Che cosa c’ è dietro la vendita di Magneti Marelli

di Marco de’ Francesco ♦ Fca ha ceduto a Kkr il gioiello dei fari e della componentistica. Per il sistema industriale italiano è l’ ennesima mazzata. La ragione principale è l’ indebitamento della societa guidata da Mike Manley. Che cosa accadrà dell’ annunciato aumento di capitale Fca da 40 miliardi? Andrà in porto oppure è una boutade tipo “Fabbrica Italia”? Le opinioni degli economisti Fulvio Coltorti e Patrizio Bianchi

Magneti Marelli passa di mano.  Il Gruppo Fca e il fondo di private equity Kkr hanno trovato un accordo: la multinazionale quasi centenaria di Corbetta (Milano) – quella che fattura 7,9 miliardi rifornendo a livello globale i colossi dell’automotive di cambi, sospensioni, quadri di bordo, sistemi di illuminazione e di tanto altro – è stata acquistata dalla giapponese Calsonic Kansei (società nel passato controllata da Nissan Motor, ma ceduta l’anno scorso al fondo Kkr) per una cifra che, secondo Bloomberg, potrebbe arrivare a 6,2 miliardi di euro. Un annuncio ufficiale è atteso per oggi prima dell’apertura dei mercati europei. Fiat e Kkr non commentano. La fusione tra Magneti Marelli e Calsonic Kansei darà vita ad un produttore di ricambi auto con oltre 17 miliardi di dollari di fatturato e circa 65mila lavoratori da Tokyo a Milano. Secondo Bloomberg, la vendita è una importante pietra miliare per Mike Manley, il manager che ha preso il posto di Sergio Marchionne, scomparso a luglio a seguito di una malattia. È anche la prima operazione di M & A (fusioni e acquisizioni) supervisionata dal presidente John Elkann.

A quanto se ne sa, l’idea iniziale dello stesso Marchionne era quella di fare della Magneti Marelli uno spin-off da quotare in borsa. L’interesse del fondo Kkr era già noto, e dopo la morte del manager abruzzese gli americani avevano ottenuto un’esclusiva per trattare la cessione. Tuttavia, un mese fa Fca aveva bocciato l’offerta di 5 miliardi presentata dal fondo: il fatto è che dalla scomparsa di Marchionne il titolo Fca ha perso il 10% e ciò ha comportato il deprezzamento di Magneti Marelli, incorporata nel titolo. Il Lingotto ha tenuto duro, facendo presente che altri investitori, Apollo global Management e Bain Capital, erano interessati a Magneti Marelli. Di qui la “quadra” di questi giorni. Va peraltro sottolineato che l’azienda di Corbetta viene ceduta nel contesto del piano di investimenti 2018-2022 di 45 miliardi; operazione annunciata a giugno, con Marchionne al timone, dal direttore finanziario del Gruppo Richard Palmer. Ci si augura che il progetto abbia più fortuna di Fabbrica Italia, piano del 2010 di 30 miliardi di investimenti industriali di cui si sono perse le tracce. Ma la domanda è: perché vendere Magneti Marelli? E perché vendere ora, visto che il dossier di Fca sull’azienda è aperto da dieci anni, e spesso il Lingotto aveva cambiato idea?







Secondo Joel Levington, analista senior di Bloomberg Intelligence, «Fca potrebbe ora considerare di premiare gli azionisti con la vendita. L’unità potrebbe fornire a Fiat più di 2 miliardi di dollari di dividendi». Lo abbiamo chiesto agli economisti Fulvio Coltorti e Patrizio Bianchi. È emerso che il bilancio di Fca non è solido. Il debito finanziario è consistente, e ad esso non fa fronte un patrimonio gravato da troppe attività intangibili. Non si capisce neppure perché l’azienda non utilizzi la liquidità per abbattere l’indebitamento. E dato che i tassi di interesse sono previsti in crescita, era bene fare in fretta, perché l’interesse degli acquirenti avrebbe potuto scemare. Peraltro, la notizia della cessione di Magneti Marelli, e quindi dello spostamento dell’asse portante di Fca verso gli Stati Uniti, e ciò nell’incertezza della continuazione delle attività e dello sviluppo in Italia, è interpretata come un brutto segnale, al Paese e ai Mercati.

 

Sergio Marchonne si è sempre opposto alla vendita della Magneti Marelli

 

I tentennamenti di Marchionne sulla sorte di Magneti Marelli

Il manager abruzzese aveva ricomprato rami di business ceduti dal Gruppo Fiat nel 2000. Inoltre la multinazionale di Corbetta aveva giocato un ruolo chiave nella fusione Fiat-Chrysler. Comunque sia, la trattativa con il fondo Kkr iniziò quando il manager abruzzese guidava Fca.

Almeno inizialmente, Marchionne era parso contrario alla vendita della multinazionale della componentistica. Gli è stata attribuita la frase: «Io Magneti Marelli non la venderò mai»; e nel sito di quest’ultima azienda si scopre che «tra il 2000 e il 2001, la rifocalizzazione delle attività industriali porta al delisting dai mercati azionari e alla decisione da parte del Gruppo Fiat di cedere alcuni rami di business, come sistemi elettronici, aftermarket, climatizzazione». Rami che riguardavano giusto la Magneti Marelli. Ma con Marchionne «il business della componentistica riacquista importanza strategica e con l’avvento del nuovo management inizia una nuova stagione per Magneti Marelli: viene ricostituito il perimetro industriale attraverso il reintegro delle aree relative ai Sistemi Elettronici e all’After Market». All’apparenza, Marchionne sembrava aver compreso l’importanza strategica della componentistica per il sistema Fiat-Fca: si era andato a riprendere quelle attività di cui il Gruppo, per questioni di cassa, si era liberato. E poi Marchionne doveva parecchio a Magneti Marelli, in vista della fusione che ha portato alla nascita di Fca.

Come è noto, già nel gennaio 2009 Fiat aveva annunciato un preliminare non vincolante con Chrysler per acquisire il 35% della casa automobilistica (la questione è già stata affrontata da Industria Italiana qui), all’epoca detenuta per il 19,9% dalla tedesca Daimler e per il resto da un fondo americano, Cerberus Capital Management, che aveva ottenuto la sua quota sborsando a Daimler 7,4 miliardi di dollari (al tempo pari a 5,5 miliardi di euro). Secondo alcuni l’azione di Fiat era per il momento a costo zero; prendeva un prestito dal governo americano e, secondo gli accordi, dopo la restituzione poteva acquisire sino al 51% delle azioni. In realtà c’era di mezzo il passaggio di brevetti e know-how. Caso volle che al centro della campagna elettorale di Barack Obama ci fosse la questione ambientale: questi subordinò prestiti e accordi alla produzione, in America, di auto a basso impatto ambientale e con motori di piccola cilindrata, sul modello europeo.

Comunque sia, la quota di Fiat in Chrysler passò al 46% nel maggio del 2011; e nel gennaio del 2014 venne annunciato l’inizio delle operazioni volte ad acquisire, attraverso la controllata Fiat North America, la totalità delle azioni di Chrysler Group da parte del gruppo italiano, manovra completata il 21 dello stesso mese. Il fatto è che in vista del trasferimento tecnologico dall’Italia agli Stati Uniti, l’ingrediente che ha consentito la fusione nella forma gradita ad Obama, Magneti Marelli ha giocato un certo ruolo. È stato notato (da Giuseppe Sabella sul Sussidiario) che la tecnologia dei motori Magneti Marelli ha permesso a Chrysler il riposizionamento di mercato negli Usa con nuovi prodotti a basso consumo. Solo con il know how della multinazionale di Corbetta l’azienda statunitense ha iniziato a produrre efficienti automobili di piccole dimensioni, cosa gradita all’ex presidente degli Stati Uniti. L’azienda di Corbetta è stata, in un certo senso, la carta migliore di Marchionne nella partita a stelle e strisce. Comunque sia, la trattativa con il fondo Kkr iniziò quando il manager abruzzese guidava Fca.

 

 

Lo stabilimento Magneti Marelli a Corbetta, Milano ( photo by Skukifish )

 

Il piano industriale 2018-2022

La vendita di Magneti Marelli nel contesto del piano industriale 2018-2022. Un progetto da 45 miliardi. Non si può non citare, però, Fabbrica Italia, piano di investimenti da 30 miliardi, scomparso nel nulla.

A quanto se ne sa, Manley è intenzionato a vendere Magneti Marelli anche per dar vita al piano industriale 2018-2022 che lo stesso Marchionne aveva presentato prima di morire: prevedeva investimenti per 45 miliardi a fronte di una generazione di cassa di 75 miliardi. Il piano era stato annunciato a giugno dal direttore finanziario del Gruppo Richard Palmer. Va peraltro ricordato che nel 2010 la Fiat aveva annunciato un piano molto ambizioso: Fabbrica Italia. Trenta miliardi di investimenti industriali, di cui 20 in Italia. Sarebbe servito a portare la produzione delle auto Fiat da 650mila unità annue a 1,45 milioni nel 2014. Naturalmente aveva messo tutti d’accordo: anche la Fiom, perché si parlava di un numero considerevole di assunzioni. Nel settembre 2012, la ritirata del gruppo. Un piano oggetto di costante revisione, si disse dal Lingotto. Ma, in realtà, una nuova visione strategica, globalizzante, stava emergendo.

La crisi del 2011 c’entrava poco con il gruppo: Fiat spa chiudeva l’anno con 59,6 miliardi di ricavi; 1,65 miliardi di utile netto e ben 20 miliardi di liquidità disponibile in cassa. Quei 20 miliardi restavano in cassa. Insomma, non se ne fece niente.  Il nuovo piano di investimenti avrà più fortuna? Comunque sia, con la vendita di Magneti Marelli arriveranno più di 6 miliardi. Un’occasione, ha sottolineato l’analista di Bloombrg Joel Levington, di gratificare gli azionisti con due miliardi di dividendi. E il caso di Magneti Marelli potrebbe non restare isolato. A marzo si era parlato di un’altra importante società che potrebbe lasciare il perimetro del Lingotto: Comau, un’azienda integrata con 20 controllate che sviluppa e realizza processi di automazione, soluzioni e servizi di produzione ed è specializzata in robot di saldatura. Fondata nel 1973, attualmente è presente a livello globale con 29 centri operativi, 15 stabilimenti e 4 centri di ricerca e sviluppo. Lo stesso Marchionne parlò di un possibile scorporo, da realizzare nel 2019.

 

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L’ex presidente Usa Barack Obama

 

Coltorti: un bilancio Fca non troppo felice

Le ragioni della vendita potrebbero dipendere da un bilancio Fca non troppo felice.  Al debito molto consistente non farebbe fronte un patrimonio solido. Di qui la necessità di fare cassa.

Secondo Coltorti, si tratta di far cassa, a causa del debito di Fca. «Ridurre l’indebitamento – afferma Coltorti – è sempre stato un problema per Marchionne, che è riuscito a limare il debito industriale, e non quello finanziario. L’indebitamento talvolta non è apparso in documenti ufficiali, sostituito dalla posizione finanziaria netta (ai debiti finanziari sono sottratti prima i crediti finanziari e poi la liquidità); una pratica ammessa dalle autorità di controllo, ma dai risultati controversi». Ma guardiamo un po’ la posizione di Fca. Secondo Coltorti «c’è un motivo per cui il rating di Standard & Poor’s è “b” con outlook positivo nel breve termine, mentre è “bb+” nel medio periodo. Una posizione intermedia tra il grado di investimento (investment grade) e quello di non investimento (speculative grade)». Appunto, come stanno le cose? «Fca ha un debito a lungo termine di 10,7 miliardi di euro, e a breve termine di 7,2 miliardi. Complessivamente, stiamo parlando di 17,9 miliardi. A fronte di ciò, un patrimonio netto di 21 miliardi». E non va bene?

«No, perché le attività intangibili sono pari a 24,9 miliardi (13,4 di avviamento e 11,5 di attività intangibili pure) e queste sono molto simili a buchi finanziari, perché non corrispondono ad attività materiali in grado di fare soldi; inoltre sono difficili da valutare. In genere, si decurtano dal patrimonio, che in questo caso darebbe un valore negativo». Insomma, per Coltorti «qui non c’è un vero e proprio patrimonio netto a fronte del debito, e la vendita di Magneti Marelli produrrà il trasferimento di una certa quota di indebitamento a carico dell’acquirente. Insomma, è una mossa obbligata dalle circostanze». Le conseguenze, sempre secondo Coltorti, non tarderebbero a farsi sentire. «Chi fa il lavoro di Magneti Marelli in Europa? Bosch. Fca rischia di diventare tributaria dei tedeschi, che potrebbero dimostrarsi non disponibili a trattamenti privilegiati». Ma torniamo al bilancio. «Da un po’ di tempo – afferma Coltorti – Fca mostra una forte liquidità. Gli ultimi numeri pubblicati corrispondono a 12,6 miliardi, di cui 6,4 miliardi di depositi verso banche e 6,2 di titoli sul mercato monetario. Ora, non si capisce perché questi soldi non siano utilizzati per abbattere il debito. La liquidità costa, e si fanno ulteriori debiti per disporne. Delle due l’una: o questa liquidità è vincolata dalle banche o si preferisce tenere un rating peggiore piuttosto che rimborsare una parte del debito con quella liquidità».

 La domanda è: perché ora?

La risposta, secondo Coltorti, è che con i tassi di interesse in crescita conveniva far presto. Altrimenti l’acquirente avrebbe potuto ritirarsi.

Perché vendere adesso? Secondo Coltorti «la questione è quella dei tassi di interesse in crescita. In America c’è un grosso allarme in proposito: sono state fatte tante operazioni a lungo termine contando su tassi bassi; e fante fusioni che ora destano preoccupazione. Raramente queste ultime sono servite per dar vita a realtà più efficienti. Aziende più grandi non significa più funzionali, soprattutto quando non si è in grado di gestire la complessità dell’organizzazione che con queste operazioni si genera. Con le fusioni si arricchiscono i consulenti; e i manager che dopo queste manovre si occupano di realtà più importanti, e pertanto si sentono legittimati ad aumentarsi lo stipendio. Se la fusione non è calibrata provoca danni».

Secondo Coltorti, è il caso di Fca. «Marchionne ha svolto un grosso lavoro, ma non è stato in grado, come si è detto, di ridurre l’indebitamento finanziario, né di aumentare la qualità del prodotto. Di certo Fca non fa competizione ai top brand tedeschi. La Lancia era una macchina di lusso, ora è un’utilitaria a basso prezzo. Ma questo può essere dipeso dall’atteggiamento degli azionisti, che sono sempre stati inclini a far cassa. Si pensi che in ambito Fiat sono stati inventati il turbodiesel e l’Abs, ma invece di utilizzare queste scoperte sul mercato, di è preferito monetizzare cedendone a terzi l’utilizzo». Riassumendo, secondo Coltorti la fusione non ha portato grande efficienza; c’era necessità di raccogliere denaro, e la questione dei tassi in crescita impone di farlo subito.

 

 

L’economista Patrizio Bianchi, , ordinario di Economia applicata alla Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Ferrara

Bianchi: questa vendita non è un buon segnale per il Paese

A parte le questioni di cassa, ce ne sono altre due meritevoli di attenzione, secondo Bianchi: anzitutto l’asse portante della Fca si sposta sempre di più verso gli Usa; in secondo luogo, non è detto che le attività e lo sviluppo restino in Italia. In tutti i casi questa vendita non è un buon segnale per il Paese.  

Secondo Bianchi, a parte il «problema interno a Fca, quello di far cassa», ci sono due ordini di questioni. Il primo riguarda la “scelta Paese”. «Oramai – afferma Bianchi – sembra evidente l’intenzione di Fca di spostare l’asse portante delle attività in Usa. Per il gruppo, l’Italia conta sempre meno». E poi c’è la questione della strategia di lungo periodo. «Che cosa si vuole fare? – continua Bianchi – L’acquirente intende sviluppare la tecnologia in Italia o vuole farlo altrove? Perché fa una certa differenza. Lamborghini è senza dubbio interamente posseduta dalla tedesca Audi; ma la produzione e lo sviluppo di Sant’Agata Bolognese non sono stati posti in discussione. La proprietà è altrove, ma l’attività è qui. Anche da un punto di vista dell’avanzamento tecnologico. Ma qual è l’appeal dell’Italia, ora? Va sottolineato che il fatto che la vendita sia stata realizzata in questo periodo, sembra un messaggio chiaro di Fca al Paese Italia. Stiamo vivendo un momento di confusione istituzionale, e di scontro con i mercati, che non sono fatti solo da speculatori ma anche da investitori istituzionali, come i fondi pensione. Quello che posso dire è che, secondo me, la notizia della vendita di Magneti Marelli non è un bel segnale, al Paese e ai Mercati».

 

Magneti Marelli in Cina
Lo stabilimento Magneti Marelli in Cina

Chi è la Magneti Marelli, la multinazionale che fornisce componenti alle aziende dell’automotive

L’azienda è una multinazionale da 7,9 miliardi di fatturato (ultimo dato disponibile, relativo all’anno fiscale 2016) e 43mila dipendenti (di cui 10mila in Italia). E’ guidata dal Ceo Ermanno Ferrari, nominato proprio questo mese in sostituzione di Pietro Gorlier. Magneti Marelli opera come fornitore di prodotti soluzioni e sistemi ad alta tecnologia per l’industria automobilistica: sospensioni, cambio, quadri di bordo, sistemi di illuminazione, moduli plastici e altro. Ha sede centrale a Corbetta, nel Milanese. Quanto agli impianti di produzione, in Italia sono ad Amaro, dalle parti di Udine, ad Atessa (Chieti), a Bologna, e a Venaria Reale (Torino). Ma Magneti Marelli di stabilimenti produttivi ne ha in tutto il mondo: l’azienda è presente in Argentina, Brasile, Cina, Corea, Francia, Germania, Giappone, India, Malaysia, Messico, Polonia, Repubblica Ceca, Russia, Serbia, Slovacchia, Spagna, Stati Uniti, Turchia. Complessivamente, comprese quelle nel Belpaese, le unità produttive sono 85; e poi la società dispone anche di 15 centri di ricerca e sviluppo.

Va sottolineato che pur facendo parte di Fca, l’azienda fornisce tutti i maggiori car maker in Europa, Nord e Sud America e Asia. Opera, cioè, a livello globale, grazie a otto aree di business: Electronic Systems (quadri di bordo, infotainment & telematica, lighting & body electronics); Automotive Lighting (sistemi di illuminazione); Powertrain (sistemi controllo motore benzina, diesel e multifuel; cambio robotizzato e altro); Suspension Systems (sistemi sospensioni, ammortizzatori, dynamic system – sistemi di controllo dinamico del veicolo); Exhaust systems (sistemi di scarico, convertitori catalitici, silenziatori); Motorsport (sistemi elettronici ed elettromeccanici specifici per le competizioni con leadership tecnologica in Formula1, MotoGP, e altro); Plastic Components and Modules (componenti e moduli plastici per l’automotive); Aftermarket Parts and Services (distribuzione ricambi; e altro).

La Magneti Marelli prima del Duemila

La Magneti Marelli fu fondata nel 1919 con il nome di F.i.m.m., Fabbrica Italiana Magneti Marelli, frutto di una joint-venture tra la Fiat e la Ercole Marelli. Quest’ultima, ricorda il sito della società, era stata fondata nel 1891 ed era specializzata nella produzione di motori e apparecchi elettrici. Nello stabilimento Magneti Marelli di Sesto San Giovanni viene avviata, nel 1929, la produzione di batterie per autovetture. «Nel 1930 nasce il marchio Radiomarelli, per la commercializzazione di prodotti radio, e successivamente televisivi, di Magneti Marelli; l’anno dopo viene avviata la produzione di batterie per veicoli a trazione elettrica, sottomarini e illuminazione treni». Dal 1935 la produzione di candele per auto e moto contribuirà alla fama e alla popolarità dell’azienda. Sempre secondo il sito, nel 1956 «il Cern di Ginevra affida a Magneti Marelli la progettazione e la realizzazione delle unità acceleratici del più grande protosincrotrone del mondo. Negli anni a seguire l’azienda apre sedi in Turchia e in Brasile».

Nel 1984 l’headquarter viene spostato a Cinisello Balsamo, sempre dalle parti di Milano, e «tra il 1986 e il 1987 Magneti Marelli è protagonista di una importante riorganizzazione aziendale che ha come risultato la trasformazione in holding industriale, cui fanno capo importanti e prestigiose industrie in ambito automotive a livello internazionale, quali Weber e Solex nel campo dell’alimentazione e controllo motore, Veglia Borletti e Jaeger nel campo dei quadri di bordo e dei sistemi elettronici, Carello e Siem nel campo dell’illuminazione, marchi storici che affondano le loro radici nella tradizione industriale italiana ed europea fin dal lontano Ottocento. Le diverse specializzazioni industriali tecnologiche e le varie esperienze convergono per costituire un eccezionale patrimonio industriale, che ha consentito a Magneti Marelli di acquisire know-how e competenze tecnologiche straordinariamente ricche». Nel 1996 l’azienda apre una sede in Cina.














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