Banking per alimentare l’industria: il caso Cioccolatitaliani/Banca Ifis

di Filippo Astone e Laura Magna ♦︎ Nel momento di una ripartenza economica piena di incognite, questa storia di finanza innovativa e al tempo stesso old style merita di essere ripercorsa. La catena di cioccolaterie con un nuovo business model ha potuto fare i primi passi grazie a un finanziamento basato sul piano industriale, concesso andando ben oltre i tradizionali criteri contabili. Ciò le ha consentito di rafforzarsi fino all'ingresso nel capitale di un private equity (il fondo Mir di Banca Intesa e Gazprombank) che le sta facendo fare il salto di qualità

Finanza per alimentare l’industria: per noi di Industria Italiana è un tema ricorrente, e rappresenta la ragione principale per cui ci occupiamo, talvolta, del tema finanza, nell’ambito di un mix di temi che privilegia l’economia reale e tutto ciò che serve a innovarla facendola crescere e migliorare. Insomma, nel mondo interconnesso e globalizzato, sempre più elettronico e all’apparenza spersonalizzato, è ancora possibile un credito che guardi al progetto d’impresa più che ai parametri ragionieristici? Talvolta sì, ed è per questo motivo che – in apertura di una stagione economica difficile per i postumi del Covid-19 – ci piace raccontare la storia di Banca Ifis e Cioccolatitaliani. Perché questa storia, iniziata qualche tempo fa, vede un modello di business innovativo sposarsi a un modo di fare banking altrettanto innovativo. Ed è particolarmente interessante nel momento in cui il retail è alle prese con una crisi congiunturale durissima.

 







I dettagli dell’operazione

L’ad di Banca Ifis Luciano Colombini

Il modello di business innovativo è incardinato intorno a due idee: focalizzare tutta l’offerta alimentare – dalla gelateria, alla pasticceria, al caffè – sulla valorizzazione di un singolo prodotto (in questo caso il cioccolato), che viene lavorato a vista dentro ai negozi, che hanno un layout moderno e in qualche modo “popolare” rispetto alle tradizionali cioccolaterie, che sembrano talvolta boutique di lusso. E costruire una catena di ristorazione con lo stesso format in tutto il mondo e che sia replicabile con prodotti anche molto diversi. Dopodiché riprodurla con la pizza di Pie, Pizzeria italiana espressa (e qui l’innovazione sta nella possibilità di scegliere in tempo reale tutti gli ingredienti, facendosela preparare veloce e personalizzata), seconda linea messa in piedi da Gesa srl, la società della famiglia Ferrieri che detiene il marchio Cioccolatitaliani. La Gesa in questione è una piccola realtà nel food retail (con 18 milioni di fatturato ed ebitda di 2,5 milioni nel 2019), che presenta dunque parametri di rischiosità elevati secondo Basilea, una realtà che difficilmente sarebbe riuscita a ottenere credito nelle quantità e nella forma tecnica necessarie per il suo sviluppo dalle banche tradizionali. Ma il progetto e l’imprenditore alle spalle, il fondatore e ceo Vincenzo Ferrieri, hanno convinto al di là dei numeri Cataldo Conte, responsabile Corporate & Investment Banking di Banca Ifis. Da entrambi i protagonisti ci siamo fatti raccontare com’è andata, per capire il modello e individuare la sua replicabilità.

La storia di Banca Ifis e Cioccolatitaliani vede un modello di business innovativo sposarsi a un modo di fare banking altrettanto innovativo. TourPMI 2017 | photo credits: andrea verzola www.andreaverzola.com

Innanzitutto, vale la pena ricordare la natura dell’operazione, che è stata conclusa nel 2017 ed è consistita nella sottoscrizione di più linee di finanziamento per un ammontare di 4,7 milioni di euro. I finanziamenti erano finalizzati, tra l’altro, al raddoppio del numero di punti vendita di Cioccolatitaliani nel biennio 2016-2018 e allo sviluppo nel canale travel retail, con nuove aperture all’interno di stazioni ferroviarie e aeroporti.

Non solo questo è avvenuto, ma quella operazione ha portato l’azienda a fare un ulteriore passo sul fronte della finanza, aprendo a fine 2019 il capitale della holding di controllo Gesa al fondo di private equity italo-russo Mir Capital, costituito da Gazprombank e Intesa Sanpaolo, che ne ha sottoscritto una quota di minoranza impegnandosi a finanziare un aumento di capitale da 9 milioni di euro. L’operazione – che ha visto come advisor Vitale & Co e la stessa Banca Ifis – non ha solo iniettato liquidità preziosa per lo sviluppo, ma ha valorizzato l’azienda con multipli a doppia cifra. Anche grazie a questo ulteriore sostegno, Cioccolatitaliani oggi conta 28 punti vendita in Itala e 12 all’estero, ma mira ad arrivare a 120 in un triennio, secondo quanto previsto dal nuovo piano industriale.

 

Storia di una start-up nel retail

Sebastien Egon Fürstenberg,
Presidente Banca Ifis

Lo start di Cioccolatitaliani è nel 2009: Ferrieri, studente napoletano emigrato a Milano, si era laureato alla Bocconi conservando sempre un forte legame con la sua terra di origine e con la famiglia di pasticcieri in cui è cresciuto. Lavora nell’alta finanza ma sente che non è la sua strada: allora a un certo punto accoglie l’idea paterna di aprire una pasticceria a Milano, in via De Amicis, nel quartiere ticinese. «All’epoca il food retail era all’inizio, oggi Milano ne è la capitale. Prima di aprire, avevamo lavorato un anno, girando tutto il mondo a caccia di idee e alla fine abbiamo scelto di puntare sul cioccolato. Con il primo punto vendita siamo stati subito bene accolti dal mercato, ma è stata l’apertura in Duomo, a farci fare il salto di qualità». Il negozio del Duomo è una vetrina sul mondo e questo ben si sposta con l’illuminazione che nel frattempo Ferrieri ha avuto: costruire una catena di ristorazione, basata sul concept iniziale. È un progetto a cui lavora due anni, necessari per standardizzare il format e creare i manuali operativi. «Il successo di un brand lo fa al 3% l’idea e per il resto la sua realizzazione: ho sempre creduto che la qualità di un imprenditore si riconosca dal talento dei suoi collaboratori e io da subito mi sono circondato dei più bravi ciascuno nel proprio campo».

Il modello di Cioccolatitaliani è ripetibile, tanto che nel 2017, come si diceva, il gruppo Gesa ha diversificato nella pizza, con Pie, Pizzeria Italiana Espressa. La prima pizzeria apre ad Arese, la seconda nella Food Hall di Citylife e la terza nei pressi del Duomo. Insieme al multibrand, che Ferrieri intende proseguire anche attraverso acquisizioni mirate, l’imprenditore ha internazionalizzato il business aprendo già diversi negozi in Medio Oriente e nei Balcani con l’obiettivo di svilupparsi nel mercato europeo nei prossimi anni. «L’ultima apertura, che risale ad agosto, è avvenuta a Riad. Per il 2020 avevamo previsto 25 aperture ma credo ci fermeremo a 12». Un rallentamento necessario per osservare come si evolverà il mercato. «Ovviamente i volumi sono stati in calo, ma quello che è più interessante è vedere come si evolverà la situazione con l’autunno: potrebbe essere necessario rivedere le strategie di sviluppo nelle zone a elevata densità di uffici, ma anche il layout dei negozi fisici in base alla crescita del digitale. Se gli ordini online diventano il 30% del fatturato dal 5% attuale sarà necessario uno spazio all’interno del negozio per lo stazionamento dei rider».

 

Le caratteristiche di un buon deal banca-impresa

Cataldo Conte, responsabile Corporate & Investment Banking di Banca Ifis

Nelle parole di Ferrieri è ben visibile il suo concetto di fare impresa e in fondo anche quello che ha convinto Banca Ifis a partecipare a questa avventura. «Quando sono arrivati in sede alle 17 di un pomeriggio qualsiasi, con le loro scartoffie io ho letto il fuoco sacro nei loro occhi e questo mi ha convinto: loro credevamo se ne sarebbero andati con un “le faremo sapere” e invece li abbiamo finanziati», dice Cataldo Conte di Banca Ifis. «Le caratteristiche principali che cerco in un’azienda sono due: il potenziale di crescita e la capacità dell’imprenditore di gestire e in determinati frangenti anche a  proteggere il business e dunque il nostro investimento». Ciò detto la banca deve avere anche il coraggio di osare. «Abbiamo finanziato questa storia produttiva con un finanziamento pari quasi al doppio del suo ebitda attuale (e circa cinque volte quello del 2017), che è un dato non banale. Una banca tradizionale avrebbe potuto dare a Cioccolatitaliani 500mila per l’apertura del primo negozio prevedendo la prima rata dopo sei mesi, indipendentemente dal fatturato prodotto e da una necessaria fase di ramp-up che noi invece consideriamo con piani di ammortamento più lunghi e flessibili».

Ma anche gli imprenditori devono fare la propria parte

Ma se la banca deve gettare il cuore oltre l’ostacolo è pur vero che gli imprenditori devono altrettanto fare la loro parte, strutturando le proprie imprese. Ed è lo stesso ceo dell’azienda del food retail a confermarlo: «Raramente una small cap come la nostra riesce ad avere le competenze, la credibilità e la trasparenza per condurre e chiudere operazioni del genere. Noi pubblicavamo il bilancio consolidato su base volontaria e poi abbiamo scelto di farci certificare da PwC: questo ci ha reso trasparenti e più bancabili. La nostra partnership con Banca Ifis è un segnale molto importante al mercato e certifica che il nostro marchio oggi ha grandissime potenzialità di sviluppo, ha credibilità e ha un management in grado di confrontarsi con operatori che fino ad oggi finanziavano solo grandi gruppi industriali. Questa operazione dice anche un’altra cosa: il mondo bancario finalmente sta cambiando e sta focalizzando l’attenzione sulla vera ossatura economica del nostro paese, ovvero le Pmi».

 

Banca Ifis e il sostegno all’economia reale

Banca Ifis è un gruppo specializzato e diversificato che definisce la sua mission come “sostegno dell’economia reale”. E’ stata fondata nel 1983 da Sebastien Egon Fürstenberg, che ne è ancora oggi presidente e azionista, mentre l’amministratore delegato è Luciano Colombini, già al vertice di altri importanti gruppi creditizi. Nata nel factoring, Banca Ifis ha costruito la sua crescita attraverso l’attività di acquisto e ristrutturazione di portafogli di Npl, ma ha sempre guardato con attenzione anche al commercial e investment banking. Quest’ultimo settore è diventato particolarmente importante dopo l’acquisizione, nel 2016, dell’ex Interbanca, da General Electric. Attraverso la divisione di Corporate & Investment banking, Banca Ifis ha realizzato a oggi oltre 300 operazioni di finanza strutturata nel food, nel pharma, nella meccanica supportando imprese come Bianalisi, Enoplastic,  CRM, Namirial, Celli, Rino Mastrotto, SIFI, Sintetica, Mediolanum Farmaceutici, Golden Goose.

La case history che abbiamo appena raccontato su Cioccolatitaliani rappresenta, per Banca Ifis, un approccio largamente praticato. Le aziende target sono soprattutto medie società del centro e nord Italia, con fatturato compreso tra i 30 e i 500 milioni di euro ed Ebitda tra gli 5 e i 100 milioni di euro. I settori prevalenti sono quelli industriali del made in Italy classico, in testa il food e la meccanica di precisione con un focus sulla farmaceutica. Tra di esse, ricordiamo la sottoscrizione del finanziamento  di complessivi 65 milioni di euro a supporto di Columna Capital Partners  nello sviluppo del Gruppo Bianalisi.

Il Gruppo Banca Ifis, che conta circa 1.800 dipendenti, ha chiuso la prima metà dell’anno con un utile netto a 37 milioni di euro, al netto di rettifiche e svalutazioni per 36 milioni di euro (pre tasse) per effetto del Covid-19. L’utile dell’esercizio 2020 è ora atteso tra 50 e 65 milioni di euro.














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