Bentivogli: la vicenda dell’Ilva è un grosso cartello che dice “Se dovete investire state alla larga dall’Italia”, e dopo l’accordo è ancora così!

Altoforno dell'Ilva di Taranto
Altoforno dell'ex-Ilva di Taranto

di Marco De’ Francesco ♦ Intervista al segretario della Fim (i metalmeccanici della Cisl) che ha avuto un ruolo determinante nella chiusura dell’accordo con ArcelorMittal e il ministro Luigi Di Maio. Ma che resta ancora insoddisfatto ed esprime preoccupazioni su un Paese che sembra voler rinnegare la sua vocazione industriale

«Un’azienda che investe 4,2 miliardi di euro in Italia e che viene tenuta “a bagnomaria” è un segnale al mondo». Una “spia” per i mercati che resta accesa: anche se giorni fa è stata trovata la quadra sulla vicenda dell’Ilva, anche se l’accordo nella sostanza salvaguarda i lavoratori e mette le basi per il rilancio industriale e la bonifica e risanamento del sito, il cartello per gli investitori stranieri, quello che consiglia loro di «stare alla larga dal nostro Paese», rimane esposto e ben illuminato. Perché «lo spettro della chiusura che ha per lungo tempo aleggiato su Taranto dimostra l’immaturità delle nostre classi dirigenti e la percezione alterata che hanno della rilevanza del settore manifatturiero» – dice a Industria Italiana il segretario generale della Fim-Cisl Marco Bentivogli, che ha seguito tutti i recenti passaggi della vicenda del più importante complesso industriale per la lavorazione dell’acciaio in Europa, gruppo che – in amministrazione straordinaria dal 2015 – dal 2016 ha avviato la procedura per il trasferimento degli asset aziendali con bando internazionale.

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Veduta dello stabilimento dell’ex Ilva

In estrema sintesi, le cose sono andate così: erano della partita due big mondiali, Arcelor Mittal e Jindal, alleato di Cassa Depositi e Prestiti Gruppo Marcegaglia; Arvedi e Del Vecchio sotto le insegne di Acciaitalia, coalizione ben vista dal governatore della Puglia Michele Emiliano. L ’ha spuntata la prima, che ha anche ottenuto il sì dell’antitrust di Bruxelles. Ma il nodo era quello dell’accordo sui sindacati sui posti di lavoro, visto che inizialmente si profilavano 4mila esuberi. Si possono distinguere due fasi per la trattativa: quella in cui Carlo Calenda era ministro dello Sviluppo economico, e quella in cui ha dovuto passare il testimone a Luigi Di Maio. La bozza di intesa Calenda, presentata il 10 maggio, prevedeva 10mila assunti, circa 1.200-1.500 addetti travasati nella società mista Ilva-Invitalia ed esodi volontari; fu subito respinta dalla maggioranza dei sindacati.







L’accordo con Di Maio prevede 10.700 assunti con impegno ad impiegare altri, incentivi pari a 100mila euro e altro. Ma se poco è cambiato, perché l’accordo non è stato siglato mesi fa? Bentivogli stesso parla «ostilità preconcetta da parte di alcune sigle sindacali». In un contesto reso difficile dal comportamento delle istituzioni: secondo Bentivogli «Emiliano ha ostacolato in ogni modo la trattativa, dando sponda ad alcuni movimenti che reclamavano la chiusura del sito»; mentre Di Maio «ci ha fatto rischiare di un soffio che l’accordo giungesse fuori tempo massimo»; del resto il ministro ha affermato più volte che la gara vinta da Arcelor Mittal era illegittima. D’altra parte, per anni la soluzione del M5S è stata quella della chiusura. Ed è peraltro complicato fare la cronaca dei ricorsi, delle proteste, e scioperi che hanno riguardato lo stabilimento: le ultime vicende sono solo la coda di una lunga serie di tatticismi e di ritardi, dovuti all’ambientalismo cieco e alla litigiosità della politica. «Manca una comunità di destino» – afferma Bentivogli; ed in effetti dall’Ilva emerge la storia di un Paese dove il gioco delle appartenenze, l’incompetenza e i piccoli interessi locali mettono in discussione quello generale. Da questo punto di vista, l’Ilva è lo specchio del Paese.  Che però risente «del giudizio che di noi si fanno gli investitori internazionali ogni qualvolta per ragioni di tornaconto politico si mettono in discussione asset fondamentali per l’economia italiana».

 

 

Marco-Bentivogli-Segretario-Generale-Fim-Cisl-2015
Marco Bentivogli, Segretario-Generale Fim Cisl

 

D:  Lei ha scritto che la vicenda dell’Ilva è come un grosso cartello su cui è scritto: “Se dovete investire state alla larga dall’Italia”. Dopo l’accordo, è ancora così?

R: «Purtroppo sì. L’epilogo positivo di questa vicenda non deve farci dimenticare quanto è avvenuto negli ultimi mesi. Certo, con la ripartenza dell’Ilva il nostro sistema industriale segna un punto importante al suo attivo, però il fatto che lo spettro della chiusura abbia per lungo tempo aleggiato su Taranto dimostra l’immaturità delle nostre classi dirigenti e la percezione alterata che hanno non solo della rilevanza del settore manifatturiero, ma pure del giudizio che di noi si fanno gli investitori internazionali ogni qualvolta per ragioni di tornaconto politico si mettono in discussione asset fondamentali per l’economia italiana. Siamo andati avanti a discutere della chiusura dell’Ilva in un momento in cui la domanda di acciaio è ripartita e le nostre aziende sono costrette a rifornirsene in Germania: non è assurdo? L’accordo sull’Ilva non modifica questo che è un connotato di fondo del Paese. Gli investimenti diretti dall’estero restano in Italia comparativamente bassi rispetto ai nostri partner europei perché l’habitat che offriamo alle imprese è inospitale: burocrazia inefficiente, giustizia lenta, infrastrutture scadenti, costo dell’energia troppo alto, diffidenza verso l’innovazione, e si potrebbe continuare.  Per essere competitivi è da qui che dobbiamo ripartire. Un’azienda che investe 4,2 miliardi di euro in Italia e che viene tenuta “a bagnomaria” è un segnale al mondo. Hai voglia a dire che è colpa della globalizzazione, del turbo-capitalismo: il nostro autolesionismo è da olimpiadi».

D: Quale immagine della classe dirigente del Paese dopo la vicenda dell’Ilva?

R: «Non bella, il nostro è un paese che vive di Industria. Governare significa decidere e orientare lo sviluppo del Paese guardando non solo all’oggi ma a quello che sarà l’Italia tra 30 o 40 anni. La vicenda Ilva ci ha dimostrato come in questo esercizio la politica non brilli. Come ho avuto modo di scrivere in un lungo articolo sul “Il Foglio” l’Ilva è stata lo specchio di un paese in guerra con se stesso. Nel 2017 la metalmeccanica ha pesato per il 52% del nostro export, cioè la ricchezza che tiene in piedi il paese, ma la politica sembra essere inconsapevole di questo. Manca una comunità di destino. La palude in cui la politica ha portato per anni la siderurgia ci ha resi dipendenti da altri paesi, in primis la Germania per l’acciaio. Le auto prodotte in Italia sono realizzate con acciaio tedesco. Altro che sovranisti, questo Governo è il più filo-tedesco degli ultimi anni. Il dibattito politico è incentrato su temi che nulla hanno a che fare con ciò che realmente occorre  all’Italia. Il dibattito pubblico è incentrato su  temi epocali come quello dell’immigrazione, usati solo per polarizzare e dividere i cittadini dietro un consenso che non guarda oltre la prossima elezione. Questo nascondere profonde  incapacità di visone e progetti di lungo periodo. Oggi la politica tutta   dovrebbe ritornare ad  un’idea alta e  di servizio,  utile ad accrescere il benessere di tutti e per creare le condizioni che possano permettere al paese intero di rimanere nei posti alti della classifica dei paesi più industrializzati nel mondo».

 

 

Il Ministro del lavoro e dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio (foto di Mattia Luigi Nappi)

 

D: Un giudizio sull’ipotesi di accordo siglata l’altro giorno. È davvero il miglior risultato che si potesse ottenere?

R: «È sicuramente il miglior risultato possibile date le condizioni. La trattativa col governo era iniziata malissimo, durante la campagna elettorale le intenzioni erano di chiudere le fabbriche e  l’accordo che  Lega e  M5S hanno sottoscritto a pag.23 del “contratto di  confermava la chiusura del Siderurgico ionico, attraverso la dicitura “chiusura fonti inquinanti”. Il Ministro Di Maio si è occupato nei primi quattro mesi del confronto col suo predecessore e ci ha fatto rischiare di un soffio che l’accordo giungesse fuori tempo massimo. Poche ore più tardi e l’accordo sarebbe stato inutile, servono infatti 8 giorni per fare assemblee e consultazioni dei lavoratori di tutto il gruppo e avremmo scavallato oltre la dead-line del 15 settembre, data in cui terminava il mandato a i commissari. La prima carta è stata cercare qualcuno che la chiudesse al posto suo sollevando sin dall’inizio perplessità sulla gara di cessione tanto da richiedere una serie di pareri: dall’Anac, all’Avvocatura di Stato e infine al Ministero dell’Ambiente. Dopo che il Governatore Michele Emiliano aveva fatto perdere altro tempo con il ricorso al Tar.  Anche nella conferenza stampa del 23 agosto scorso, nonostante il Mise avesse il parere dell’Avvocatura da due giorni (era arrivato il 21 agosto) disse per cinque volte che la gara era illegittima, mentre leggendo il parere, oggi abbiamo appreso che non c’era alcun serio vizio della procedura. L’accordo nella sostanza salvaguarda tutti i lavoratori e mette le basi per il rilancio industriale e la bonifica e risanamento del sito».

 

Carlo Calenda, Ex Ministro dello Sviluppo Economico

D:  Quanto all’occupazione, e viste le cose dall’esterno, tra la “soluzione Calenda” (che proponeva 10mila occupati da parte di Mittal e gli altri distribuiti tra una società mista Ilva-Invitalia ed esodi volontari) e la soluzione attuale (10.700 assunti con impegno ad impiegare altri, incentivi pari a 100mila euro e altro) non pare esserci una differenza epocale. In realtà, come si è trovata la quadra? Cos’è cambiato?

R: «E infatti è così, il documento messo appunto dall’ex-Ministro Calenda ha fatto da base all’accordo raggiunto ora.  Col senno di poi  si può dire che l’ex-Ministro ha commesso un errore a lasciare il tavolo della trattativa.  Certo, c’era da parte di alcune sigle sindacali un atteggiamento di ostilità preconcetta. Nella trattativa odierna sono state raggiunte rispetto a quella iniziale alcuni importanti miglioramenti sul piano della tutela di tutti i lavori, mentre la quota di lavoratori che nella proposta Calenda era in capo ad una società mista pubblico – privato oggi è assorbita dalle controllate del gruppo Arcelor Mittal. La mattina della rottura con Calenda, con meno nervosismo di tutti, se si fosse andati avanti, avremmo fatto l’accordo. Devo dirlo, alcune organizzazioni sindacali hanno mirato politicamente a battere l’ex Ministro. Lo stesso accordo mesi dopo costa di più a tutti, ai lavoratori in primo luogo, ai contribuenti, all’ambiente».

D: Quanto ha inciso la politica in tutta questa vicenda? Recentemente, alcuni importanti esponenti di governo, come Di Maio, sembrano aver fatto un passo indietro rispetto alla posizione originaria del proprio partito.

R: «La politica in questa vertenza ha inciso sì: ma in maniera negativa. Oltre alla posizione dell’attuale  Governo, non hanno certo aiutato la poca chiarezza che alcuni esponenti del PD, a partire dal governatore della Regione Puglia Emiliano, che nei fatti ha ostacolato in ogni modo la trattativa, dando sponda ad alcuni movimenti che reclamavano la chiusura del sito. La Regione ha un ruolo importantissimo sulla salute dei pugliesi, ruolo che il Presidente abdica continuamente alla polemica politica. Ci si occupi seriamente di sorveglianza sanitaria e di valutazioni epidemiologiche. Solo il senso di responsabilità del sindacato ha evitato il peggio. La dichiarazione di sciopero ha permesso di riaprire la trattativa che ci ha portato all’ipotesi d’accordo dopo 24 ore di no-stop nel primo pomeriggio del 6 settembre. Va dato atto al Ministro Di Maio di aver sciolto le ambiguità che fino all’ultimo incontro ancora pesavano sul tavolo. Ma il 99% dei meriti sono del tavolo sindacale. I media cercano sempre dei salvatori della patria che entrano in gara a un metro dal traguardo».

 

 

D:  Che genere si Ilva si realizza con l’accordo? Quali investimenti sono previsti? Si verificherà un vero e proprio rilancio? Dal punto di vista ambientale, la copertura dei parchi risolve il problema dell’inquinamento?  

R: . «Taranto, senza l’accordo,  rischiava di diventare una “Bagnoli 2”. Dove oltre all’inquinamento si sarebbe lasciato sul terreno anche la disoccupazione. L’intesa perciò  è una buona notizia per ricostruire un rapporto nuovo tra territorio e impresa. Solo in Italia la produzione di acciaio e ambiente fanno a pugni. Certamente la copertura dei parchi minerari, già avviata grazie alla trattativa sindacale, non risolve tutti i problemi. L’intesa complessivamente porta in dote 4.2 miliardi di investimenti per il rilancio del siderurgico, 1,25 industriali, 1,15 ambientali a cui si sommano 1.2 miliardi sequestrati ai Riva per le bonifiche e l’ambiente. Risorse ingenti che serviranno a rendere sicuro, sostenibile (dal punto di vista ambientale) e competitivo il sito tarantino. L’Aia, l’autorizzazione integrata ambientale di Taranto, è la più restrittiva d’Europa. È giusto perché c’è quasi mezzo secolo di ritardi da recuperare».

D: Molti osservatori hanno notato l’atteggiamento sereno di Arcelor Mittal, mentre in Italia infuriava la polemica. È per la questione delle penali?

R: «Mittal si è trovata nella tipica situazione win – win, per questo si è mossa con prudenza, evitando di ricorrere a prove di forza: non ne aveva bisogno. L’acquisizione dell’Ilva per il gruppo è di importanza cruciale poiché gli consente di consolidare la leadership sul mercato europeo e di rafforzare la sua posizione in alcuni segmenti. Ma anche se l’operazione fosse fallita Mittal un risultato l’avrebbe colto lo stesso: avrebbe cioè impedito ai concorrenti di mettere le mani su un asset pregiato e sulle relative quote di mercato.  Poi è chiaro che le penali hanno costituito una carta in più nelle mani della dirigenza».














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1 commento

  1. Che accordo avete fatto voi sindacalisti,se Mittal ci teneva tanto all’Ilva ,perche’ non ha voluto che si assumessero tutti i lavoratori e non gli 8200 che gia lavorano all’interno dell’Ilva ? Avete salvato alcuni e dimenticato altri, non e’ giusto.In Germania invece gli accordi si fanno per tutti e non per alcuni; meno ore lavorative per tutti e tutti lavorano. Avete dichiarato in TV e sui giornali : NIENTE ACCORDO se ci sono ESUBERI! Invece ancora Esuberi ! Bravi siete da applausi.SALUTI…..

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