E se ripensassimo radicalmente il ruolo di Cdp sullo scacchiere italiano?

di Marco Scotti ♦︎ Lo propone attraverso Industria Italiana Stefano Caselli, pro-rettore della Bocconi. Che pensa che la Cassa diretta da Fabrizio Palermo possa avere un ruolo molto più ambizioso nella nuova economia più Stato-centrica post-Covid: acceleratore della crescita dimensionale delle aziende italiane, anche attraendo capitali stranieri. È infatti impensabile che solo sei aziende italiane (Generali, Eni, Enel, Intesa Sanpaolo, Unicredit e Poste) figurino nella Global 500 di Fortune. Le partite Tim, Alitalia e Autostrade per l'Italia. E su Stellantis e Fincantieri...

«L’Iri ha avuto un ruolo fondamentale per la crescita strategica del Paese. Lo stesso deve fare Cassa Depositi e Prestiti: deve essere una piattaforma per attrarre gli investitori stranieri in Italia. Serve una svolta dimensionale per le nostre aziende: è impensabile che nelle prime 500 al mondo solo sei siano italiane». Stefano Caselli, prorettore agli Affari Internazionali dell’Università Bocconi di Milano e autore del libro “La grande tentazione” (Bocconi Editore – Egea), racconta a Industria Italiana perché non ci sia nulla di male nella presenza del pubblico nell’economia. A patto che vengano rispettati paletti precisi in termini di redditività e di ritorno dell’investimento e che si individuino settori strategici su cui puntare. Le sei aziende cui fa riferimento l’economista, inserite nella Global 500 di Fortune, sono (in ordine di fatturato): Assicurazioni Generali, Enel, Eni, Intesa Sanpaolo, Poste Italiane, Unicredit. Di queste, solo la compagnia triestina figura tra le prime 100.

 







D. Professor Caselli: mai come ora si torna ad aggiungere l’apposizione “di stato” a settori nevralgici dell’economia. L’acciaio di stato, la compagnia aerea di stato… Che ruolo deve avere il pubblico?

Stefano Caselli, prorettore agli Affari Internazionali dell’Università Bocconi di Milano

R. Partiamo dall’assunto che l’esperienza di Iri è stata di fondamentale importanza. Aveva un disegno molto chiaro, cioè essere il grande contenitore delle partecipazioni di stato, che doveva permettere di orientare lo sviluppo industriale del Paese in settori ritenuti strategici per l’accrescimento della nostra economia. Il disegno, quindi, aveva una sua chiarezza. Poi ovvio, l’Iri ha avuto vari passaggi, ma c’era una lucidità di fondo che ha permeato l’attività dell’Istituto.

 

D. E oggi? Si vuole tornare all’Iri?

R. Non ci sono più le condizioni. E io ritengo che la presenza dello Stato nell’economia debba esser meno netta. E non si tratta di un giudizio negativo, ma piuttosto della necessità di ridisegnare un sistema un po’ congestionato. Oggi abbiamo almeno tre fronti in cui lo Stato è presente: da un lato c’è il Mef, che è la sede delle partecipazioni dirette in alcune quotate. Poi c’è Cassa Depositi e Prestiti, a maggioranza statale, che interviene a sua volta nell’economia con una pluralità di strumenti, che vanno da Cdp Equity al Fondo Italiano di Investimento fino a Patrimonio Destinato. Infine c’è l’intervento in economia attraverso la regolamentazione. Ad esempio, se si parla di golden share, non è una partecipazione diretta, ma un modo per far sentire il proprio peso.

 

D. Un disegno complesso: come se ne esce?

Fabrizio Palermo, amministratore delegato di Cdp

R. Tutto ruota intorno al ruolo che deve avere Cassa Depositi e Prestiti, perché è uno strumento che ha una grandissima magnitudine. Ha una dimensione gigantesca ed è quindi abbastanza inevitabile che il modo in cui interviene caratterizzi l’impronta dello stato nell’economia. Dunque, Cdp ha un ruolo fondamentale. A patto…

 

D. A patto?

R. Che si fissino dei paletti ben precisi. Deve agire come piattaforma per attrarre e coordinare investitori internazionali. Cdp, poi, deve giocare un ruolo come investitore diretto solo se questo è funzionale allo sviluppo del Paese: aprire il mercato in aree difficili da sviluppare, promuovere infrastrutture, lanciare iniziative per gli investitori. Ci deve essere un disegno strategico perché non dimentichiamoci che si tratta dei risparmi postali: devono essere investimenti con un profitto, ancorché minimo, ma che deve per forza esserci.

 

D. Come investitore diretto come fa a distinguere quali sono i dossier su cui puntare?

“La grande tentazione” (Bocconi Editore – Egea) di Stefano Caselli, prorettore agli Affari Internazionali dell’Università Bocconi di Milano

R. È semplice: devono essere interventi che contribuiscono a una chiara crescita dimensionale delle aziende. Deve contribuire all’incremento del pil e dell’occupazione. Ad esempio è incredibile che non si stia puntando sul settore della ricerca di base. L’Italia e l’Europa sono rimaste indietro. Se vogliamo rifarci all’esperienza dell’Iri, bisogna ricordare che questa ha permesso uno sviluppo dell’intero sistema Paese. Oggi è impensabile che solo sei aziende nelle prime 500 al mondo siano italiane. Non possiamo competere se siamo a questo livello dimensionale. Sono queste le domande importanti per Cdp.

 

D. Veniamo a qualche nome: Alitalia meritava un “gettone” da parte di Cassa Depositi e Prestiti?

R. Teoricamente sì, perché si tratta di un asset strategico. Tutti i grandi paesi hanno una capacità di connessione a livello globale, però Alitalia si è cercata di salvarla un’infinità di volte. Per cui sono d’accordo con Cdp che ha preferito tenersene fuori per non bruciare risorse dei contribuenti.

 

D. Ma qual è il male oscuro di Alitalia?

R. Che non ha una strategia precisa. Qual è l’obiettivo? Avere Milano come hub business collegato a livello mondiale? Avere Roma come hub turistico? Se non affrontiamo domande di questo tipo Alitalia non la ristruttureremo mai, non c’è alcuna voglia di dare risposte di questo tipo. Altri Paesi hanno due hub e l’Italia ha una dimensione che consentirebbe di ragionare su uno “sdoppiamento”. Ma urge fare chiarezza. Senza la quale sarà impossibile salvarla.

 

D. Tornando all’Iri: nell’ultima stagione dell’Istituto si è proceduto con le privatizzazioni. Alcune non proprio riuscite, come nel caso di Tim. Come può aiutarla la Cassa che ha rilevato poco meno del 10% del capitale azionario?

Luigi Gubitosi, ceo di Telecom Italia

R. Tim ha un problema dimensionale: sono anni che mantiene la stessa dimensione. Il mio sogno sarebbe invece di vederla competere alla pari con altri soggetti. Dobbiamo porci l’obiettivo di raggiungere una massa critica in molti settori, altrimenti agiremo sempre e solo da “terzisti”.

 

D. Però l’ingresso dei capitali stranieri viene guardato con sospetto. Lo stesso Giorgetti ha dichiarato che è dubbioso sulla presenza dei francesi di Vivendi in una partita come la rete unica.

R. Non sono un purista da questo punto di vista. Non mi scandalizzo se ci sono investitori di altri Paesi. Ma voglio che questi capitali si trasformino in aumento dell’occupazione. E lo stato deve essere capace di attrarre capitali stranieri e domestici che fanno aumentare la massa critica.

 

D. Altra partita estremamente dibattuta è quella di Autostrade. È appena arrivata comunicazione da parte di Cdp di essere pronta a fare un’offerta sull’88% di Atlantia ma anche sul restante 12% del mercato. Che cosa ne pensa?

Luciano Benetton, uno degli azionisti di riferimento di Edizione Holding, capofila della catena di controllo di Autostrade

R. Sta diventando una vicenda un po’ troppo lunga, è stata dedicata energia eccessiva nel cercare di cambiare proprietà. Ma il tema vero è quello di garantire la sicurezza, porre degli obblighi, fissare delle linee guida molto stringenti. Il contribuente italiano non è molto interessato a chi possiede fisicamente la rete autostradale, in una sorta di volontà di fare giustizia: esistono i tribunali apposta per questo. Lo stato deve agire perché l’infrastruttura sia totalmente sicura, perfetta, in modo da tutelare i cittadini, non devono mai più accadere catastrofi come quella del Ponte Morandi. Invece dedicare molta energia a una trattativa infinita sul tema di prezzo vale la pena solo se c’è la garanzia che si otterrà la sicurezza totale dell’infrastruttura.

 

D. Che cosa abbiamo imparato da questo anno di pandemia? Quali sono i settori su cui bisognerebbe puntare per davvero?

R. Senza dubbio il mondo sanitario e della ricerca medica. Sono comparti critici, per certi versi persino più di quello militare. Anche perché non avremo soltanto il Covid, siamo agli albori di una nuova era in cui la ricerca bio-medicale diventa un asset strategico. E Cassa Depositi e Prestiti deve essere della partita e capire come coinvolgere capitale pesante.

 

D. E quindi torniamo al ruolo di Cdp: come snellire procedure ed evitare moltiplicazioni di enti simili che si sovrappongono, come nel caso di Invitalia?

Domenico Arcuri, ceo Invitalia

R. Diciamo che ci sono un po’ troppi strumenti, è arrivato il momento di una razionalizzazione e di un ripensamento anche per semplificare i passaggi con cui lo stato interviene nell’economia.

 

D. Dunque come muoversi?

R. Le linee di intervento devono essere tre. La prima è quella delle partecipazioni dirette, che mi piacerebbe che fossero un po’ più monitorate in termini di capacità di produrre occupazione e pil. Andrebbe adottata una strategia un po’ più esposta a criteri di mercato con linee guida specifiche. Il secondo “mondo” è quello dei fondi, in cui Cdp deve agire da co-investor, come piattaforma di attrazione. Infine c’è l’area delle infrastrutture, dall’edilizia scolastica agli acquedotti. E lo stato deve dire in modo molto chiaro dove e perché vuole intervenire. Deve farlo con una sorta di evidenza pubblica, quasi come se si trattasse di un “investor relator”.

 

D. Per concludere: perché nelle partite Stellantis, Stx-Fincantieri e molte altre ancora lo stato francese è intervenuto pesantemente mentre lo stesso non ha fatto l’Italia?

Carlos Tavares, ceo di Stellantis

R. La Francia ha una grande tradizione di statalismo che inizia addirittura con Napoleone. Quello che è noto e che ha sempre dichiarato come obiettivo è di accrescere la dimensione delle sue aziende. Un passaggio che manca all’Italia. E i risultati si vedono: la Francia ha 31 aziende nella top 500. Merito dello Stato? Forse è eccessivo attribuire tutti i meriti al “pubblico”, ma certo ha avuto un ruolo importante.

 

D. A quando una “Cdp europea”?

R. Sono un fan dell’Europa ma sinceramente sarei già contento se iniziassimo a vaccinare ai livelli americani. Poi, a mano a mano, si potranno fare anche delle cose più importanti. Pensiamo, ad esempio, alla possibilità di unire le forze per la ricerca sui vaccini e sul pharma. Per il resto è prematuro.














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