Automotive: il grande malato dell’industria italiana in questo momento difficile

Aventador S line (14)
Lamborghini: linea di montaggio Aventador

di Filippo Astone ♦ I recenti dati sugli ordinativi di dicembre ribadiscono la crisi della nostra manifattura: -7,7% su base annua. A pesare è soprattutto il calo dei mezzi di trasporto: – 11,4%. Calano anche i prodotti farmaceutici (-14,&%), i computer e le apparecchiature elettroniche (- 20,3%) i prodotti chimici (-5,3%) e altri comparti. Ma il vero nodo è l’auto. E non è certo colpa del Governo…

Che l’industria automobilistica italiana abbia problemi lo hanno scritto in molti, perlopiù con toni soft, magari trincerandosi dietro giri di parole o ragionamenti di sistema. O sfruttando l’occasione per dare l’ennesima colpa al Governo Conte, a causa dell’ecotassa sulle vetture diesel, iniziativa insensata, ma non certo responsabile dello sfascio di questo importante comparto. Comunque, la realtà dei fatti è molto semplice: l’automotive è il grande malato dell’industria italiana, e il suo rallentamento è la ragione principale del recente crollo della produzione industriale, che nel dicembre 2018 ha perso il 5,5% rispetto allo stesso periodo del 2017, e che per i mesi futuri non promette nulla di particolarmente buono.

Certo, la produzione industriale è calata anche a causa della congiuntura mondiale e di alcune scelte forse non particolarmente felici del nostro Governo Lega – 5 Stelle. Inoltre, sono caduti anche altri settori. Ma il nodo più forte è comunque quello dell’auto, il cuore della nostra manifattura. Con circa 93 miliardi di ricavi, l’auto vale il 6% del nostro pil (ma indirettamente assai di più), dà lavoro a 5 mila aziende e 200 mila persone. L’auto ha un forte impatto anche su tutti gli altri settori industriali, visto che una macchina è fatta di acciaio, gomma, plastica, elettronica.







 

Il presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte: Il cattivo andamento dell’automotive non è da imputare agli effetti della politica del governo Lega-5 Stelle

La debacle dell’automotive

Nello stesso periodo (dicembre 2018 su dicembre 2017) in cui la produzione industriale è calata, come si diceva, del 5,5%, l’automotive è sceso del 12,3%. Ha sofferto soprattutto la produzione di autoveicoli (-16,6%) ma anche i componentisti sono calati del 9,2%. La componentistica automotive (con multinazionali come Magneti Marelli, Sogefi, Brembo, Trw, Skf) vale 46,5 miliardi, esattamente la metà dell’intero settore. Se la produzione va male, i dati sulle vendite (ordinativi) di dicembre 2018, appena comunicati dall’Istat, sono ancora peggio. Il calo generale è del 3,5%, rispetto al mese precedente e ben del 7,3% su base annua, massima escursione negativa dal novembre 2009. In termini di indice, l’industria è regredita ai livelli dell’aprile 2017. L’unico settore che tiene sono macchinari e attrezzature, che addirittura crescono del 5,4%, confermando un importante primato italiano. Perdono tutti, e in particolare il settore più grosso, ovvero la produzione di mezzi di trasporto, che segna un – 11,4%. Certo, i prodotti farmaceutici fanno -14,6%; i computer e le apparecchiature elettroniche – 20,3%; i prodotti chimici -5,3%; legno e carta -3,7%, eccetera. Ma sono tutti settori molto più piccoli dell’auto.

Se Atene piange, Sparta non ride

Per quanto riguarda le vendite di auto, i dati europei del gennaio 2019 sono ancora più tristi. In tutta Europa le commercializzazioni sono scese del 4,6%, ma Fca ha perso ben 14,9%. Soffrono soprattutto Fiat (-19.6%) e Alfa (-36,1%). Il brand Fiat nel 2018 non ha proposto al mercato alcun nuovo modello. Sia Fiat e sia Alfa hanno investito poco o niente sull’auto elettrica e sono esposti a una concorrenza molto ben attrezzata sia sul mercato generalista e sia su quello sportivo. Le difficoltà di Fca sono alla base della recente discesa del titolo da 18 a 14 euro, e hanno spinto Ubs a pubblicare un report molto critico sul titolo della casa automobilistica guidata da Istat, nel quale vengono sottolineate non solo le problematiche europee, ma anche il fatto che gli utili in America siano al di sotto delle aspettative.

 

La palazzina del Lingotto

 

Le ragioni della crisi produttiva

La produzione di autoveicoli è in forte crisi per almeno quattro motivi. Il primo è che si tratta di un settore che, da quando è nato, è caratterizzato da forte ciclicità: a periodi di forte sviluppo (in genere di 4-6 anni) durante i quali c’è la corsa a comprare la macchina nuova, seguono periodi di riflusso (altri 4-6 anni) durante i quali le vendite stagnano. L’auto è stato il principale driver della crescita industriale degli anni passati, ma non poteva svilupparsi all’infinito. Prima o poi la fase di riflusso sarebbe sicuramente arrivata. Chi scrive fece notare che il riflusso dell’auto sarebbe arrivato sicuramente già nel 2017 e nel 2018, quando conduceva Fabbrica 2.4, programma di Radio 24 dedicato all’industria e alla manifattura. Non si trattava di essere profeti di sventura, ma solo di raccontare il reale, per quanto scomodo.

Il secondo motivo sono le normative internazionali che penalizzano i motori diesel, nei quali noi italiani siano tradizionalmente assai forti. Poi ci sono i dazi di Trump, che come vedremo hanno penalizzato il comparto della componentistica. Quarta, ma non meno importante ragione, la strategia di Fca che è ormai un’azienda americana, che vive soprattutto dei brand Jeep e Ram, e ha deciso da tempo di ridurre il più possibile il suo impegno in Europa e in Italia. Il rilancio condotto negli anni passati da Sergio Marchionne è stato soprattutto un’operazione di riposizionamento negli Stati Uniti, come ha scritto Industria Italiana qui  e e qui.

Anche perché, grazie a questa strategia, la Fiat di allora ottenne dall’amministrazione di Barack Obama la possibilità di acquisire Chrysler con tutti i suoi brand senza spendere praticamente nulla. Ciò andava incontro alle esigenze di Exxor, cioé degli azionisti Agnelli-Elkann, che volevano tornare a guadagnare senza mettere mano al portafoglio, anche a costo di diluirsi nel tempo. Certo, la fabbricazione di veicoli è ancora importante per l’economia italiana, ma il numero di vetture prodotte è residuale a livello internazionale. Nel 2018 sono usciti dalle officine italiane circa 700 mila veicoli, rispetto agli 1,4 milioni della Repubblica Ceca e alle 900 mila euto della Slovacchia. Per non parlare degli otto milioni di vetture prodotte in Germania.

 

John Elkann alla inaugurazione dell'impianto Maserati a Grugliasco
John Elkann alla inaugurazione dell’impianto Maserati a Grugliasco

 

L’interrogativo Fca

Che succederà alla parte italiana ed europea dell’americana Fca? Si questo punto, c’è una fitta nebbia. Verrà venduta permettendo all’azienda di Mike Manley di concentrarsi sul resto del mondo e in particolare gli Stati Uniti? E in questo caso chi potrebbero essere i compratori? Gli unici che teoricamente ne avrebbero dei benefici, potrebbero essere dei produttori cinesi, che conquisterebbero una base importante per il Vecchio Continente e magari avrebbero pure un impatto positivo, investendo quel che merita. Ma gli azionisti di Fca avranno mai il coraggio di condurre un’operazione così politicamente e socialmente devastante? Oppure si limiteranno a contenere il più possibile le perdite e a tollerarle? O, ancora, succederà il miracolo e nonostante la scarsità di investimenti l’Fca europea troverà il modo di rimanere in equilibrio? Il tempo ci darà le risposte.

 

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Nello stabilimento Fca di Melfi

E i componentisti?

E poi ci sono i componentisti che, come si è detto, valgono metà dell’intero comparto (quindi 46,5 miliardi di euro) e restano, almeno loro, un punto di orgoglio della manifattura italiana. Nel loro caso la crisi è più congiunturale che strutturale. Sui componentisti pesano soprattutto la ciclicità del settore e la questione dei dazi. I componentisti italiani vendono soprattutto in Germania: è naturale che il rallentamento dell’auto nel Paese guidato da Angela Merkel abbia prodotto anche una diminuzione degli ordini qui. Inoltre, l’effetto diesel è stato letale anche per loro. I dazi di Trump verso la Cina, valevoli dal 2019, hanno prodotto un incremento degli ordini di componenti nell’ultimo trimestre del 2018, per pagarli di meno. E questo incremento ha avuto un effetto importante su tutta la supply chain, anche su produzioni bel lontane dalla Cina.

In ogni caso, alla luce di tutti questo dati di realtà, si può legittimamente sostenere che la colpa della crisi dell’auto sia di questo Governo? Forse, questa ipotesi merita il beneficio del dubbio.














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