazione! Ovviamente in Italia.
    In USA non ci sono procedure di infrazione per qualità dell’aria.
    La mega multa dell’Europa la pagheremo tutti noi Italiani. Abbiamo dato miliardi alla FIAT-FCA in passato e fini a qualche anno fa. Tutti soldi persi!
    Sarebbe ora che gli Imprenditori la finissero di fare i Prenditori a discapito della collettività.

  2. Nei paesi seri i governi prima di fare azioni come queste concordano trmite opportune commissioni molto in anticipo le strategie con tutti gli organismi interessati, compresi gli industriali che così non si fanno trovare impreparati all’arrivo delle nuove disposizioni. I prodotti (in questo caso gli autoveicoli) saranno così disponibili al momento dell’entrata in vigore. Magari in anticipo sugli altri paesi, così potrebbero essere esportati con vantaggi sul bilancio dello Stato. Ma questo farebbe molto meno scalpore elettorale e presupporrebbe una classe politica preparata e in grado di capire i reali problemi.

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