Bio-On: una nuova Parmalat o un gioiellino industriale sotto attacco speculativo?

di Marco Scotti ♦︎ L’azienda specializzata nelle bioplastiche fondata da Marco Astorri e quotata all’Aim è duramente criticata dal fondo speculativo Quintessential. Dove sta la verità? Ci sono reati? Non ci sono violazioni di legge ma l’azienda è un accrocchio con poca concretezza industriale come dice il fondo Qcm? Oppure è una spregevole montatura di speculatori spregiudicati per giocare al ribasso? Ecco tutti i particolari. In attesa che i nodi vengano al pettine…

L’Italia, e l’Emilia Romagna in particolare, sono di fronte a un nuovo caso Parmalat? O, al contrario, l’ennesimo fondo speculativo americano ha stretto gli artigli su una preda incolpevole, facendole perdere in un colpo solo tutta la credibilità guadagnata e soprattutto il 75% della capitalizzazione di Borsa? Stiamo parlando di Bio-on, per lungo tempo considerata, insieme a Yoox (oggi Ynap) uno dei rarissimi “unicorni” italiani,  ovvero imprese che hanno raggiunto rapidamente una capitalizzazione superiore al miliardo di euro.







Oggi, invece, questo player del comparto delle bioplastiche è travolto da una serie di polemiche. Dall’altra parte del ring c’è Quintessential Capital Management, un fondo speculativo a stelle e strisce che non nega in alcun modo il proprio interesse a far crollare la quotazione borsistica dell’azienda. Il ruolo del fondo, infatti, è di scommettere contro imprese che abbiano intorno a loro il proverbiale “hype”.

Bio-on è quotata in Borsa dal 2014, sul segmento Aim, con una raccolta iniziale di 6,9 milioni di euro a fronte di un flottante iniziale del 10,39% e un controvalore di poco superiore ai 66 milioni.

La scorsa settimana, infatti, il valore di Borsa è precipitato da 55 a circa 15 euro (prima di risalire prudentemente tra la fine della scorsa settimana e l’inizio di questa). Nella giornata di mercoledì 31 luglio, poi, un nuovo attacco da parte di Quintessential Capital Management ha fatto nuovamente sospendere il titolo per eccesso di ribasso. Alla base un report di Qcm intitolato “Una Parmalat a Bologna?” in cui ci si chiede quale sia la motivazione per cui la Bio-on ha oggi una capitalizzazione da un miliardo di euro. «Siamo giunti alla opinione – si legge nel report pubblicato da Qcm – che Bio-on sia un “castello di carte”, uno schema concepito dal management per arricchirsi sulle spalle degli azionisti». Accuse pesanti e circostanziate cui ha fatto seguito un carosello di repliche da parte della società bolognese e di controrepliche del fondo che hanno catalizzato l’attenzione della cronaca economica nelle ultime due settimana.

Attenzione, però: il condizionale è d’obbligo perché la Procura ha appena avviato le indagini necessarie per accertare se e come (e da parte di chi) vi siano state violazioni ed è quindi necessario attendere – per evitare brutte figure come quelle fatte da esponenti politici anche di spicco negli ultimi giorni – che si fissi un punto fermo. C’è qualcosa che non torna? Può darsi. Ma possiamo tirare conclusioni prima di avere in mano documenti che confermino o smentiscano le tesi del fondo americano? Ovviamente no.

La storia

Nel 2007 viene fondata a Bologna l’azienda Bio-On da due piccoli imprenditori fino ad allora sconosciuti: Marco Astorri, che oggi ricopre il ruolo di presidente, e Guido (detto Guy) Cicognani, vicepresidente. L’intento è quello di «operare – si legge nella sezione “mission” del sito della società – nel settore delle moderne biotecnologie applicate ai materiali di uso comune con lo scopo di dare vita a prodotti e soluzioni completamente naturali, al 100% ottenuti da fonti rinnovabili o scarti della lavorazione agricola». Il capitale sociale versato dai soci è di poco superiore ai 188mila euro, come si legge in un atto notarile del 30 aprile scorso in cui viene segnalato che sono così ripartite: la holding Capsa, riconducibile ad Astorri e Cicognani, possiede il 47,81% delle azioni (90 milioni di titoli), mentre i due founder detengono ciascuno il 6,6% del totale (anche se venerdì 26 luglio questa quota è aumentata). Il 2% è in mano alla Felofin S.p.A., mentre il resto è sul mercato.

Alla base ci sono i Phas, ovvero Polidrossialcanoati che dovrebbero permettere di creare una plastica 100% biologica e riciclabile dagli scarti di lavorazione agricola. La mission di Bio-on è operare «direttamente nel mondo agroalimentare, nel settore del design e degli accessori, nel settore della cosmetica, nel settore farmaceutico fornendo a tutti la tecnologia necessaria per produrre o utilizzare Phas con lo sviluppo delle relative caratterizzazioni» si legge ancora nel sito della società. Dunque, all’epoca si presentano come fornitori di tecnologia, non come produttori o industriali. Bio-on, attraverso il brand Minerv- Pha opera in tutto il mondo, principalmente utilizzando scarti della lavorazione di barbabietole e canna da zucchero per produrre Phas. Ricordiamoci bene questo acronimo, Pha appunto, perché è alla base dell’attacco frontale lanciato da Quintessential Capital Management contro l’azienda bolognese.

Il fatturato 2018 registra ricavi per 50,78 milioni di euro, in aumento di ben il 372%  rispetto all’anno precedente. La ragione di questa crescita esponenziale deve essere ricercata nell’esplosione mondiale del mercato delle bioplastiche, che provoca il boom dell’unico titolo quotato nel settore in Italia, e fra i pochissimi nel mondo. Novamont, leader europea nel settore e partecipata dall’Eni attraverso Versalis, non è quotata.

Marco Astorri, presidente Bio-On. Credit www.bio-on.it

L’accordo con Hera

Tra le ultime operazioni in porto, un accordo con Hera siglato alla fine del 2018 per la realizzazione di un impianto che “catturi” la Co2 dispersa nell’ambiente per creare i famosi Phas. La multiutility bolognese avrà una quota di questo nuovo stabilimento, il Lux-on, del 10%, che potrà accrescere fino al 49. Entro la fine di quest’anno, questa nuova struttura, alle porte di Bologna, sarà operativa. Sarebbe una piccola rivoluzione che Hera saluta con entusiasmo: trasformare l’anidride carbonica in bio-plastiche è un sogno che si realizza. Anche il mercato apprezza, tanto che a gennaio di quest’anno il titolo è ancora saldamente sopra quota 60 euro per azione. Poi per tutto il 2019 il valore si mantiene sopra i 55 euro. Fino al 24 luglio scorso, quando Qcm pubblica il suo report.

L’analisi di Qcm: davvero il Pha può salvare il pianeta?

Il Fatto Quotidiano è il primo giornale ad accorgersi che qualcosa non torna e, con il suo vicedirettore Stefano Feltri, verga un lungo articolo in cui asserisce che “i conti non tornano”. Perché? Perché la Quintessential Capital Management ha diramato uno studio su Bio-on che viene bollata come società potenzialmente esplosiva, in cui non si capisce quali siano le produzioni, quali le tecnologie e quali i ricavi. Doveroso precisare, però, che sul sito di Qcm si trova il seguente disclaimer: “Quintessential ha un interesse economico nella discesa del prezzo del titolo menzionato in questo documento. Tale interesse può cambiare senza preavviso. Consultare il “disclaimer” contenuto nei documenti informativi”. Va comunque detto che la magistratura non dovrà solo capire se i reati li hanno commessi i fondatori di Bio-On, ma anche se li hanno commessi gli esponenti di Quitessential che hanno diramato tali notizie. A questo proposito, la notizia dell’apertura del fascicolo per aggiotaggio riguarda soprattutto il fondo Usa che, ribadiamo, ha interesse a che il prezzo di Bio-on cali.

«Nonostante annunci altisonanti e progetti ambiziosi – si legge nel sommario del report di Qcm –, diversi anni dopo la sua costituzione Bio-on non ha ancora prodotto né venduto nulla in quantità significative, se non a scatole vuote da sé controllate o affiliate. Delle molte fabbriche annunciate negli anni, solamente una è stata realizzata, a prezzi esorbitanti e sembrerebbe non essere ancora completata o in produzione. La situazione finanziaria reale risulta precaria e la contabilità presenta serie irregolarità. Considerati i fatti nel suo insieme, riteniamo che la situazione di Bio-on sia insostenibile e che la società sia presto destinata al collasso totale».

La pubblicazione di Qcm, di cui riporteremo altri stralci, causa un fuggi fuggi generale dal titolo di Bio-on, che viene sospeso dieci minuti dopo l’apertura di mercoledì, a causa di un calo di oltre il 70%.

Un duro attacco arriva poi sul Pha, considerato un potenziale salvavita per il pianeta da parte di Bio-on ma trasformato in strumento già noto e per nulla risolutivo da Qcm. «La tecnologia Pha – si legge nel report – è basata su una scoperta effettuata quasi un secolo fa nel 1926. La Bio-on sostiene di possedere un metodo innovativo per i processi di produzione del Pha, tuttavia i nostri esperti hanno espresso forti dubbi anche sulla validità di queste affermazioni, peraltro mai dimostrate in concreto. Sebbene la produzione di piccole quantità (poche centinaia di cm3) di Pha sia più semplice, la fabbricazione di tonnellate di materiale presenterebbe difficoltà considerevoli per varie ragioni tecniche quali la contaminazione, la scelta e l’interazione dei diversi tipi di batteri, il controllo della temperatura, ecc. Inoltre, diversi scienziati hanno messo in dubbio il concetto di biodegradabilità delle bioplastiche e sembra che l’impatto sull’ambiente possa essere, in molti casi, addirittura più nocivo di quello delle plastiche tradizionali. La produzione di Pha su scala industriale non è solo ambizione della Bio-on, ma è stata tentata da diversi gruppi industriali in passato, molti dei quali con risorse finanziarie, tecnologiche e scientifiche ben superiori (per esempio Zeneca, Monsanto e Metabolix hanno provato e fallito nello svolgimento di un progetto analogo). Molti di questi tentativi non hanno avuto successo soprattutto per la difficoltà di trovare domanda per una plastica che risulta sensibilmente più cara di quella tradizionale. Diversi esperti hanno fatto notare come la Bio-on non abbia talento scientifico sufficiente per intraprendere i progetti dei quali dichiara di interessarsi. Nel 2017, per esempio, l’organico contava solamente 17 persone, la maggior parte delle quali senza background scientifico. Per esempio, Simone Begotti, “Chief Biologist” di Bio-on, non avrebbe neppure un dottorato di ricerca, ma solamente una semplice laurea in biologia».

sede di Borsa Italiana
La sede di Borsa Italiana

L’analisi di Qcm: le scatole cinesi

Tra i dati di bilancio più significativi per la Bio-on, c’è sicuramente da considerare un fatturato vendite superiore ai 50 milioni di euro: significa che la produzione di polimeri plastici biodegradabili rende, secondo l’azienda bolognese, una cifra aumentata di quasi quattro volte rispetto al 2017. O almeno, questa è l’opinione dell’azienda. Perché Qcm anche da questo punto di vista vede poco chiaro. «La Bio-on – si legge nel report – in realtà ha un fatturato ingannevole, costituito da “vendite” a società a sé affiliate o controllate. Inoltre, lo stato patrimoniale della Bio-on risulta a nostro avviso precario, essendo costituito soprattutto da crediti dalla dubbia recuperabilità e impianti realizzati con costi eccessivi che non sembrano economici visti i margini ottenibili sul mercato. In pratica la Bio-on sembra generare fatturato attraverso la costituzione di una serie di scatole vuote alle quali “vende” la propria tecnologia sotto forma di licenze. Queste “scatole” sono in parte o totalmente controllate dalla Bio-on, né condividono direttori e sedi legali e non sembrano avere quasi nessuna operatività, neppure anni dopo la loro costituzione. Per esempio, non hanno personale dedicato, non producono alcun prodotto né vendono a terzi».

Ecco quindi il secondo e forse più grave attacco: Bio-on sarebbe una semplice scatola al cui interno se ne trovano altre, in un meccanismo a “matrioska” che non produce nulla e che, anzi, rischia soltanto di creare buchi e andare contro al codice civile. Sì, perché per Qcm l’azienda bolognese avrebbe infranto gli articoli «2343 e 2343 bis Codice Civile a proposito della cessione e del conferimento delle licenze. Infatti, la Bio-on avrebbe dovuto seguire una certa procedura nell’assegnare il valore delle licenze cedute alle proprie partecipate, che invece sembrano aver ricevuto un valore arbitrario».

Ultimo dettaglio: i costi sostenuti per la realizzazione dell’impianto di Castel San Pietro (44 milioni di euro) a fronte di una produzione teorica di 1.000 tonnellate all’anno, farebbero aumentare i costi rispetto ai competitor di circa 15 volte. Metabolix e Novamont, infatti, due player del comparto delle bioplastiche, spendono rispettivamente 3.080 euro e 2.990 per tonnellata. Due valori oltretutto molto simili e lontanissimi da quelli indicati da Bio-on.

La conclusione del report è impietosa: «Abbiamo di fronte una realtà dove fatturato, impianti e crediti sono in realtà un castello di carte costituito da una serie di scatole vuote e modeste strutture realizzate con costi totalmente non-economici. Dopo oltre sette anni di attività (cinque dei quali come quotata), la Bio-on non sembra ancora essere riuscita a produrre nessun prodotto in quantità significativa o a vendere alcunché al di fuori del suo network di scatole vuote».

In realtà, nei giorni scorsi Bio-on ha convocato alcune tv per mostrare come l’impianto sia in funzione e riesca a produrre le bioplastiche, anche se ancora a ritmi ridotti. Perché, dichiara la società, i tempi di realizzazione di una tecnologia così innovativa non sono né rapidi, né permettono una produzione massiva di polimeri. Va anche precisato che quando Bio-On ha esordito sul mercato borsistico si è presentata come una start-up, e non ha mai dichiarato di voler diventare rapidamente un protagonista del mercato mondiale delle bioplastiche. Chi investe in una start-up dovrebbe sapere che si tratta di poco più di un progetto e che il successo, se arriva, richiede tempi lunghi.

Inquinamento ambiente

La replica dei soci

Facile prevedere che i soci forti, Astorri e Cicognani, non avrebbero aspettato molto per ribattere punto su punto. A borse chiuse, il 24 luglio stesso, i due founder rispondono con una nota stampa che minaccia azioni legali. «L’impianto produttivo di Pha – si legge nella nota della società – costruito da Bio-on S.p.A. in località Castel San Pietro Terme (Bo), con capacità annua di 1.000 t/y, è operativo, in produzione ed è centrale per il business della Società nell’ottica di standardizzare la produzione di Pha con la propria tecnologia, provata sul piano industriale, e di accelerarne la diffusione nel mercato dei bio-polimeri. La produzione sinora raggiunta è stata al momento utilizzata dalla Società per la realizzazione di prodotti solari nell’ambito della joint venture Aldia S.p.A. in partnership con Unilever (comunicati del 28 gennaio 2019 e 8 aprile 2019) e di arredamento nell’ambito della partnership con Kartell S.p.A. (comunicato 8 aprile 2019), già in vendita sul mercato».

Ma il tema più scottante, naturalmente, è quello relativo alle licenze cedute a terzi e al fatto che queste società siano in realtà parte integrante della holding dei due founder, creando così un gioco di scatole cinesi in cui costi e utili vengono di volta in volta ripartiti tra Bio-on e altri “satelliti” senza che, in realtà, vi sia un vero e proprio scambio di merci o di competenze. «Con particolare riferimento alle concessioni di licenze per il diritto d’uso dei risultati della proprietà intellettuale – si legge ancora nella terza nota emessa da Bio-on il 24 luglio scorso –, essa avviene in base ad accordi contrattuali sottoscritti tra le parti. Tali concessioni possono avvenire nei confronti di terze parti o a joint venture costituite con primarie controparti industriali interessate allo sviluppo congiunto di materiali bioplastici e/o alla produzione di Phas. In base agli accordi contrattuali, le licenze concesse a terzi non comportano nessuna attività successiva da parte del Gruppo Bio-on e pertanto il ricavo si ritiene interamente realizzato in base ai principi contabili di riferimento così come descritti in bilancio. Per le concessioni effettuate nei confronti delle joint venture, il ricavo di concessione viene rettificato indirettamente nell’ambito del processo di valutazione delle partecipazioni con il metodo del patrimonio netto in modo tale che ai fini della formazione del risultato economico del periodo concorrano solamente le concessioni di licenze effettuate direttamente o indirettamente con terze parti. Per la Società, il ritorno dell’investimento è garantito sia dal corrispettivo di concessione delle licenze per il diritto d’uso, sia dalle future royalties che saranno pagate alla Società a fronte dello sviluppo delle attività industriali e dei servizi aggiuntivi che le singole JV richiederanno nell’ambito dello svolgimento della loro attività operativa. Si precisa che tutte le joint venture a cui partecipa la Società sono di recente costituzione e alla data del 31 dicembre 2018 non risultavano ancora operative in termini di vendite a clienti terzi».

http://www.industriaitaliana.it/le-aziende-devono-prepararsi-unepoca-bassi-profitti/

Il secondo round: l’accusa di Qcm non arretra

Ribadiamo ancora una volta: Qcm non è un Robin Hood dei giorni nostri né un paladino dei risparmiatori: si tratta di un fondo americano che ha redatto in passato altri report su aziende giudicate “ballerine” e che puntualmente ha smascherato situazioni poco chiare. E ha un interesse preciso: che il prezzo di Bio-on cali rispetto ai 55 euro fatti registrare il 23 luglio scorso. Finita qui? Neanche per idea. Quintessential Capital Management non ci sta né a passare per faziosa, né tantomeno a farsi smentire senza colpo ferire. Così, il 25 luglio, pubblica un nuovo documento in cui risponde letteralmente “punto per punto” a ogni affermazione realizzata da Bio-on il giorno prima. Il documento, disponibile sul sito del fondo statunitense, di fatto prova a contrattaccare ogni dichiarazione dell’azienda bolognese. Ad esempio, nel caso del brano riportato sopra in cui si fa riferimento al rapporto con società terze, Qcm replica che «sfidiamo qualunque “profano” a comprendere cosa ci sia scritto nel paragrafo precedente, che a noi appare un triste tentativo di evitare il nocciolo della questione. Rimandiamo alla opinione del revisore legale che abbiamo aggiunto al nostro sito web e, secondo la quale, ci sarebbero “serie criticità” nella contabilità di Bio-on».

Il caso Virdhi 

La vicenda, in attesa che la magistratura faccia il suo corso (cosa di cui parleremo tra poco), potrebbe anche chiudersi qui: da una parte un fondo famoso per aver sbugiardato alcune aziende che avevano esagerato con il make-up sui propri bilanci, dall’altra un’impresa che promette di rivoluzionare il mondo e che finora ha saputo stringere partnership strategiche con grandi soggetti. Ma ecco che arriva un’altra “mazzata”. Il fondo Qcm prova a spiegare come un’azienda “usata” per aumentare la credibilità di Bio-on fosse in realtà parte integrante della società bolognese. Si tratta della Virdhi, impresa basata alle Hawaii che nel 2013 venne presentata da Astorri e soci come un partner strategico in quanto start-up che “sviluppa materiali avanzati per uso biomedicale” o come “il marchio dell’esperienza innovativa acquisita dal 2007 da sviluppare specificamente nel mercato Usa”. Tradotto: abbiamo questo nuovo partner che ci permetterà di trovare l’America…in America. Solo che non è così. Virdhi è di proprietà della coppia Astorri-Cicognani.

Le ammissioni di Bio-on

Di fronte alle richieste sempre più pressanti, l’azienda bolognese deve ammettere che qualche conflitto d’interesse potrebbe esserci: «Virdhi – si legge nella nota emessa da Bio-on – è una società fondata da Astorri e Cicognani nel 2013 con sede a Honolulu (Usa), luogo da cui è nata la tecnologia Bio-On, finalizzata a poter operare alcune aree di ricerca della tecnologia direttamente attraverso una società con sede negli Usa, coerentemente con il forte interesse commerciale registrato dall’azienda su quel territorio. Successivamente la proprietà ha deciso di non proseguire con il progetto, portando il cuore di questo ramo di ricerca in Italia all’interno di Bio-On nella business unit Cns (Cosmetica, Nanomedicina e Smart Materials). Per questo motivo la società Virdhi non ha mai registrato alcuna transazione. Bio-On e Virdhi non hanno mai avuto alcun rapporto di tipo commerciale o finanziario, pertanto non c’è alcun effetto sui bilanci della Società. Si segnala altresì che la fondazione di Virdhi è antecedente al periodo di quotazione di Bio-On».

L’inchiesta per aggiotaggio e le accuse di evasione fiscale

Il 26 luglio, con la capitalizzazione dell’azienda passata da oltre un miliardo a 280 milioni, si palesa un nuovo capitolo: quello giudiziario. In procura viene aperto un fascicolo per aggiotaggio, ovvero per turbativa dei mercati, per il momento a carico di ignoti. Inoltre, potrebbe palesarsi un’accusa di evasione fiscale contro Bio-on, almeno a leggere i documenti presentati da Maurizio Salom, legale milanese che ha fatto parte del pool nominato da Qcm per analizzare i conti di Bio-on, «i valori delle vendite potrebbero risultare “gonfiati” per la parte imputabile alle licenze, creando serie preoccupazioni anche sull’ottenimento del beneficio fiscale relativo alla deduzione di 19.000.000 di euro dal reddito imponibile dell’esercizio 2019».

Un nuovo momento di pace (momentanea): il titolo risale

Nella giornata di venerdì 26 luglio Bio-on ha comunicato l’acquisto di un pacchetto azionario del valore di poco superiore a 200mila euro da parte di Astorri e Cicognani: il prezzo di compravendita è 15,07 euro per titolo. Una mossa che ha permesso una ripresa del valore del 60%, attestandosi a 24 euro, ancora lontanissimo dai 55 euro con cui si era chiusa la giornata di martedì 23.

Un’ulteriore spinta verso l’alto arriva dalla pubblicazione, da parte di Bio-on, di due filmati che difendono la tecnologia di Bio-on e la soluzione di bio-plastiche. La prima clip ha per protagonista il Professor Paolo Galli, che sul sito dell’azienda bolognese viene presentato come uno “tra gli scienziati più influenti al mondo nell’industria della plastica”. Galli dichiara nel filmato che «oggi non possiamo vivere senza materie plastiche, ma bisogna che gli diamo anche la proprietà di vera bio degradabilità. Questo Pha polimerico dall’alto peso molecolare, ha una struttura che ricorda moltissimo nelle proprietà il polipropilene, il quale è una materiale perfetto ma non bio degradabile. Adesso riusciamo a fare il polipropilene che ha anche la caratteristica della biodegradabilità. Certamente, fondamentalmente, assolutamente biodegradabile. Lo dicono tonnellate di pubblicazioni e non possono essere messe in dubbio. È quello che mancava alle materie plastiche più buone e adesso riusciamo anche a dosare la durata nel tempo. Come scienziato ho sempre sognato un prodotto del genere, adesso vedo delle possibilità e trovo questo futuro molto stimolante, penso che aprirà delle porte nuovissime all’impiego delle materie plastiche nella nostra vita di tutti i giorni».

La seconda testimonianza è della professoressa Paola Fabbri, Phd in Ingegneria dei Materiali e professoressa dell’Università di Bologna. Nel video, la Fabbri dichiara che «i Pha non sono materiali nuovi nel senso introdotti o scoperti recentemente, ma sono materiali che pur scoperti ormai decenni fa non hanno trovato fino ad un’epoca recentissima una concreta implementazione a livello industriale per diverse ragioni: le tecnologie non erano pienamente mature, ma anche i tempi e la consapevolezza non erano maturi. Quello che è estremamente cambiato dalle epoche precedenti con l’arrivo delle tecnologie di Bio-On è stata la possibilità effettivamente di implementare su larghissima scala e su scala industriale le produzioni della polvere di Pha da processo biotecnologico, da cui poi si ottengono i formulati, i pellet, per le applicazioni industriali su larga scala. Bio-On è riuscita in questi pochi anni a compiere questo salto ottimizzando tutti gli stadi che prima ho citato e riuscendo, grazie alla disponibilità di grandi quantitativi di materia, a sviluppare tutte quelle soluzioni che consentono di andare a testare l’efficacia di questi materiali per settori di larghissima scala. Mi aspetto che nei prossimi decenni si raggiungano dei traguardi con le nuove bioplastiche davvero impensabili e lo dico perché abbiamo raggiunto già adesso risultati che solo due, tre, quattro anni fa ritenevamo sul fronte delle applicazioni industriali dei Pha completamente da sognatori. Non deve stupire che in uno stadio iniziale di sviluppo di un mercato di una nuova plastica ce ne sia tutto sommato poca a disposizione per testare. Tutto è in partenza e soprattutto è normale non ci sia ancora un bagaglio enorme di dati in circolazione, perché questo bagaglio è in creazione».

Lo stabilimento Bio-On. Credit www.bio-on.it

Da notare come nel video la Fabbri dichiari che dal 2007 ha iniziato a lavorare insieme con Bio-On, ovvero dalla fondazione dell’azienda. Ed è a questa frase che Qcm si aggrappa per un nuovo attacco che viene sferrato tra il 29 e il 31 luglio. In quei giorni, intanto, il titolo ritrova ossigeno e viaggia verso i 32 euro, prima di rinculare nuovamente e venire sospeso per eccesso di ribasso dopo aver perso circa il 50% del valore.

Il nuovo eccesso di ribasso

Ma che cosa è successo? È successo che Qcm pubblica due nuovi report in risposta a quanto scritto e dichiarato da Bio-on. Si tratta di due note che, soprattutto nel secondo caso, mettono nuovamente in ginocchio l’azienda bolognese. Il primo documento dichiara che «i pareri di entrambi gli esperti confermano quanto riportato nella ricerca di Quintessential: il Pha non è un materiale nuovo, al contrario si tratta di una scoperta che risale a decenni fa e che ancora oggi non ha trovato una sua completa implementazione a livello industriale. È la stessa Professoressa Fabbri a dichiarare che è necessario attendere “che i tempi siano veramente maturi per una completa accettazione da parte del mercato di questi materiali al fine di una loro valorizzazione” e che siamo “ancora in una fase embrionale” di questo mercato. Parole che rafforzano ulteriormente la nostra tesi. Non dubitiamo che nei prossimi decenni le bioplastiche possano trovare una loro piena applicazione in svariati settori industriali e rappresentare quindi un mercato profittevole per molte aziende. Quello che sosteniamo con piena convinzione – e che trova oggi ulteriore conferma dai pareri degli esperti – è che Bio-on non possa affermare di aver rivoluzionato il mercato della bio-plastica, nonostante operi sul mercato da 12 anni. Infine notiamo che anche in questa occasione, Bio-on ha scelto di avvalersi del parere della Professoressa Fabbri dell’Università Bologna, spesso coinvolta in dichiarazioni a favore dell’azienda, che peraltro proprio con l’Università di Bologna ha una collaborazione molto stretta».

A proposito della vicinanza tra la Fabbri e Bio-on, il fondo speculativo torna sulla vicenda con ancora maggiore vigore con un nuovo report, in cui segnala come «a proposito dell’indipendenza degli esperti scientifici chiamati a testimoniare da Bio-on sulla sua attività, Quintessential Capital Management nota come basti consultare il sito dell’Ufficio Brevetti italiano per scoprire che uno dei due brevetti depositati in Italia, di cui Bio-on è titolare, è riconducibile alla Professoressa Paola Fabbri che risulta esserne l’inventrice. Ci si domanda se questo possa influenzare, ancora una volta, l’imparzialità del giudizio della Professoressa Fabbri sul valore scientifico della tecnologia di Bio-on. Si ricorda, come già evidenziato, che Bio-on ha scelto di avvalersi del parere della Professoressa Fabbri dell’Università Bologna, che è spesso coinvolta in dichiarazioni a favore dell’azienda la quale, peraltro, proprio con l’Ateneo ha una collaborazione molto stretta».

Da sottolineare, però, come la Fabbri non abbia nascosto che la sua collaborazione con Bio-on sia iniziata già dodici anni. Eppure, nonostante questo “disclaimer” il sito si inabissa un’altra volta, costringendo le autorità borsistiche a fermarlo per eccesso di ribasso.

Lo stabilimento Bio-On. Credit www.bio-on.it

Forse un punto fermo

Lungi dall’essere conclusa, questa storia però permette di mettere un punto fermo da un lato sul peso dell’industria in Italia e, dall’altra, sul ruolo dei fondi speculativi. Se, infatti, dovesse essere accertato che Bio-on ha imbiancato positivamente le proprie attività, ci troveremmo di fronte a una notizia triste per l’intero tessuto imprenditoriale italiano. Un’impresa su cui si era scelto di puntare, tanto da aumentare di 15 volte la sua capitalizzazione in Borsa, dovrebbe essere un vanto del nostro tessuto imprenditoriale, non un problema. Allo stesso modo, il fondo Qcm rappresenta un potenziale rischio nella nostra economia. Perché è bene ribadire ancora una volta che l’attacco a Bio-on non è stato fatto per amore di verità, ma per ottenere il massimo risultato da una scommessa che si è scelto di fare contro un’azienda italiana. E per questo motivo c’è da porsi un’ulteriore domanda: è giusto che un fondo con un intento ben preciso arrivi in un paese straniero, lanci strali incendiari contro un determinato target e lasci gli investitori con il cerino in mano dopo un attacco repentino e potentissimo? È normale che un risparmiatore che ha deciso di scommettere su un’impresa si ritrovi con un titolo deprezzato del 75% in pochi giorni senza sapere che cosa fare? Non sarebbe compito della Consob accendere i famosi riflettori e analizzare il ruolo di questi soggetti? E, infine, nel caso in cui si dovesse scoprire che Bio-on è in realtà l’azienda che ha sempre detto di essere, chi rifonderebbe i danni?














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