Il Benetton originario (moda): tentativi di rilancio e di nuovo modello di business per un’azienda dimezzata e in lunga crisi

di Felice Meoli ♦︎ Dagli oltre 7.000 store in 120 Paesi degli anni ‘90 oggi Benetton Group conta meno di 4.500 punti vendita in 81 Stati. Ed è in rosso di bilancio da anni. Questo perché ha subito la concorrenza dei competitor, che hanno deciso di non affidarsi totalmente ai franchising, su cui aveva invece scommesso l’azienda veneta. Ma oggi il ceo Massimo Renon per ritornare a crescere punta su contenimento dei costi, negozi a gestione diretta ed e-commerce. Sarà la volta buona?

Benetton Group

All’epoca delle privatizzazioni, Enrico Cuccia (notoriamente critico e in contrasto con Romano Prodi sulle loro modalità) fece una cupa profezia, che poi si avverò al 100%. Il leader di Mediobanca disse che trasformare degli industriali in percettori di rendite – quali erano i nuovi proprietari di un monopolio naturale come le Autostrade – li avrebbe infiacchiti e avrebbe danneggiato il loro core business. Un ventennio più tardi, Benetton Group (così si chiama l’azienda del core business originario, quella dei maglioncini e della moda a prezzi accessibili) registra infatti un bilancio in rosso dopo l’altro, ha dimezzato il suo raggio d’azione e cambiato una serie di amministratori delegati, che hanno provato senza successo a rilanciarla. Una debacle, che la tragedia del Ponte Morandi ha offuscato, ma di cui vale la pena, da cronisti economici, occuparsi nei particolari. E soprattutto, un vero peccato, perché Benetton ha inventato un genere, il lusso accessibile, che avrebbe potuto trasformarla in una multinazionale di enorme successo globale e che invece è stato cavalcato da altri. Ora è la volta di Massimo Renon, il nuovo ceo, che sta cercando di cambiare l’azienda, con un nuovo modello di business e cavalcando il digitale. Potrebbe essere la volta buona, e il sistema della moda e della distribuzione commerciale, soprattutto in un momento come questo, ne avrebbe un enorme bisogno. La nuova Benetton viene raccontata da Felice Meoli, analista economico oltre che giornalista, nel pezzo che state per leggere (Filippo Astone).

 







Lavori in corso in casa Benetton, un marchio iconico che dopo aver segnato più di un’epoca nel secolo scorso e nei primi anni di quello attuale, ha poi sofferto l’arrivo di competitor agguerriti e globali. E da anni è sempre in rosso di bilancio, ed ha quasi dimezzato le sue dimensioni, proprio mentre la concorrenza internazionale (Zara ed H&M ma non solo) cresce senza sosta per aver diffuso su tutto il pianeta un’intuizione che fu proprio dei Benetton e che poteva farli grandi: il fast fashion, ovvero capi belli, colorati e firmati, di “moda” ma a prezzo accessibile anche per i meno abbienti. Il valore economico generato dal gruppo nel 2019 è stato di 1.190 milioni di euro, in calo dagli 1.341 milioni di due anni prima e dagli 1.304 del 2018, e anche il fatturato ha segnato nell’ultimo anno una contrazione da 1.230 a 1.148 milioni di euro. Sebbene il risultato economico sia ancora in rosso (perdita di 128 milioni nel 2019 e 115 milioni nel 2018), il valore economico trattenuto offre un trend positivo, e nell’ultimo bilancio si presenta finalmente in verde con 65 milioni di euro.

Potrebbe essere il segnale che il profondo rinnovamento del modello di business della casa di Ponzano sta iniziando a dare i suoi frutti, dopo anni estremamente faticosi, segnati dall’uscita dalla Borsa dopo 26 anni di quotazione, un passaggio generazionale travagliato e le difficoltà portate da strategie di diversificazione non correlate che hanno caratterizzato una delle famiglie imprenditoriali per antonomasia del nostro Paese. La strada per il rilancio intrapresa negli ultimi anni ruota attorno al contenimento dei costi: dagli oltre 7.000 store in 120 Paesi degli anni ‘90 oggi la casa di Ponzano conta meno di 4.500 punti vendita in 81 Paesi. Come accade già per altri popolari brand del fashion retail, anche Benetton sta infatti puntando sempre di più sulla gestione diretta degli store, andando decisamente a incidere sull’ultimo miglio del suo modello di business, da sempre estremamente verticale. Un aspetto che ha contraddistinto anche la sua comunicazione, che oggi intende riaffermare l’identità del brand, a cui il gruppo sa di dover molto del suo storico successo. E dopo il ritorno in sella nel 2018 del suo fondatore Luciano Benetton, oggi, a guidare la ripresa, ci sono due ingressi di peso: Massimo Renon nel ruolo di ceo, e Martino Boselli a riempire la casella di direttore commerciale.

Valore economico generato

Il rilancio del business affidato al nuovo ceo e alla riorganizzazione della direzione commerciale

L’ultimo arrivo è quello di Martino Boselli, che a metà dicembre è approdato nel gruppo come nuovo responsabile della direzione commerciale & vendite del marchio United Colors of Benetton. Una funzione che ha visto per l’occasione una importante riorganizzazione, e comprenderà le seguenti aree di lavoro: Mercato Italia Ucb Wholesale & Franchising, Mercato Italia Ucb Retail & Top Store, Mercati Internazionali Ios/Dos/Fos, Undercolors, eBusiness e Trade Service. Boselli proviene da una lunga esperienza internazionale nel settore fashion retail, avendo lavorato nel Gruppo VF, Safilo, Amazon, Trussardi e infine in Miroglio Fashion, in qualità di general manager dei marchi Elena Mirò, Caractère, Luisa Viola e Diana Gallesi. Riporterà all’amministratore delegato di Benetton Group, Massimo Renon, anch’egli insediatosi quest’anno. Renon è stato annunciato al mercato lo scorso marzo, e proveniva invece da Marcolin Group, una delle aziende leader nel settore dell’eyewear, dove ricopriva il ruolo di Ceo dal 2017. Nel suo curriculum: Giacomelli Sport, Luxottica, Ferrari, Safilo e successivamente il Gruppo Kering, dove ha partecipato alla costituzione e start-up della divisione Eyewear. «L’ingresso di Renon in Benetton Group si pone come obiettivo l’implementazione del processo di rilancio del business avviato dal Presidente Luciano Benetton nel 2018», si leggeva nella nota della società.

 

Da un laboratorio artigianale alla prima holding: le intuizioni e il successo dei fratelli Benetton

Benetton Group headquarters. Le origini del gruppo Benetton vanno ricercate nella società in nome collettivo che fu costituita nel 1965 con la denominazione di Maglificio di Ponzano Veneto dei Fratelli Benetton: Luciano, Giuliana, Gilberto e Carlo, che iniziarono la produzione e la commercializzazione di abbigliamento per giovani

Le origini del gruppo Benetton vanno ricercate nella società in nome collettivo che fu costituita nel 1965 con la denominazione di Maglificio di Ponzano Veneto dei Fratelli Benetton: Luciano, Giuliana, Gilberto e Carlo, che iniziarono la produzione e la commercializzazione di abbigliamento per giovani. «Mia sorella Giuliana – ha raccontato Luciano Benetton – confezionava maglie per un negozietto delle nostre parti. Un giorno, mi regala un maglione di un luminosissimo colore giallo. Beh, tutti lo volevano. Erano stanchi dei colori tristi e smorti dell’epoca. Allora ho detto: dai proviamo, tu Giuliana crei e io vendo. Abbiamo comprato una vecchia macchina che faceva le righe alle calze a rete. La vendevano al peso del ferro. L’abbiamo trasformata. Da allora, non ci ha più fermato nessuno». Nel 1973 la società si trasformò nell’accomandita Maglierie Benetton di G. Benetton e C., nel 1978 si arrivò alla prima società per azioni con la Benetton spa, nel 1980 vennero acquisiti gli stabilimenti di Monzambano (MN) e di Quattro Castella (RE) e nel 1981 si passò a una nuova struttura, costituita da quattro aziende operative: Nuova Benetton, Benetton Lana, Benetton Cotone e Benetton Jean’s, con una prima holding – Invep – con la funzione di capogruppo. La Invep si trasformerà poi in Benetton Group, mentre la Ragione di G. Benetton & C. sapa, creata nello stesso anno, sarà l’antesignana dell’attuale Edizione srl (oggi proprietaria con il 100% di Benetton Group). Dai 570mila euro in valori nominali del 1970, si arrivò a 208 milioni di fatturato nel 1982.

 

Comunicazione istituzionale e di prodotto: il ribaltamento tra significato e significante

Nel 1989 Benetton Group cambierà marchio, che diventerà “United Colors of Benetton” a riempire l’iconico rettangolo verde, il preludio di campagne istituzionali che vedranno come protagoniste cause sociali, secondo un processo di significazione della comunicazione sempre più astratto fino a farsi quasi del tutto scollegato da ogni riferimento fattuale, in nome della reputation e della brand awareness

Nel 1982 Luciano Benetton incontrò Oliviero Toscani, un fotografo di moda consigliatogli da Elio Fiorucci. E con la collaborazione di Bruno Suter dello studio parigino Eldorado, iniziò l’epopea comunicativa che ne farà un marchio riconosciuto a livello globale. Le prime campagne portavano il futuribile slogan: “Tutti i colori del mondo”, rimandando a uno degli atout della maglieria dei fratelli di Ponzano, il colore. Nel 1989 questa strada porterà perfino al cambiamento del marchio, che diventerà “United Colors of Benetton” a riempire l’iconico rettangolo verde, il preludio di campagne istituzionali che vedranno come protagoniste cause sociali, secondo un processo di significazione della comunicazione sempre più astratto fino a farsi quasi del tutto scollegato da ogni riferimento fattuale, in nome della reputation e della brand awareness.

 

Dalla provincia veneta ai quattro angoli del pianeta: il ruolo delle sponsorizzazioni sportive

E in virtù di questi valori, nei primi anni ‘80 prese avvio anche l’attivismo della famiglia sul territorio trevigiano, con le prime sponsorizzazioni sportive. Nel 1978 l’azienda sponsorizzava e successivamente acquisiva la squadra di rugby di Treviso. Nel 1981 l’azienda sponsorizzava e successivamente acquisiva la Pallacanestro Treviso. Nel 1982 la famiglia Benetton realizzava il complesso sportivo La Ghirada – Città dello Sport, mentre l’anno successivo costruiva il Palaverde a Villorba, che ospiterà la squadra di basket e quella di volley, che sarà costituita nel 1987 e verrà sponsorizzata attraverso il marchio Sisley. Nel 1983 iniziò la sponsorizzazione di una squadra di Formula 1, la Tyrrell, e tre anni dopo, grazie all’acquisizione di Toleman e Spirit, si costituisce una propria squadra, la Benetton Formula, che corre con licenza britannica dal 1986 al 1995, e italiana dal 1996 al 2001. Nel 1994, con Michael Schumacher alla guida, ottiene anche il titolo mondiale piloti, bissato l’anno successivo stavolta insieme al titolo costruttori.

 

La messa a terra della popolarità della marca: 7.000 negozi in 120 Paesi

L’immagine di marca è stata al centro della strategia del gruppo, che in epoca analogica capì l’importanza di una specifica forma del retail. Si puntò dunque sull’apertura di negozi in franchising nei centri storici e nei luoghi più eleganti delle città. Il primo negozio venne aperto a Belluno nel 1965, e dopo solo poco più di 4 anni ci fu la prima apertura anche a Parigi. Nel 1980 si registrò il primo store di New York, e nel 1982 a Tokyo. Negli anni ‘80 la rete di negozi Benetton faceva registrare oltre 1.000 punti vendita in Italia, 280 in Francia, 250 in Germania, 100 nel Regno Unito, 25 tra Olanda e Belgio. Questa rapida crescita era favorita da innovativi accordi di franchising in cui i rivenditori non erano tenuti a pagare commissioni anticipate o royalties basate sulle vendite. Di contro i negozianti, da parte loro, accettavano di vendere solo merci fornite da Benetton e non potevano restituire lo stock invenduto. Nei primi anni ‘90, Benetton contava oltre 7.000 store in 120 Paesi.

 

Gli investimenti in tecnologia e una logistica ispirata ai sistemi aeroportuali

Il progetto Robostore 2000 è in grado di evadere 30mila pacchi al giorno con un personale minimo, grazie al quale la divisione dei carichi sui mezzi di trasporto in partenza avveniva in maniera automatica non solo per aree geografiche ma anche per singoli clienti, ricordando con i suoi nastri trasportatori, il sistema di smistamento bagagli di un aeroporto

Una rete così capillare nel globo sfruttava un peculiare sistema di magazzino, adottando un modello di business che prevedeva la produzione di maglieria grezza che veniva tinta localmente in Italia, per soddisfare le richieste di colore della moda stagionale. Negli anni ‘90 il gruppo di Ponzano produceva in casa l’80% della merce che veniva venduta in tutto il mondo, all’interno di enormi e moderni stabilimenti in cui si manovravano computer e pannelli di controllo dalle tecnologie più avanzate. Negli anni ‘80 il gruppo investiva tra l’1% e il 2% del fatturato in Information Technology. In questo quadro, nel 1995 venne avviata l’attività di automazione della raccolta dei capi, con l’entrata in funzione di un sofisticato sistema di imballaggio, in grado di predisporre in modo completamente automatico la composizione ottimale dei colli, eliminando ogni margine d’errore. In parallelo venne completato anche il progetto Robostore 2000, in grado di evadere 30mila pacchi al giorno con un personale minimo, grazie al quale la divisione dei carichi sui mezzi di trasporto in partenza avveniva in maniera automatica non solo per aree geografiche ma anche per singoli clienti, ricordando con i suoi nastri trasportatori, il sistema di smistamento bagagli di un aeroporto.

 

Accade oggi: l’istruttoria Antitrust sui contratti di franchising e gli accordi con i rivenditori

L’integrazione verticale della catena di fornitura si estendeva dalla produzione al magazzino in uscita. Ma non nel retail. L’istruttoria aperta recentemente dall’Antitrust, ipotizzando un abuso di dipendenza economica riguardo a due contratti di franchising stipulati con un rivenditore indipendente di prodotti a marchio Benetton, se verrà confermata solleva alcuni peculiari aspetti degli accordi con i rivenditori. «Sul piano della dipendenza economica, Benetton avrebbe imposto al rivenditore di mantenere una struttura di vendita e un’organizzazione commerciale disegnata sulle sue esigenze, in considerazione del fatto che si garantisce contrattualmente la possibilità di fissare regole e parametri organizzativi idonei a irrigidire la struttura aziendale del franchisee, fino a ostacolarne, se non impedirne, la sua eventuale riconversione – scrive l’autorità – In tale contesto, oggetto dell’istruttoria è il possibile uso discrezionale da parte di Benetton di alcune clausole contrattuali che le consentirebbero di incidere su scelte strategiche del rivenditore, quali la definizione delle proposte e/o degli ordini di acquisto, non solo in termini di tempistica, ma anche di quantitativi. In tal modo, Benetton potrebbe avere condizionato in maniera significativa l’attività economica del franchisee, al quale sarebbe di fatto impedito di gestire in autonomia la propria attività commerciale». Il procedimento si concluderà entro il 31 dicembre 2021.

 

L’avvento dei competitor: un modello di business sotto pressione nel nuovo millennio

Benetton Group, complesso industriale di Castrette. Dagli oltre 7.000 store in 120 Paesi degli anni ‘90 oggi la casa di Ponzano conta meno di 4.500 punti vendita in 81 Paesi

Il modello di business di Benetton ha avuto grande efficacia negli anni ‘80 e ‘90, ma da allora in poi ha subìto l’agguerrita concorrenza di competitor come Inditex e H&M. Negli anni ‘90, con oltre 7.000 negozi, il gruppo Benetton sfiorava un fatturato di 2 miliardi di euro e vantava invidiabili performance di Borsa. Ventisei anni dopo dalla quotazione, nel 2012, in crisi finanziaria ed economica, la decisione del delisting. «Uscire dalla Borsa e investire su noi stessi, sul futuro del Gruppo – affermava Alessandro Benetton, presidente di Benetton Group tra il 2012 e il 2014 – è una dimostrazione concreta di impegno, determinazione e volontà di superare questa fase complessa. Nel duplice segno della continuità e del rinnovamento vogliamo investire sui nostri punti di forza, in particolare la presenza nel mondo, la preziosa rete di partner commerciali e industriali, la notorietà e reputazione globale dei brand, la nostra moda colorata che offre qualità e stile al prezzo migliore». Nel 2012, attraverso più di 6.000 negozi, Inditex generava invece ricavi per ben 16 miliardi. Nel 2013, con poco più di 3.000 negozi nel mondo, H&M registrava quasi 15 miliardi di euro di vendite. A differenza di Benetton, sia Inditex che H&M hanno deciso di gestire i negozi quasi del tutto direttamente: i franchising esistono, ma sono pochi e quasi irrilevanti rispetto al volume totale del business.

 

Contenimento dei costi e negozi a gestione diretta: la ricetta per il futuro

Il primo negozio di Benetton Group venne aperto a Belluno nel 1965, e dopo solo poco più di 4 anni ci fu la prima apertura anche a Parigi. Nel 1980 si registrò il primo store di New York, e nel 1982 a Tokyo. Negli anni ‘80 la rete di negozi Benetton faceva registrare oltre 1.000 punti vendita in Italia, 280 in Francia, 250 in Germania, 100 nel Regno Unito, 25 tra Olanda e Belgio. Questa rapida crescita era favorita da innovativi accordi di franchising in cui i rivenditori non erano tenuti a pagare commissioni anticipate o royalties basate sulle vendite

«L’esercizio concluso il 31 dicembre 2019 ha segnato una tappa importante nel percorso di rilancio di Benetton Group. A livello di indicatori economico-finanziari, l’azienda ha registrato significativi recuperi e prodotto una notevole diminuzione delle perdite rispetto agli esercizi precedenti», ha scritto in apertura dell’ultimo bilancio Luciano Benetton, tornato al timone dell’azienda, come presidente esecutivo, all’inizio del 2018. Il valore economico generato dal gruppo Benetton nel 2019 è stato di 1.190 milioni di euro, in calo dagli 1.341 milioni di due anni prima e dagli 1.304 del 2018. Sebbene il risultato economico sia ancora in rosso (perdita di 128 milioni nel 2019 e 115 milioni nel 2018), il valore economico trattenuto offre un trend positivo, e nell’ultimo bilancio si presenta finalmente in verde con 65 milioni di euro. La strada intrapresa per il risanamento tocca tre punti nevralgici della strategia della casa di Ponzano. In primis il contenimento dei costi, soprattutto quelli di approvvigionamento, focalizzandosi sui fornitori del bacino Emea, che incidono per il 53% sul procurato totale. Questo bilanciamento delle fonti produttive consentirà al gruppo di aumentare il controllo sulla catena di fornitura, di ridurre il tempo necessario per lo sviluppo e l’industrializzazione dei prodotti, rispondendo rapidamente alle esigenze del mercato ed efficientare la funzione logistica. Il secondo punto, collegato al primo, è la comunicazione, con un’attività di semplificazione e rinnovamento degli strumenti utilizzati per raggiungere il consumatore finale, con l’obiettivo di focalizzare le spese sulla strategia a sostegno della riaffermazione dell’identità dei brand. Ma il nodo forse più importante riguarda la rete distributiva, «su cui è in atto una strategia di rilancio, allo scopo di offrire al consumatore un’esperienza di acquisto innovativa, in linea con il dna dei marchi. Benetton Group sta inoltre perseguendo un progressivo riadeguamento della rete commerciale in virtù del nuovo posizionamento strategico verso un segmento medio più alto, con collezioni caratterizzate da sempre maggiore attenzione alla qualità del prodotto e all’identità del brand», come si legge nel bilancio.

In questo senso va interpretata la chiusura di oltre 800 insegne nel mondo negli ultimi 4 anni, che hanno portato i negozi a marchio Benetton in Italia da 1.529 a 1.249, in Europa da 1.629 a 1.200 e nel resto del mondo da 2.131 a 2.019. La riduzione dei negozi ha però interessato quasi esclusivamente i Fos (Franchised Operated Stores) e gli Ios (Indirectly Operated Stores), dunque i franchising, mentre invece sta addirittura crescendo il numero dei Dos (Directly Operated Stores), i negozi gestiti direttamente, sia in termini assoluti che percentuali. Oggi il retail Benetton conta 4.468 store. Tuttavia, «nel prossimo futuro Benetton Group prevede di analizzare ulteriormente la reddittività dei propri negozi per dare priorità a eventuali scelte di ristrutturazione della rete, privilegiando format con un’elevata reddittività per superficie di vendita e presidiando piazze commerciali strategiche. Il connubio tra mondo fisico e mondo digitale sarà inoltre consolidato dal continuo sviluppo e aggiornamento del progetto dell’omnicanalità, per accompagnare il cliente ovunque nel viaggio di acquisto». Insomma, i lavori in corso per il rilancio non sono finiti.














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