Il manifatturiero salva l’Italia. Ma le pmi nel complesso sono messe assai male

di Marco Scotti ♦︎ Uno studio del PoliMi lancia l’allarme: l’85% delle aziende ha subito un crollo del fatturato. Per ripartire serve affidarsi alle tecnologie. Ma se il cloud è ormai quasi una commodity, solo il 9% utilizza IIoT. E sull’online la situazione è più grave: il 20% non ha neanche il sito, il 40% non ha figure dedicate all’Ict. Se n’è parlato alla Fiera A&T, con Luciano Malgaroli, Maurizio Marchesini, Stefano Quintarelli, Guido Saracco, Laura Rocchitelli, Claudio Ambra

«A seconda dell’approccio verso l’intelligenza artificiale l’Europa può perdere 400 miliardi di pil se dovesse fare resistenza o generare maggiore ricchezza per tre trilioni. Ma finché non si capirà che la cultura non è solo quella letteraria ma anche quella tecnologica rischiamo di guardare alla digital transformation con snobismo». Stefano Quintarelli, informatico ed ex parlamentare, il “papà” dello Spid, uno dei pochi politici che abbia saputo comprendere il ruolo dirimente del digitale nelle vite degli italiani, ci spiega come sia fondamentale pensare al futuro in un’ottica permeata da una trasformazione digitale che stenta a decollare. E lo fa durante il convegno inaugurale della fiera A&T (Automation and Testing) che dal 10 al 12 febbraio porta la manifattura al centro della scena.

«Siamo giunti alla quindicesima edizione della nostra rassegna – ci racconta il ceo della fiera Luciano Malgaroli – quest’anno con una formula completamente digitalizzata. Il nostro obiettivo è far nascere qualcosa di nuovo e utile per creare opportunità di business. Vogliamo consentire alle persone di interagire. Il nostro scopo è costruire un nuovo strumento utile alle aziende espositrici e ai visitatori per trovare opportunità di networking».







Durante il dibattito è stata presentata una ricerca condotta dal Politecnico di Milano, “Pmi, industria e digitale: la sfida è adesso”. Un documento da cui emerge un quadro piuttosto desolante se si parla di digitalizzazione riferito alle piccole imprese con un fatturato fino ai 50 milioni di euro. Solo un quarto del campione ha portato avanti azioni per l’automazione dei processi.

 

Le pmi nel manifatturiero: un ruolo tra luci e ombre

Le piccole e medie imprese manifatturiere rappresentano il 31% delle pmi totali in Italia, occupano il 34% del complessivo e portano il 41% del valore aggiunto delle pmi. Un ecosistema enorme che ha bisogno di essere indirizzato e guidato in una fase tanto delicata come quella attuale dove viviamo tendenze contrapposte con spinte contrapposte. Da una parte l’esigenza di “portare a casa la pelle” dopo un 2020 drammatico. Dall’altra la necessità di innovare per evitare di restare fuori dal mercato in cui si muovono. Serve una guida e il Politecnico di Torino (così come quello di Milano con il Made) è molto attivo. Ad esempio, supporta il Competence center Cim4.0 guidato da Enrico Pisino. «Ci muoviamo – ci spiega il rettore del Politecnico di Torino Guido Saracco – in un’ottica 4.0. Il Competence center ha iniziato a lavorare per fare massa critica e per offrire un servizi, seguendo anche quello che viene chiamato “last mile” dell’innovazione. Per questo abbiamo già allestito delle linee produttive di additive manufacturing. Come Politecnico ci sentiamo anche pronti per diventare veicolo di investimenti ».

Le piccole e medie imprese manifatturiere rappresentano il 31% delle pmi totali in Italia, occupano il 34% del complessivo e portano il 41% del valore aggiunto delle pmi

Il momento difficile delle pmi, ancora poco digitalizzate

Le pmi stanno vivendo un momento difficile, se si escludono quelle che hanno beneficiato di particolari “boom” come il delivery. Oltre l’85% del campione censito dal Politecnico nella sua survey ha dichiarato una perdita di fatturato a seguito del lockdown e il 40% con un “costo” superiore al 50% delle revenue dell’anno precedente. Il secondo lockdown, invece, ha visto l’industria accusare meno il colpo, ma il comparto ha subito una vera botta e le pmi sono state le più penalizzate. Da questo punto di vista va notato come le pmi manifatturiere si sono dimostrate più attrezzate delle altre a reggere le temperie della crisi economica. «Il 2020 – ci spiega Giorgia Sali, direttrice dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle Pmi del Politecnico di Milano – ha reso evidente quanto il digitale sia un elemento necessario per la sopravvivenza, non solo in un momento emergenziale in cui garantisce continuità grazie alla remotizzazione dei processi e consente di rendere più snelli ed efficienti i processi, migliorando la produttività e la competitività delle performance economiche. La priorità delle pmi deve essere quindi la trasformazione digitale».

Meglio anche le performance del digitale a supporto di amministrazione, finanza e controllo, anche se rimane scarsa l’integrazione tra i processi con gli Erp

Scendendo più nel dettaglio, lo studio fotografa ancora una scarsa dimestichezza delle pmi manifatturiere con le tecnologie di Industrial IoT in fabbrica: il 65% ammette di non conoscerle, solo il 9% le applica, anche se l’interesse è in aumento. Stessa situazione per l’uso del digitale nei rapporti lungo la Supply Chain, in ampliamento, ma comunque ancora marginale (software 35%, sensoristica 7%). Più positivi i dati relativi all’applicazione nel supporto alle vendite, con un incremento importante nel 2020 dell’utilizzo dell’e-commerce (sia tramite piattaforme proprietarie, sia su canali terzi). Meglio anche le performance del digitale a supporto di amministrazione, finanza e controllo, anche se rimane scarsa l’integrazione tra i processi. La diffusione del lavoro da remoto da una parte fa aumentare il rischio percepito e l’esigenza di protezione dei dati portando all’adozione di sistemi avanzati per la sicurezza informatica (38%), dall’altra stimola la crescita dei software in Cloud per gestire le comunicazioni e la collaborazione tra i dipendenti da remoto (39%). Anche le priorità di investimento digitale per i prossimi 12 mesi mostrano una stretta connessione con necessità contingenti, e si orientano verso soluzioni che consentano di portare avanti il lavoro in sicurezza in situazioni emergenziali. Uno scenario che conferma dunque la tendenza della maggior parte delle pmi manifatturiere a ragionare e muoversi entro un asse temporale ridotto, che nel lungo periodo non potrà che incidere negativamente sulla loro competitività e capacità di rimanere profittevoli sul mercato.

Più positivi i dati relativi all’applicazione nel supporto alle vendite, con un incremento importante nel 2020 dell’utilizzo dell’e-commerce (sia tramite piattaforme proprietarie, sia su canali terzi)

Pmi: reattive, tattiche o strategiche?

La survey è stata divisa in tre passaggi: il mondo della strategia verso il digitale e come esso contribuisce a rivedere i modelli di business; i processi core; i processi di supporto. Per quanto riguarda le pmi industriali nel 2021 la prima priorità è quella di investire sulle tecnologie digitali per tutelare la salute dei dipendenti sul luogo di lavoro (34% del campione), seguita dalla gestione digitale della mole documentale (30% delle pmi manifatturiere). Meno di un quarto del campione ha investito in tecnologie per digitalizzare e monitorare il processo produttivo. «Un’ulteriore dimostrazione – aggiunge Giorgia Sali – di come non si sia ancora compreso il ruolo fondamentale del digitale è che i 40% delle pmi non ha figure dedicate a ict, che sono sempre più centrali per competere sui mercati. E poi c’è un dato su tutti che fa riflettere: il 20% delle pmi non è presente online».

Per quanto riguarda le pmi industriali nel 2021 la prima priorità è quella di investire sulle tecnologie digitali per tutelare la salute dei dipendenti sul luogo di lavoro (34% del campione), seguita dalla gestione digitale della mole documentale (30% delle pmi manifatturiere). Meno di un quarto del campione ha investito in tecnologie per digitalizzare e monitorare il processo produttivo

Il Covid ha poi avuto un ruolo da acceleratore per l’adozione di singole tecnologie, come la fatturazione elettronica e la condivisione di documenti in cloud. Quando si parla di integrazione di tutti i processi aziendali, solo il 25% ha integrato un erp per la gestione delle informazioni. Di positivo c’è che il lockdown ha aumentato la diffusione del cloud come tecnologia per garantire l’operatività minima dell’azienda. «Provando a tirare le somme – ci spiega Giorgia Sali – possiamo dire che il 29% delle imprese ha un approccio reattivo al digitale, ossia si rivolge a tecnologie specifiche solo in caso di estrema necessità, senza un percorso strutturato. Il 57% del campione ha un approccio tattico, cioè comincia a vedere le basi della trasformazione digitale ma ancora non è votato al ripensamento del modello di business. Infine, il 14% mostra un approccio strategico: si tratta di pmi che vedono nel digitale uno strumento per potenziare il proprio business, poterlo rivedere per essere sempre più competitivo anche sui mercati esteri».

Il digitale, dunque, non è la panacea di tutti i mali, ma aiuta ad affrontare meglio le crisi perché consente di essere più flessibili e di tenere sotto controllo i dati. Il Covid ha evidenziato i gap e le opportunità connessi al digitale, già chiari nel 2020, con un approccio che però al momento sembra più orientato a un efficientamento dei processi che non a una rivoluzione dei modelli di business. Mancano quindi competenze e cultura: le sfide sono tante, gli imprenditori possono ampliare lo spazio legato a questi temi, ma serve il supporto degli enti territoriali, delle istituzioni che devono garantire con continuità piani strategici per supportare le industrie nel loro percorso al digitale

La diffusione del lavoro da remoto da una parte fa aumentare il rischio percepito e l’esigenza di protezione dei dati portando all’adozione di sistemi avanzati per la sicurezza informatica (38%), dall’altra stimola la crescita dei software in Cloud per gestire le comunicazioni e la collaborazione tra i dipendenti da remoto (39%)

Maurizio Marchesini (Confindustria) su blocco dei licenziamenti e filiere di pmi

Maurizio Marchesini, titolare dell’omonima azienda e Vice Presidente per le Filiere e le Medie Imprese di Confindustria

La crisi economica non può essere risolta se prima non si dà un taglio a quella pandemica. Il che significa portare avanti un programma vaccinale completo che minimizzi l’impatto del virus. Una volta fatto questo sono molti attori a chiedere il ripristino delle cosiddette “regole del gioco”. C’è Confindustria, ad esempio, che chiede di poter tornare a licenziare, perché questo significherebbe consentire alle aziende di ri-organizzarsi, anche se va fatto con adeguati ammortizzatori sociali e piani di re-skilling, per evitare la macelleria sociale. Del resto, i sussidi e gli ammortizzatori sociali a pioggia stanno tenendo in vita quelle che lo stesso premier incaricato Mario Draghi chiama “imprese zombie”.

«Vogliamo un sistema che permetta di occupare le persone – ci spiega Maurizio Marchesini, titolare dell’omonima azienda e Vice Presidente per le Filiere e le Medie Imprese di Confindustria – non che le vincoli a imprese decotte. Bisogna spingere sugli investimenti e incentivare il digitale. Con il governo siamo riusciti ad ampliare sulle norme 4.0. Dobbiamo anche mantenere la liquidità delle imprese e magari la cancellazione della tassazione alle piccole imprese ora in forte difficoltà». Un modo per garantire la digitalizzazione e la sopravvivenza delle imprese c’è. È quello che ha provato a fare Ima che ha vincolato la sua filiera strutturandola in anelli concatenati per garantire la sopravvivenza dell’intero ecosistema. Il digitale rimane l’ossatura di un raccordo di questo tipo tra imprese e capo-filiera.

 

La visione di Exor, un altro modo per interagire

Claudio Ambra, cto di Exor International

Exor International è una media azienda che ha sede a San Giovanni Lupatoto, in provincia di Verona, ed è specializzata nell’assistere le imprese manifatturiere di tutte le dimensioni, anche le piccolissime, nei processi di digitalizzazione e automazione. È presente in tutte le fasi del processo, dalla consulenza all’implementazione, dal software alla realizzazione in house di componenti meccatronici per l’automazione. Una forte componente del fatturato è generata all’estero. Anche ha costruito una piattaforma digitale aperta che consente ai costruttori di macchine di far evolvere il concetto di automazione industriale. «Abbiamo fatto supportare – ci spiega il cto dell’azienda Claudo Ambra – le aziende che hanno bisogno di evolvere con un approccio bottom up per cui chi realizza macchine mette a disposizione una piattaforma cloud digitale per le aziende che fanno servizi. Così generiamo una risposta fondamentale per far evolvere il macchinario». Exor ha come obiettivo quello di acquisire dati in modo sicuro da qualsiasi luogo anche critico su più vendor e protocolli, lavorare con questi dati in tempo reale su edge e quindi inviare questi dati a un cloud robusto per visualizzarli, manipolarli e analizzarli.

 

Digitalizzarsi sì ma con criterio

Il caso della Rold è quello di una media impresa meccanica in un settore tradizionale (la componentistica per elettrodomestici) che ha creato valore diventando meccatronica ed arrivando coltivare competenze tali da sviluppare soluzioni informatiche ed elettroniche vendute a terzi: Rold Smartfab, in collaborazione con Samsung. Filippo Astone, direttore di Industria Italiana e moderatore della tavola rotonda, le chiede in che misura questa strategia potrebbe essere percorribile da altri. E a quali condizione. «Chi ha iniziato un percorso di trasformazione tecnologica ha mostrato chiaramente segnali incoraggianti. Ma non può e non deve passare il messaggio che questo sia una sorta di bacchetta magica che mette al riparo le imprese da qualsiasi stortura», dice la ceo Laura Rocchitelli, che è anche presidente del Gruppo Meccatronici di Assolombarda. «La digitalizzazione – ci ha spiegato – è un modo per dare maggior valore a ciò che è stato costruito: se non avessimo intrapreso un percorso come questo sicuramente non saremmo cresciuti. Ma occorre anche avere il coraggio di mettersi in gioco dal punto di vista della formazione a tutti i livelli. Bisogna che l’intera organizzazione sia coinvolta nella trasformazione. Così facendo siamo riusciti ad avere un controllo totale della fabbrica in tempo reale».

 

Le nuove frontiere di Rold, fra allargamento del portafoglio prodotti e rafforzamento in Cina e Usa

Una questione culturale

Wafer Mow Jorio

La digitalizzazione è un processo di cambiamento che riguarda tutti, non soltanto i tecnici informatici. Le imprese manifatturiere, ma non solo, possono beneficiare di uno “switch” culturale. A patto che si esca da una visione per cui è cultura solo l’arte o le discipline umanistiche. «Ci ritroviamo a pensare – ci spiega Stefano Quintarelli – che la tecnologia sia un po’ di serie b. E abbiamo un altro problema, che è quello dimensionale: continuiamo a ritenere che piccolo sia bello e che le tecnologie debbano essere impiegate in una logica familiare. Sono storture: bisogna aprirsi, cercare di guardare oltre».

Proprio il tema della cultura e delle competenze ha permesso il “matrimonio” tra meccanica e informatica. Ne è un esempio la Jorio Srl. Nata nel 1973 come officina meccanica, nel 1988 unisce le due discipline con un passaggio generazionale tra il fondatore Ferruccio Agostino e il figlio Luciano. Attraverso l’evoluzione delle tecnologie di lavorazione delle macchine a controllo numerico e degli strumenti informatici, si sono sviluppate nuove competenze e nuove visioni di mercato, che hanno inevitabilmente generato effetti evolutivi anche nelle metodologie di lavorazione dei prototipi. Le parti prototipali realizzate comprendono pezzi ottenuti in lamiera, per tranciatura, piegatura, foratura e imbutitura, pezzi ricavati mediante fresatura a più assi, taglio con elettroerosione a filo, e sono completate dalla progettazione e costruzione di attrezzature per il controllo e il collaudo.

 

Il Pnrr

Stefano Quintarelli, informatico ed ex parlamentare

Infine, quello che appare evidente da tutti gli interlocutori con cui Industria Italiana si è potuta confrontare in occasione dell’evento di apertura di A&T, è che il Pnrr così com’è stato concepito non funziona. Quintarelli se la cava con una battuta («terrei i titoli e butterei via tutto il resto») ma è naturale pensare che al di là degli slogan manchi la praticità tipica del project management. Da questo punto di vista sia Laura Rocchitelli che Maurizio Marchesini concordano nel dire che servono obiettivi intermedi, milestone da raggiungere, responsabili da individuare. E sono tutte cose che mancano nel piano. Oltretutto, se si vogliono ottenere i famosi 209 miliardi dall’Europa, è fondamentale trovare la forza di fare riforme che coinvolgano la giustizia, la pubblica amministrazione. Altrimenti si rischia di sprecare questa occasione unica di investimento.

La ricerca del Politecnico

La sfida per il futuro è passare dalla reazione all’azione, da un approccio emergenziale a uno strategico di lungo periodo. Le tecnologie sono state acquisite, manca un’implementazione strategica, una vera e propria riorganizzazione aziendale, improntata a una cultura digitale. Occorre estendere la digitalizzazione ai diversi processi di business rendendoli integrati e prospettici. Secondo la ricerca – condotta su un campione di 504 osservazioni rappresentative della popolazione di 69mila pmi manifatturiere nel mese di dicembre 2020 – solo il 14% ha un approccio strategico al digitale, che pervade tutto il modello di business, coinvolgendo anche i processi core (sviluppo prodotto, rapporti di filiera, marketing e vendite). Generalmente si tratta di realtà più grandi e redditizie, di natura meno familiare, collocate al Nord e con una propensione maggiore all’export. La parte più importante del campione, ovvero Il 57% ha mostrato un approccio “tattico” con una focalizzazione al digitale su obiettivi specifici e contingenti di efficienza dei processi, con una forte diversità dei percorsi di digital transformation all’interno. Qui la cultura rimane un gap importante. Il restante 29% si avvicina al digitale come reazione a uno stimolo esterno – la crisi Covid o la richiesta di un cliente – con investimenti scarsi limitati a singole attività e processi, su un orizzonte di breve periodo.

il 29% delle imprese ha un approccio reattivo al digitale, ossia si rivolge a tecnologie specifiche solo in caso di estrema necessità, senza un percorso strutturato. Il 57% del campione ha un approccio tattico, cioè comincia a vedere le basi della trasformazione digitale ma ancora non è votato al ripensamento del modello di business. Infine, il 14% mostra un approccio strategico: si tratta di pmi che vedono nel digitale uno strumento per potenziare il proprio business, poterlo rivedere per essere sempre più competitivo anche sui mercati esteri

«Dalla nostra analisi – dichiara Giorgia Sali, Direttrice dell’Osservatorio Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano – emerge chiaramente come le piccole e medie industrie italiane di fronte a un ritardo già rilevante in termini di digitalizzazione, di processo e di visione, prima della pandemia, non siano riuscite a cogliere durante l’emergenza sanitaria e nell’attuale crisi economica e industriale di portata mondiale, l’opportunità di ridisegnare i propri modelli di business e la propria cultura aziendale secondo una logica “liquida”. Non basta essere reattivi o tattici, oggi è il momento di essere strategici e per farlo occorre pianificare, agire in rete e cogliere tutte le grandi opportunità offerte dall’innovazione, che non è solo implementazione tecnologica, ma è anche cultura e analisi». L’importanza del digitale per la sopravvivenza del business emerge a ogni livello, a partire dal crescente interesse dimostrato da manager e titolari per la formazione strategica in questo ambito, con un +20% rispetto al 2019: il 67% investe tempo sull’aggiornamento professionale, pur in modo sporadico e non continuativo. Ancora elevata tuttavia la percentuale (40%) di imprese che non hanno alcun responsabile dedicato a tematiche ICT&digital.

’importanza del digitale per la sopravvivenza del business emerge a ogni livello, a partire dal crescente interesse dimostrato da manager e titolari per la formazione strategica in questo ambito, con un +20% rispetto al 2019: il 67% investe tempo sull’aggiornamento professionale, pur in modo sporadico e non continuativo. Ancora elevata tuttavia la percentuale (40%) di imprese che non hanno alcun responsabile dedicato a tematiche ICT&digital

Il tema, dunque, è la mancanza di competenze, di cui le pmi dell’industria pagano maggiormente le conseguenze negative e che impone un cambio culturale basato sull’interconnessione di tutti gli attori coinvolti insieme all’impresa. Perché la digitalizzazione avvenga con successo, infatti, è fondamentale che allo sviluppo di competenze concorra lo sforzo di tutto l’ecosistema: dalle istituzioni nazionali agli enti territoriali e associativi, fino a Università e centri di formazione. Dalla ricerca emerge in modo evidente come le imprese necessitino oltre che fare rete anche di nuove figure professionali. Occorre andare oltre l’innovation manager e puntare sul pianificatore strategico dell’innovazione.














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