Italia, semaforo “verde” (ma non troppo) alla transizione energetica. Secondo BCG e Hitachi

di Marco Scotti ♦︎ Un piano da 67 miliardi per accelerare la green economy; reti di moderna concezione; mobilità alternativa. Ma anche troppa burocrazia, che paralizza gli investimenti. Solo a Milano servono due miliardi per cablare la città. Un report della società di consulenza e del colosso giapponese prova a raccontare una strada alternativa per raggiungere la riduzione dell'impatto. Con il Ministro Roberto Cingolani, Vera Fioriani di Rfi, Renato Mazzoncini di A2a, Arrigo Giana di Atm

Accelerare la transizione ecologica in Italia. Migliorare ed efficientare i sistemi di trasporto che rappresentano quasi il 30% delle emissioni di Co2 nel nostro Paese. Reti elettriche di nuova concezione, più capienti e più capaci di rispondere alle nuove esigenze delle città. Sono solo alcune delle sfide che attendono l’Italia nei prossimi anni. Boston Consulting Group insieme a Hitachi hanno lanciato diverse idee durante l’evento “Race to Zero: How to Define a Sustainability Plan for Italy”, iniziativa patrocinata dal Ministero della Transizione Ecologica. Durante l’evento è stato presentato uno studio contenente una serie di analisi e di azioni prioritarie per ridurre l’impronta di carbonio italiana attraverso l’applicazione di tecnologie innovative.

La ricerca indica diversi punti su cui accelerare fin d’ora. In primo luogo, l’Italia dovrebbe consumare ed diminuire le emissioni migliorando l’efficienza dei processi esistenti, e in questo la tecnologia digitale è la chiave per raggiungere gli obiettivi. Partendo da un assunto: entro il 2030, l’economia mondiale crescerà del 40% ma dovrà consumare il 7% in meno per essere in linea con l’obiettivo “net zero” entro il 2050. «Abbiamo oltre 5.000 dipendenti in Italia, che lavorano nei nostri nove siti, 14 uffici e cinque centri di ricerca e sviluppo. Questo Paese è rinomato per il suo spirito imprenditoriale e per le tecnologie d’avanguardia». Alistair Dormer, Chief Environmental Officer di Hitachi, spiega quali sono le strategie e gli obiettivi del colosso nipponico. E lo fa durante l’evento “Race To Zero” organizzato da Bcg e Hitachi. Partendo dal presupposto che indietro non si torna e che gli sforzi che i governi mondiali stanno compiendo per arginare il cambiamento climatico non saranno sufficienti per evitare l’incremento di 1,5 gradi di temperatura e arrivare alle emissioni nette pari a 0 di Co2 entro il 2030. Non solo: l’Ipcc ha dichiarato che gli esseri umani sono inequivocabilmente responsabili del cambiamento globale.







«C’è una grandissima opportunità – ha chiosato Dormer – di ottenere non soltanto un ritorno ai livelli pre-Covid, ma di plasmare un mondo migliore per domani. Abbiamo messo a punto quattro ricette per la decarbonizzazione: la prima è consumare di meno ed emettere meno, migliorando l’efficienza dei processi esistenti. Stanno arrivando grandi progressi dalla filiera dei rifiuti, ad esempio, per riuscire a creare un ciclo positivo».

Gli investimenti sull’esistente

Alistair Dormer, Chief Environmental Officer di Hitachi

Nell’anno in corso, secondo il Politecnico di Milano, quasi il 20% degli investimenti in soluzioni hardware è stato per interventi sul processo produttivo (373 milioni di euro), il 18% per impianti di cogenerazione (350 milioni), il 15% per sistemi di combustione efficienti (circa 300 milioni) e il 12% per l’illuminazione (240 milioni). I 168 milioni di euro investiti in soluzioni software, invece, si sono concentrati su monitoraggio e sensoristica di base (oltre il 65% del totale). La data valorization a supporto delle decisioni di ottimizzazione dei consumi è utilizzata da circa due terzi delle imprese, ancora troppo poco. In secondo luogo, l’Italia dovrebbe aumentare l’energia primaria derivante da fonti rinnovabili, cambiando progressivamente il mix. Quasi 1 tonnellata di CO2 su 3 oggi deriva dal solo settore energetico, ma entro il 2050 il settore sarà dominato globalmente dalle rinnovabili e l’elettricità rappresenterà quasi il 50% del consumo totale di energia a livello globale – rispetto al 20% circa di oggi. Per citare una fonte, l’eolico offshore potrebbe diventare un’industria di produzione rinnovabile di 5 GW entro il 2040 – secondo l’ANEV Associazione Nazionale dell’Energia Eolica.

Il piano Cingolani

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Roberto Cingolani, Ministro della transizione ecologica

Un pacchetto da 67 miliardi complessivi: è il piano per abbattere le emissioni messo a punto dal Ministero della transizione energetica guidata da Roberto Cingolani. Partendo dalla concreta certezza che sono tre gli interventi strutturali necessari per abbattere le emissioni: transizione energetica, circular economy e riforestazione. La ricetta è stata spiegata dallo stesso Cingolani nel webinar organizzato da Hitachi e da Bcg dal titolo “Race to Zero: How to Define a Sutainability Plan For Italy”. «Noi metteremo 27 miliardi in un quinquennio nella transizione energetica, che vuol dire aumentare nel mix energetico del paese la parte di energia rinnovabile di oltre il 70 per cento di energia rinnovabile – ha spiegato Cingolani – Solo con l’energia elettrica verde, ha senso cambiare la mobilità, perché è possibile ricaricare attraverso fonti green quei settori che hanno difficoltà reale ad abbattere le emissioni: Parlo delle cartiere ma anche delle acciaierie con forni elettrici. Se portassimo avanti la transizione energetica utilizzando energia da gas o da carbone, di fatto staremmo andando avanti a produrre Co2, e l’abbattimento delle emissioni» rimarrebbe un miraggio.

Il secondo piano su cui si concentrerà l’attività del dicastero guidato da Cingolani è quello della circular economy. Sul settore verranno investiti 20 miliardi in cinque anni, mettendo in campo tutte le misure di efficientamento energetico degli impianti già esistenti e di gestione innovativa di quelli di nuova costruzione. Solo così sarà possibile procedere all’abbattimento indiretto dell’anidride carbonica. «Si tratta – ha aggiunto il ministro – di di portare al paese a un livello di differenziazione del rifiuto di circa l’80%, in modo da riuscire con una differenziata di alta qualità, ed è alta tecnologia, con il 65% del rifiuto completamente riciclato e non più del 10% del rifiuto in discarica». Infine, la terza “gamba” dell’azione del dicastero di Cingolani, quella della riforestazione del ripopolamento dei mari, in modo da poter sfruttare anche questi ecosistemi in un’ottica di abbattimento delle emissioni di Co2. In questo caso – ha concluso il ministro – «il governo ha messo sul piatto 20 miliardi di investimento per migliorare lo stato di salute delle acque e delle foreste».

La missione 2 del Pnrr: la transizione ecologica

Il nuovo mondo delle ferrovie

Il Piano di investimenti per lo sviluppo dell’infrastruttura ferroviaria nell’ambito del Pnrr per il 10% è destinato a Rfi, circa 23 miliardi di euro. «Il Piano degli investimenti di sviluppo – spiega Vera Fiorani, Ceo di Rfi – dell’infrastruttura ferroviaria, che è parte del Pnrr, di cui Rfi gode in una misura del 10 per cento, sono circa 23 miliardi di investimenti che devono essere realizzati entro il 2025 e che hanno tre filoni: sviluppo d’infrastrutture ferroviarie in alta velocità per il trasporto delle persone; molti investimenti per favorire l’intermodalità, cioè il modo in cui si scambiano sistemi di trasporto ; terzo filone l’accessibilità alle stazioni ferroviarie». L’obiettivo è rendere più facile l’accesso alle stazioni, che sono le nostre porte d’ingresso al sistema ferroviario, sono 2.300. Ogni modalità che troviamo, su cui stiamo lavorando, ben 700 milioni per investire solo sulle stazioni, per fare in modo di arrivare in stazione con qualunque mezzo in facilità. E lì scambiare, attraverso meccanismi di mobilità dolce, più urbani, e salire sul treno.

Gli investimenti sulle reti ad alta velocità e alta capacità nonché sui nodi ferroviari nazionali e regionali,
con particolare attenzione al Mezzogiorno (compresi quelli per l’accessibilità delle stazioni ferroviarie),
ridurranno il divario in termini di infrastrutture ferroviarie esistenti, incidendo positivamente sulla qualità
dei servizi e sui tempi di percorrenza e migliorando la coesione sociale

La mobilità di nuova concezione

Renato Mazzoncini, amministratore delegato A2A

Guardando alla mobilità, il settore dei trasporti (aerei, ferroviari, marittimi, autotrasporti pesanti e leggeri) è responsabile di circa il 16% delle emissioni globali di gas serra (GHG) e del 28,6% di quelle italiane (99,5 milioni di tonnellate di CO2 equivalente). Attualmente, il maggior contributo alle emissioni è dato dal trasporto su strada, principalmente auto e autobus (93%). I combustibili fossili rappresentano ancora la principale fonte di energia.  «Agganciandosi al tema dell’economia circolare – ha spiegato Renato Mazzoncini, amministratore delegato di A2a – bisogna capire come produrre idrogeno green per la mobilità a costi sostenibili. Attualmente, il break even è fissato intorno ai 6-7 euro al Kg, mentre al momento ci troviamo ancora intorno ai 12-13 euro, ben lontani da un costo sostenibile. Questo perché l’elettrolizzatore al momento può lavorare solo per 1.500 ore l’anno. Un lavoro che stiamo facendo è quello di progettare un dispositivo da attaccare ai termovalorizzatori perché producano energia green, magari bruciando materiali come il legno. In questo modo non si pagano gli oneri di sistema, che valgono il 60% del costo della bolletta, e si ottiene un dispositivo che può lavorare 8.000 ore all’anno. A quel punto i costi si abbatterebbero in maniera enorme».

Realizzare nuovi termovalorizzatori è sempre complesso, si tratta di opere impattanti sia dal punto di vista delle persone, sia per quanto riguarda il territorio. Ma la stima di A2a è che i termovalorizzatori oggi già esistenti (o, al più, già autorizzati) siano sufficienti per la produzione dell’idrogeno necessario alla mobilità dei mezzi pesanti e dei (pochi) treni che useranno questo elemento per muoversi. «Ci sono almeno tre esigenze fondamentali – ha concluso Mazzoncini – per procedere con una svolta energetica corretta. La prima è la costruzione di Gigafactory, ne servono almeno 160 nel mondo. Un altro è quello delle reti. Soltanto a Milano dobbiamo raddoppiare la potenza energetica, il che significa circa due miliardi d’investimenti. Da notare, però, che dal 1975 al 2016 non è stata realizzata neanche una cabina primaria d’alimentazione in più (un complesso grande come un campo da calcio), mentre ne serviranno sette o otto nei prossimi anni, oltre a 1.000 secondarie e a 2.000 km di reti elettriche. Significa “disfare” completamente la città. Infine, bisogna concentrarsi sull’economia circolare, sul riciclo delle batterie delle auto elettriche, per esempio, un po’ come sta avvenendo con la siderurgia che usa i rottami per alimentarsi. Possiamo creare una filiera del riciclo. Tra l’altro, per restare all’attualità, stiamo vedendo un aumento dei costi dell’energia proprio nel momento in cui l’Europa si dota di un sistema che la rende quasi autonoma. È una delle ultime volte che la geopolitica influirà sul prezzo dell’energia e chi dice che questo è il costo della transizione energetica dice qualcosa di falso e di poco onesto intellettualmente».

Una rete di trasporto digitalizzata, a basso impatto ambientale ed efficiente è infatti una condizione
necessaria per una crescita economica sostenibile, creando una connettività più intelligente, rapida e
sicura in tutta Italia e migliorando la competitività e la produttività dei territori collegati

Il trasporto all’interno delle città

Nikolaus Lang, managing partner della sede tedesca di Bcg

Boston Consulting Group ha condotto un esperimento su dieci diverse città nel mondo per complessivi 1,7 miliardi di spostamenti quotidiani. «È incredibile – chiosa Nikolaus Lang, managing partner della sede tedesca di Bcg – quanto rapidamente possano cambiare le città a seconda dello split modale. Abbiamo considerato cinque diverse dimensioni che vengono prese in esame e che sono variabili: i costi, le emissioni, la salute, la congestione del traffico e lo spazio. Se si ottimizzasse il trasporto pubblico di Berlino, nel migliore scenario, si otterrebbero 1,6 miliardi di dollari di risparmio. Se a Los Angeles sostituissimo le automobili con sistemi di bus e shuttle, ridurremmo la Co2 di 2,7 milioni di metri cubi all’anno. A New York lo spazio occupato dalle automobili, se venisse liberato, garantirebbe la possibilità di avere a disposizione un’estensione pari a 10 Central Park». Oggi il mondo dei trasporti è responsabile del 16% delle emissioni di gas serra e del 28% nella sola Italia. Tra l’altro, le ferrovie rappresentano solo il 6% del trasporto in Italia, contro il 7,9 in Europa. Spostare il 10% del trasporto su strada verso i “binari” è un obiettivo che deve essere raggiunto entro il 2026. E poi ci sono le città: anche in questo caso ci sono grandi sfide relative alla mobilità. Basti pensare al rinnovamento del parco autobus e all’installazione delle infrastrutture di ricarica che consentono di ridurre i consumi.

«Bisogna, infine, parlare di carburanti e di nuove fonti di approvvigionamento – aggiunge Dormer – come nel caso dell’idrogeno e dei biocarburanti. Si tratta di propellenti che permettono di abbattere le emissioni e che sono particolarmente indicati per i trasporti pesanti». Le flotte di trasporto pubblico e commerciale, come gli autobus (e i furgoni per le consegne e i camion), giocheranno un ruolo importante nel guidare la strada verso l’elettrificazione dei trasporti, perché è probabile che si convertano all’elettrico prima dei veicoli personali. E poiché i veicoli commerciali hanno un tasso di utilizzo più elevato, gli operatori delle flotte possono realizzare un recupero più rapido sugli investimenti in veicoli elettrici a causa dei minori costi di gestione e manutenzione. Il parco autobus italiano per il trasporto pubblico presenta un’età media significativamente superiore alle controparti UE: cioè 10,5 anni contro 7 anni, quindi, è caratterizzato da un elevato consumo di carburante e di emissioni di carbonio. Il rinnovo degli autobus – se supportato dalla realizzazione delle infrastrutture dedicate – porterebbe alla dismissione di tutti gli Euro 0, Euro 1 e parte degli Euro 2 (circa il 60%) degli autobus per il trasporto pubblico locale entro il 2026. Il potenziale di riduzione delle emissioni di gas serra per gli autobus elettrici alimentati da elettricità rinnovabile è stimato tra il 75% e il 90%.

La posizione di Atm

Arrigo Giana, ad Atm

La chiave per risolvere la sfida della mobilità urbana è immaginare la rete di trasporto di una città come un ecosistema che ha al suo centro un orchestratore in grado di consolidare i dati di tutte le modalità di viaggio pubbliche e private e dell’infrastruttura di trasporto della città da un lato, e dall’altro di offrire in un’interfaccia cliente un’opzione di mobilità end-to-end con il viaggio più efficiente possibile. Questo sta accadendo nelle principali città del mondo e anche in Italia dove stanno nascendo dei progetti pilota. «Il flagship del nostro piano industriale – ci racconta Arrigo Giana, ad di Atm – è la sostituzione di tutta la flotta degli autobus entro il 2030: stiamo parlando di circa 1.300 mezzi alimentati a diesel. Oggi abbiamo già acquistato 200 autobus elettrici. Però serve un aiuto da parte delle istituzioni, perché noi paghiamo l’elettricità quasi quanto i privati. Infine, per quanto riguarda il mobility as a service permette di rendere collettivo il trasporto pubblico, a patto che sia integrato con la micromobilità, il bike sharing e le altre modalità di trasporto».














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