È ora di ripensare l’orario di lavoro ed estendere lo smart working ai blue collar. Strategie per arginare la great resignation. Con Cefriel

di Barbara Weisz ♦︎ La digitalizzazione riduce progressivamente le differenze fra white collar e blue collar in termini di organizzazione del lavoro, le macchine possono occuparsi delle mansioni routinarie e a scarso valore aggiunto, non solo in fabbrica ma anche negli uffici. Per farlo è necessario un ripensamento organizzativo dell'intero mondo del lavoro, anche a livello normativo e contrattuale. E formazione specifica. Se ne è parlato durante il General Meeting Cefriel 2023, dedicato al "Senso del lavoro". Con Mariano Corso, Marco Bentivogli, Francesco Seghezzi, Alfonso Fuggetta

La digitalizzazione non richiede solo nuove professionalità, nuove competenze, nuova formazione. Cambia i paradigmi fondamentali del mondo del lavoro: l’orario e il luogo di lavoro. Negli uffici, dove lo smart working è ormai regolamentato e praticato in tutto il mondo. Ma anche in fabbrica. «L’operaio 4.0 ha tantissima parte dell’attività programmabile, e non vincolata dal punto di vista dell’orario e del luogo», sottolinea Mariano Corso, docente di leadership & Innovation del Politecnico di Milano. «Negli uffici è piu facile la remotizzazione, ma anche nelle fabbriche avvengono queste nuove forme di organizzazione del lavoro» aggiunge Marco Bentivogli, fondatore di Base Italia. Il Covid ha velocizzato una serie di cambiamenti che erano già in atto (la legge sullo smart working è del 2017), cogliendo in contropiede molte organizzazioni: ma una volta che l’ostacolo culturale è stato superato, e quello regolatorio pure, non c’è motivo per pensare che il passo dall’ufficio alla fabbrica sia particolarmente lungo. «Quando dico che il digitale cancella le mansioni routinarie, ripetitive, tutti pensano agli operai», rileva Bentivogli.

In realtà, sta succedendo in larga misura anche a livello impiegatizio. Allo stesso modo, si tende a pensare che il lavoro a distanza riguardi in particolare i white collar, sottovalutando forse le trasformazioni organizzative che avvengono fra i blue collar. Robotica, intelligenza artificiale, IIoT, fondamentalmente rendono meno manuale il lavoro operaio e tendono ad avvicinare progressivamente i due mondi, quello dei white e dei blue collar. Tutto questo impone continui aggiornamenti di modelli organizzativi, che le imprese spesso faticano ad affrontare. «Tutti abbiamo la consapevolezza che la sfida è decisiva, perchè è un periodo difficile, siamo in una situazione un po’ paradossale, dove ci sono diverse verità che si scontrano» rileva Alfonso Fuggetta, ad e direttore scientifico del Cefriel: «chi dice che non c’è lavoro, che le persone non trovano un lavoro adeguato alla propria professionalità, alla prorpia dignità» e allo stesso tempo ci sono «le difficoltà delle aziende che non trovano personale, e non semplicemente perchè danno stipendi bassi. Ci sono anche quelle che lo fanno. Ma ci sono anche quelle che in buona fede cercano persone di qualità, e fanno fatica a trovarle». Non è un caso se i termini che vengono usati per definire i cambiamenti in atto variano da “sfida epocale” a “quarta rivoluzione industriale” a “permacrisi”.







Francesco Seghezzi, presidente di Fondazione Adapt,

E non è un caso nemmeno che tutto questo sia stato al centro del general meeting Cefriel 2023, dedicato al “Senso del lavoro”. Bentivogli ha ricordato il famoso slogan “otto ore di lavoro, otto ore di svago e otto ore per dormire”: risale all’inizio del diciannovesimo secolo. «Era un’idea di lavoro», sintetizza. Ebbene, intorno a quell’idea si sono costruiti due secoli di storia del lavoro. Ma senza orario di lavoro, quell’idea va ripensata. Magari, correggendo il tiro rispetto a quanto fatto fino a oggi. Una serie di dati ed elementi emersi negli ultimi anni, sottolinea Francesco Seghezzi, presidente di Fondazione Adapt, «ci dicono che qualcosa abbiamo sbagliato, su come abbiamo pensato il lavoro. Le aziende non riescono a costruire appartenenza, i lavoratori quando trovano opportunità migliori (da un punto di vista economico, ma non solo) si dimettono. È la cosiddetta great resignation, che il giuslavorista preferisce chiamare grande turnover, in riferimento alla realtà italiana, che non consente di prendere facilmente la decisione di lasciare un posto di lavoro senza averne un altro.

Spunti, elementi di riflessione ed esempi pratici sono stati forniti da Cristina Tajani, docente del Politencico di Milano, che si è concentrata su demografia, salari e competenze. Donatella Sciuto, rettore del Politecnico di Milano («se l’incertezza è la nuova normalità, dobbiamo dare agli studenti gli strumenti per mettersi in gioco di conseguenza – rileva -. Il nostro compito è formare la persona, a livello di crescita umana e professionale. Non fornire competenze verticali, obsolete in pochi anni»). Letizia Barbi, responsabile hr di Allianz (che come vedremo ha messo a punto un modello di smart working), e Lisa Manzan, Hr education, training & internal communication manager di Geox, hanno portato esperienze pratiche, e Riccarda Zezza, founder e Ceo di Lifeed, hanno portato esperienze pratiche. Ad analizzarli tutti, si potrebbe continuare all’infinito. Abbiamo cercato di focalizzarci sui cambiamenti che promettono di diventare strutturali. Anche attraverso alcune domande poste a Mariano Corso, Marco Bentivogli e Francesco Seghezzi.

Tre trasformazioni in atto

Bentivogli individua tre grossi filoni:

  • trasformazione demografica: «nei prossimi 30 anni, ci saranno 8 milioni in meno di persone in età attiva»;
  • trasformazione ambientale: incide su diverse dimensioni, dai nuovi parametri Esg, ai prodotti, alle normative (si pensi ai piani europei Fit for 55);
  • trasformazione digitale: come detto, «la veloce e profonda di tutte le transizioni che abbiamo visto fin qui». Proprio perchè, fra le altre cose, «opera uno scongelamento del tempo e dello spazio di lavoro».

Spazio e tempo, ovvero luogo e orario di lavoro

Alfonso Fuggetta ha scritto un libro sul tema dell’occupazione. Si intitola Un bel lavoro, ed è pubblicato da Egea

Partiamo da quest’ultimo concetto. Lo scongelamento del tempo riguarda «le rigidità degli orari». Non è una cosa da poco. Il parametro tempo è quello «attraverso cui si costruisce la remunerazione». Quindi, il fatto che sia sempre meno rilevante, incide su un aspetto a dir poco fondamentale, ovvero al retribuzione e il modo in cui declinarla nei contratti. L’ex segretario generale Fim Cisl propone un esempio concreto relativo al contratto dei metalmeccanici: la paga oraria di determina in base a un indicatore di professionalità moltiplicato per il tempo. Che però, nello scenario attuale, sta appunto perdendo valore nella ricostruzione della professionalità.

Lo scongelamento dello spazio ha invece a che fare con «l’inesorabile divorzio fra attività e luogo di lavoro». E qui siamo allo smart working. Il boost Covid in questo ha lasciato il segno, pur essendo tornati in presenza i lavoratori hanno spesso mantenuto spazi di smart working, che le imprese hanno introdotto nella prassi e nei contratti. Almeno per il momento, il fenomeno ha riguardato per lo più i white collar. Ma, e qui sta una delle grandi sfide del futuro, sta già arrivando anche in fabbrica.

Lo smart working in fabbrica

Gli esperti sono convinti che il trend proseguirà, di pari passo con l’evoluzione tecnologica e con la capacità del sistema produttivo di adeguare di conseguenza i modelli organizzativi. «Abbiamo stereotipi che tendono a confinare lo smart working nel mondo dei servizi e dei white collar – rileva Mariano Corso -. In realtà la tecnologia ha un impatto importante in termini di creazione di gradi di libertà in mansioni di front office, oggi molte aziende lo applicano già sulla manutenzione, ma anche nella manifattura dove c’è un lavoro a squadre. Grazie alla tecnologia, si creano una serie di opportunità che vanno utilizzate per creare modelli di organizzazione che riescano a dare più autonomia e organizzazione, non solo agli individui ma anche alle squadre. E questo vuol dire poter andare verso i principi dello smart working, questa è la vera sfida». Quindi, in fabbrica lo smart working da una forma specifica di organizzazione del lavoro. Ed è «la digitalizzazione a spostare completamente il trade off, l’operaio 4.0 ha tantissima parte dell’attività programmabile, non vincolata dal punto di vista dell’orario e del luogo». Fra l’altro, «questo vale per la fabbrica ma anche per tutta la customer interaction. Nel lavoro di sportello si può ripensare la modalità di lavoro, creando maggiore produttività e al tempo stesso maggiore opportunità di un lavoro più dignitoso e intelligente».

Una chiacchierata con Alfonso Fuggetta, nella quale affrontiamo il tema del Pnrr e, soprattutto, sul giusto approccio al lavoro per ottenere più valore

Bentivogli introduce elementi di complessità al ragionamento. Orari e spazi di lavoro stanno cambiando anche in fabbrica, dove però è più evidente che in altri ambiti professionali «un problema del lavoro che con più difficoltà si remotizza». Secondo l’ex sindacalista, questo è uno degli elementi che portano all’esigenza di «ridurre gli orari di lavoro. Non per legge, ma per via contrattuale». Il motivo: «lo scongelamento del tempo che il digitale offre deve portarci a immaginare nuove forme di organizzazione del lavoro che riducano gli orari a chi deve fare lavoro di prossimità con la macchina, o con le persone. Altrimenti si crea una polarizzazione fra il lavoro remotizzabile e mansioni che invece hanno una necessità di presenza più difficilmente svincolabile».

Gli architetti del lavoro

Marco Bentivogli, fondatore di Base Italia

E poi, bisogna definire lo smart working (anzi ridefinire, rispetto all’attuale regolamentazione contenuta nella legge 81/2017). Magari, con un approccio nuovo. «Le percentuali, il numero di ore, sono un’indicazione – sottolinea Bentivogli – Ma serve una nuova figura, gli architetti del lavoro, persone in grado di ridescrivere il lavoro che serve, il lavoro bello, il lavoro ben fatto insieme agli altri. Per questo, bisogna separare le attività che si fanno molto meglio da remoto. se si pensa solo a remotizzazione e fattori tecnologici abillitanti, non si coglie il buon smart working».

Questa necessità di ripensare “il senso del lavoro” in realtà è più ampia di così. Sia a livello di regole del lavoro (quindi, contrattazione), sia a livello di organizzazione aziendale. Seghezzi rileva una serie di elementi rispetto ai trend degli ultimi anni. Al livello medio basso del mercato del lavoro, c’è un grande flusso dalla ristorazione alla logistica. Quindi, verso un settore che offre salari, orario di lavoro definito. A parità di salario, e con una possibilità di crescita limitate, le persone vanno dove lo stipendio è migliore e l’orario è definito.

Al livello medio alto del mercato, invece, «c’è un’eccessiva attenzione a valutare solo le performances, che lascia sullo sfondo la persona», e risulta poco incentivante. E in generale, forse un po’ trasversalmente, c’è il tema della difficoltà a crescere a livello economico nelle aziende. «L’anzianità resta l’unico criterio, salvo qualche premio sporadico».

E quindi, anche secondo Seghezzi, c’è la necessità di «riscoprire il senso del lavoro. Non solo parlandone, ma riorganizzando il lavoro per recuperare dimensioni di senso», in materia di organizzazione, gestione di tempi, luoghi, formazione, percorsi di carriera, welfare.

L’esperienza di Allianz

Letizia Barbi, responsabile hr di Allianz

In Allianz, in materia di smart working è stata fatta una scelta premiata da top employer come una best practice, racconta Letizia Barbi, responsabile Hr. Il colosso assicurativo non prevede nessun obbligo in questo senso, il 75% dei dipendenti ha scelto di lavorare anche da remoto. Con la seguente formula: i dipendenti lavorano da casa il 50% del tempo e in ufficio il restante 50%, in coppia. Nel senso che due colleghi si mettono d’accordo e fanno i turni. Questo, in totale autonomia (nel senso che sono liberi di gestirsi questa turnazione). Possono decidere di mettersi d’accordo di volta in volta, di stabilire scadenze quotidiane, settimanali, mensili. «Naturalmente, questi cambiamenti vanno accompagnati – sottolinea Barbi -. Facciamo percorsi di formazione, anche per l’utilizzo delle tecnologie che abilitano il lavoro ibrido».














Articolo precedenteChe cosa c’è all’interno di una smart factory? Viaggio tra le tecnologie di Bi-Rex
Articolo successivoTerna: a marzo calano (-5%) i consumi elettrici in Italia. Crescono le rinnovabili (+33,5%)






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui