Cereda (Ibm): ci vuole una politica industriale per la digitalizzazione. Altrimenti…

di Filippo Astone e Laura Magna ♦ I programmi di Big Blue nell’Italia che rischia di perdere il treno delle nuove tecnologie. Le strategie su Intelligenza Artificiale, Blockchain e digital transformation. Mentre su Watson…

Si scrive artificial intelligence, si legge “accelerazione dell’Italia”. Parola di Enrico Cereda, presidente e amministratore delegato di Ibm Italia. «Bisogna nei prossimi 6, al massimo 9 mesi, portare le tecnologie dirompenti, che già si stanno diffondendo nel privato, anche nella Pubblica Amministrazione, o avremmo perso la partita della competitività». Nello specifico è proprio l’Ai, o intelligenza aumentata come Big Blue preferisce definirla per liberarla dalle accezioni che rimandano a concetti spaventosi – ma fantascientifici – come quello dei robot che si sostituiscono agli umani nel lavoro, «lo strumento in grado di cambiare le sorti non solo dell’industria ma dell’intero Paese. In questo processo di profonda trasformazione, soprattutto culturale, Ibm vuole essere protagonista». Un primo passo, molto più che formale, di questa partecipazione è la scelta di investire nel Pavilion di Porta Nuova a Milano, l’edificio a fianco di piazza Gae Aulenti, fino ad oggi conosciuto come Unicredit Pavilion, che sarà occupato dal colosso Usa dal primo trimestre 2019. L’idea è di farne un luogo simbolo dell’innovazione e del progresso tecnologico in Italia. Ci saranno gli uffici Ibm, certo, ma soprattutto molte attività di comunicazione e informazione.

 







Veduta notturna del Pavilion di Milano, nei pressi di piazza Gae Aulenti ( photo by Gianni Belloni ). Da inizio 2019 sarà gestito da Ibm

 

«Era una scelta obbligata: non avevamo bisogno dell’ufficio di lusso all’ottavo piano, ma di una sede avveniristica che rappresentasse un luogo di condivisione, con un piano terra dove tutti potessero entrare, ammirare, lavorare con noi sulle tecnologie che hanno la possibilità di cambiare questo Paese», afferma Cereda, aggiungendo che «il Pavilion non funzionerà solo da lunedì a venerdì dalle 8 alle 20, ma sarà messo a disposizione anche degli studenti di scuole medie superiori e delle maggiori Università italiane che il sabato mattina potranno andare a toccare con mano il futuro mentre lo si costruisce». Il commitment di Ibm sulla formazione è fortissimo ed è un caposaldo della strategia del gigante dell’It. Ecco l’intervista con il presidente e amministratore delegato di Ibm Italia.

 

Enrico Cereda,presidente e amministratore delegato di Ibm Italia a IBM THINK Milano 06-06-2018

 

D. Molte multinazionali dell’It sono impegnate nella formazione e hanno effettuato attività pro bono nelle scuole e nelle istituzioni, attività che non hanno un ritorno economico immediato per l’azienda ma hanno un valore enorme per il Paese. Ibm cosa fa in questo ambito in Italia?

R. Innanzitutto abbiamo aderito al progetto di alternanza scuola-lavoro, abbiamo coinvolto tanti colleghi che da volontari sono andati nelle scuole anche il sabato mattina a portare questo valore ai ragazzi. E continueremo a farlo: spetta alle aziende come la nostra diffondere una nuova cultura tecnologica nel Paese, dando il proprio contributo per la crescita di studenti e cittadini.

D. Per dare vita a quell’Italia digitale di cui si fa un gran parlare è necessario un piano, una sorta di politica industriale per la digitalizzazione?

R. In realtà Diego Piacentini, il Commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda Digitale, lo scorso anno ha lanciato un piano triennale, delineando alcuni problemi della Pa, come quello relativo ai dati che non si “parlano” e che oggi iniziano a comunicare attraverso la Network Data Representation. O come il tema dei pagamenti. Ora è senza dubbio necessario un piano molto aggressivo che punti su tutte le tecnologie che possano fare la differenza nel Paese. E ci vuole un piano strutturato anche sulle competenze, che sono il secondo gap da recuperare. Quando parliamo di competenze ci riferiamo sia a quelle che si possono sviluppare a scuola o all’università – o anche incentivando gli Its che oggi producono 8mila diplomati all’anno contro gli 800mila della Germania – ma anche e soprattutto a quelle necessarie per riqualificare le persone che sono già nel mondo del lavoro.

D. In questo momento, tuttavia, si respira un clima di incertezza in merito ai tassi di incremento del Pil, alla situazione macro e alla politica. Clima che rischia di minare la crescita e di danneggiare qualsiasi iniziativa positiva?

R. Si respira un clima di incertezza non limitato all’Italia, ma diffuso a tutta l’Europa. Le elezioni europee del prossimo maggio sono attese come quelle che cambieranno la connotazione del Parlamento europeo per la prima volta dal 1979, con la componente maggioritaria che non sarà più costituita dai socialisti o dal Ppe come da tradizione. Probabilmente gli schieramenti dominanti saranno diversi e nuovi. Ed è un anno critico perché scadono mandati importanti, come quello della Bce. Ci aspettano insomma mesi sfidanti. In questo contesto, l’Ict continua a mostrare i muscoli: ed è in controtendenza, ma per quanto riguarda il nostro Paese il nodo critico resta la Pa.

 

Il Parlamento Europeo, riunito in sessione plenaria (photo by MichalPL): Secondo Cereda le prossime elezioni saranno uno dei momenti importanti per la definizione dei trend di sviluppo futuri

D. Rischiamo di perderlo questo treno del cambiamento?

R. Sono convinto che i prossimi 12,18 mesi siano cruciali, ma bisogna abbattere barriere soprattutto culturali per poter fare la differenza. Il treno sta passando e dobbiamo prenderlo al volo. Ibm c’è, vuole giocare un ruolo centrale nella trasformazione del Paese, supportare tutte le azioni di governo che vadano a indirizzare le modalità attraverso cui la tecnologia può contribuire all’economia nazionale. C’è molto da fare sulla pubblica amministrazione. La nota positiva è che c’è finalmente attenzione sulla necessità di spingere l’acceleratore sulla semplificazione, che è un obiettivo ottenibile solo attraverso la digitalizzazione. Dunque, è necessario prima rivedere i processi in ottica digitale e poi si potrà avviare il progetto complessivo di trasformazione. Se questo governo porterà a termine il progetto per semplificare la vita del cittadino, la vita delle imprese e le interazioni tra cittadini, imprese e Pa ne trarranno benefici enormi nei mesi a venire.

Abbiamo visto negli ultimi mesi investimenti massicci da parte delle imprese private, anche grazie agli stimoli dei provvedimenti legislativi di Industria 4.0; ora bisogna spostare il focus perché la Pa sfrutti al massimo le potenzialità che Iot, blockchain e cloud possono offrire e grazie a cui il Paese potrebbe recuperare il gap di competitività. Non è un semplice auspicio. Questo è il momento di agire e ritengo ce ne siano tutti i presupposti: se non cogliamo l’occasione di portare queste tecnologie dirompenti dentro la nostra struttura pubblica avremo perso. Sono convinto che se facciamo fronte comune tra imprese, istituzioni, università e Pa possiamo ottenere risultati interessanti. La prima cosa da cambiare, ed è la sfida più complessa, è la cultura: instaurare nuovi processi su cui poi inserire le tecnologie.

 

Ginny Rometti, CEO IBM
Ginny Rometti, CEO Ibm, al Fortune Most Powerful Women Summit in Laguna Niguel, CA.

 

D. Cambiare la cultura: un obiettivo che per il nostro Paese è sempre complesso da centrare. Ma parliamo di Ibm: come è cambiata nel tempo e come intende mutare ancora negli anni venturi?

R. Ibm non è mai cambiata, o meglio cambia tutti gli anni. Non è un paradosso. Il fatto è che Ibm, da quando esiste, agisce in due modi. Il primo è quello di anticipare i trend del mercato, il secondo consiste nell’adeguarsi ad esso. Questo modo di agire spiega come mai siamo in pista da 100 anni, mentre i nostri competitor sono diversi anche rispetto a quelli che consideravamo taliventi o dieci anni fa.

D. Il vostro prodotto di punta, nonché principale veicolo di comunicazione, è Watson: cos’è e quante sono le applicazioni in Italia?

R. Watson è la nostra piattaforma di Ai per le imprese. E sta andando verso la specializzazione: stiamo focalizzando il prodotto sulle esigenze di singoli comparti industriali. Per esempio, con Watson Financial Services aiutiamo le aziende a gestire regolamenti nuovi e in evoluzione; con Watson Health offriamo soluzioni complete che coprono l’intero ciclo di vita di un farmaco: dalla velocizzazione della scoperta alla trasformazione dello sviluppo clinico e il monitoraggio della sicurezza del farmaco stesso; dalla conoscenza degli insight di mercato alla comunicazione efficace del valore clinico per il mondo reale. Abbiamo realizzato specializzazioni anche per l’Iot, trasversali a più settori, e per l’advertising, per il customer engagement, per l’education, per i media, per il talent e per il work, l’e-commerce, il marketing. Si tratta di un prodotto ad alto valore aggiunto.

Ad oggi le istallazioni in Italia sono una trentina. Ma parliamo di tecnologie pervasive basate sul cloud, dunque accessibili a tutti, alla grande come alla piccola e piccolissima azienda. Non ci siamo dati dei target di diffusione, ma sappiamo che si tratta di qualcosa che è applicabile potenzialmente a tutto il mondo produttivo italiano. Watson è il precursore di tutte le soluzioni basate sull’intelligenza aumentata che sono nate più di recente. E coincide con Ibm: non è un caso che si chiami come Thomas Watson, il nostro presidente e amministratore delegato tra il 1914 e il 1956, che portò l’azienda a essere il colosso e la potenza economica globale che oggi conosciamo.

 

IBM's Global Center for Watson IoT in Munich, Germanyjpg
IBM’s Global Center for Watson IoT a Monaco

 

D. Watson si basa su Ai e mira dunque a portarla ovunque nelle organizzazioni per renderle più efficienti e competitive. Di Ai sono piene le cronache, ma al di là del nome che spesso crea scompiglio e genera paure ingiustificate, stiamo parlando di un software con grandi capacità di calcolo. Il concetto è passato o prevale ancora la reticenza dell’ignoranza?

R. Noi, proprio per questo, innanzitutto parliamo di intelligenza aumentata e non di intelligenza artificiale. E utilizziamo questa definizione dalla partita a scacchi, nel 1996, tra la macchina Deep Blue e il campione mondiale Garri Kasparov, la prima mai giocata tra un software e un essere umano. Vinse Kasparov il primo round, ma poi Deep Blue si rifece con il match di rivincita. Da quel momento, probabilmente, sono nate tutte le leggende sui robot che ci avrebbero sostituito anche nel pensiero. Mentre è vero il contrario: oggi in Italia a fronte di tassi di disoccupazione a doppia cifra, restano sul tavolo delle aziende migliaia di richieste insoddisfatte di competenze: circa 150mila posti vacanti nati dall’industria 4.0 che non trovano occupanti con professionalità adeguate e che gridano vendetta. L’Ai, o intelligenza aumentata che dir si voglia, va dominata e compresa a fondo, non temuta. No, non lo si è ancora del tutto compreso.

 

Deep Blue, il computer Ibm che ha battuto Garry Kasparov (Copyright James the photographer)

 

D. Un’ulteriore tecnologia su cui Ibm punta in maniera decisa è la blockchain. Un’attenzione così forte da differenziarvi dalle altre multinazionali dell’Ict. Certo, tutti parlano di blockchain, ma nessuno sembra puntarvi così forte come Ibm. Come mai? E quali prodotti e servizi sono sulla rampa di lancio?

R. Quando pensiamo a turismo, logistica, agli stessi processi di semplificazione della Pa, blockchain può essere dirompente perché crea un sistema di fiducia tra le parti, elimina gli intermediari e disegna da zero interi processi di business. Pensiamo che nei prossimi anni questo possa essere un fattore differenziante per le organizzazioni che sceglieranno di adottarlo. In questo momento stiamo realizzando su blockchain due progetti che sono già pubblici e di cui possiamo parlare. Il primo è con Walmart, JD.com e il laboratorio ingegneristico nazionale di tecnologie e-commerce dell’Università di Tsinghua, ed è una blockchain per la sicurezza alimentare. L’obiettivo è creare un metodo basato su standard di raccolta dati circa l’origine, la sicurezza e l’autenticità del cibo, utilizzando la tecnologia blockchain per fornire tracciabilità in tempo reale attraverso la supply chain. Ciò favorirà l’affidabilità e darà ai fornitori, ai regolatori e ai consumatori una miglior comprensione e trasparenza relativamente a come il cibo è gestito dal produttore al consumatore. Obiettivo non banale, visto che i tradizionali sistemi di condivisione di dati complessi e frammentari sono spesso cartacei e soggetti a errore.

 

Maersk+Wire+Image+final+3
TradeLens è la joint venture Ibm -Maersk per la logistica del trasporto containers via mare

 

D. La seconda applicazione invece è nel settore della logistica. Ce la racconta?

R. L’altro progetto è quello che si è concretizzato nella jv TradeLens, partecipata a metà da Ibm e Maersk, società leader nel trasporto dei container via mare. La jv mira ad automatizzare i flussi logistici eliminando i colli di bottiglia che generano sprechi enormi. Si calcola che annualmente vengano spediti via mare beni per un valore di 4mila miliardi di dollari e l’80% di tutti quelli che usiamo ogni giorno. In media però il 15-20% del costo si trasporto dipende dalla gestione dei documenti e ci sono tratte, come quella New York – Amsterdam, dove la quota arrivava addirittura al 50%. Grazie a TradeLens riusciamo a tagliare questi costi inutili e portiamo valore aggiunto sulla catena logistica del trasporto navale: vogliamo diventare l’utility dei servizi digitali per il commercio globale, offrendo una piattaforma aperta a tutti gli operatori del trasporto mercantile nel mondo e inaugurerà, a nostro modo di vedere, una nuova era per il trasporto marittimo e in generale per il supply chain management.














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