Dalla Digital Transformation alla Cybersecurity: i segreti per creare valore nell’epoca del 4.0

Sessione di manutenzione programmata con tecnologia indossabile (Epson)
Sessione di manutenzione programmata con tecnologia indossabile (Epson)

di Laura Magna e Filippo Astone ♦ Ruoli più chiari nella governance, più tutela dai crimini informatici, strategia efficace nel risk management. Queste le tappe obbligate per il manufatturiero lungo il percorso dell’innovazione digitale. Secondo una ricerca del Politecnico di Milano

«Nel business, come nella vita, il rischio è un elemento essenziale». L’affermazione è di Richard Branson, imprenditore inglese, fondatore del gruppo Virgin, holding e brand multisettore,  dall’aerospaziale alla comunicazione dall’entertainment alla telefonia. Aforismi a parte,  la capacità di gestire il rischio sia è da sempre al centro dell’attività imprenditoriale e manageriale. Oggi più che mai. Giacché l’innovazione digitale si configura come la grande opportunità per le imprese – quelle italiane (grandi, medie e piccole) per quanto ci riguarda nello specifico – da diversi punti di vista: per migliorare l’efficacia e l’efficienza dei processi aziendali, per sfruttare al meglio i mercati globali, per costruire nuovi modelli di business.







Gli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano per conto di Assiteca (maggior broker assicurativo italiani, quotato su AIM specializzato anche nella business continuity e nel rischio industriale), hanno indagato l’approccio delle imprese italiane all’innovazione digitale, intervistando complessivamente 237 aziende di diversi settori produttivi e raggruppandole  all’interno di cinque aree afferenti alla digital trasformation: business intelligence, big data e analitycs; soluzioni mobile; digital trasformation; smart manufacturing e Industria 4.0; ecommerce, mobile commerce, mobile payment. Un campione ampio che, seppur non rappresentativo del tessuto imprenditoriale nazionale, ha consentito di mettere in luce alcune linee di tendenza importanti. La ricerca è servita poi come criterio per assegnare il Premio Assiteca, prestigioso riconoscimento che le aziende si contendono ormai da diversi anni, e che questa volta era dedicato all’innovazione digitale.

La digital transformation tra scarsi investimenti e tatticismi

Al fondo, però, risulta evidente una discrasia tra consapevolezza e azioni conseguenti: il 95% delle aziende intervistate sa che l’innovazione è indispensabile ma il 69% di esse ha un budget ICT inferiore all’1%. Se poi spostiamo lo sguardo all’ambito della cybersecurity, scopriamo che le aziende ne riconoscono la priorità, investono in soluzioni di tipo tattico (in prevalenza destinati a proteggere i dati sensibili), ma non hanno un approccio strategico dedicato (basta osservare la scarsa propensione a intervenire su sistemi di sicurezza legati ai più avanzati sistemi quali mobile, cloud e big data e dunque a dotarsi di coperture assicurative all’altezza dell’innovazione) .

Gabriele Giacoma, amministratore delegato di Assiteca ha voluto commentare con Industria Italiana la ricerca. In prima battuta evidenzia che : «La trasformazione digitale che stiamo attraversando in questi anni rappresenta un’occasione da non sprecare. Sappiamo bene, però, che questa opportunità richiede un forte cambiamento culturale, l’adozione di opportuni strumenti di policy e modelli di governance e una corretta strategia di risk management. Non possiamo nasconderci però che a fronte di una forte consapevolezza delle imprese sulla necessità di dotarsi di strumenti digitali e di proteggersi dai rischi connessi c’è in realtà poca azione conseguente».

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Gabriele Giacoma, amministratore delegato di Assiteca

Come il manifatturiero tratta l’innovazione

Giacoma ha ben chiaro le specificità dei diversi settori produttivi. «Ci sono delle specificità nel modo in cui l’industria manifatturiera tratta l’innovazione. Cambiano innanzitutto le tipologie di progetti introdotti – afferma Giacoma – . Nel retail, per esempio, è la componente eCommerce ad essere più che raddoppiata, mente nelliIndustria sono le soluzioni di smart manufacturing ad assumere un ruolo importante, anche se la loro incidenza rimane ancora bassa (20%) rispetto ai picchi registrati per sviluppo di sistemi gestionali ed ERP (79%) e di sistemi di Information Security (66%).

Anche i driver di spinta al digitale mostrano alcune differenze: per oltre il 70% delle aziende del commercio, l’innovazione digitale è di fondamentale importanza per i risultati di business; molte di queste realtà, infatti, sono già state toccate (e in alcuni casi travolte) dalla crescita delle vendite online e dalla competizione dei grandi player dell’eCommerce mondiale. Nel settore della produzione, non stupisce, invece, la forte enfasi (superiore alla media) data all’innovazione digitale come driver per migliorare l’efficienza e l’efficacia dei processi».

Assiteca S.p.A – società di brokeraggio assicurativo, il cui presidente e fondatore è Luciano Lucca –  è da sempre attenta all’evoluzione dei rischi nel mondo delle imprese e ora si impegna a supportarle nel cambiamento verso la digitalizzazione. Il tema scelto per perseguire nel 2016 il progetto – nato nel 2010 –del premio “La Gestione del Rischio nelle Imprese italiane” è stato “Innovazione Digitale: storie di successo”. Progetto che individua e segnala casi di buone pratiche che conducono a successi aziendali.

Industria Italiana si concentrerà nelle prossime settimane su alcune di esse, privilegiando gli esempi legati all’industria manifatturiera. Qui vogliamo, per ora, citare solo alcuni esempi di aziende che hanno saputo affrontare il rischio incluso nella trasformazione facendo collimare consapevolezza e azione, investimenti e strategie.

Veduta aerea stabilimento Fontana, Veduggio MB

I casi: Fontana, Meccanostampi, MV Line, Microelettrica Scientifica

Con il gruppo brianzolo Fontana, che produce sistemi di serraglio e bulloneria di alta qualità, siamo nella categoria grandi aziende. Fondato nel 1952, nel tempo Fontana ha acquisito i brevetti e le aziende più importanti del settore diventando un punto di riferimento mondiale. L’acquisizione dell’americana Acument Global Technologies, la più recente, avvenuta nel 2014, ha portato l’azienda a 4mila dipendenti ma soprattutto ha reso necessario reingegnerizzare il flusso di lavoro investendo diversi processi prima non supportati adeguatamente da strumenti IT.Fontana ha messo a punto una piattaforma IT unica e centralizzata sfruttando la tecnologia Cloud che garantisce la collaborazione del Gruppo in tutto il mondo apportando benefici organizzativi e di processo. Molta attenzione è posta sulla sicurezza dei dati.

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Stabilimento Meccanostampi: entri di elettroerosione a tuffo e filo per la costruzione degli stampi.

Fontana non è l’unico esempio di confronto positivo con la disruption nell’ambito dell’Industry 4.0. La bellunese Meccanostampi, una media attiva nello stampaggio di materie plastiche, si è interamente riorganizzata secondo un sistema di automazione interconnessa che ottimizza tempi, qualità e, non ultimo, consente al cliente di ricevere informazioni precise sullo stato d’ avanzamento dell’ordine. Questa riorganizzazione ha risposto a una precisa scelta industriale: focalizzarsi su prodotti complessi, abbandonando la strategia al ribasso dei prezzi. Ed ecco che sulle linee di produzione lavorano robot antropomorfi, agiscono presse non presidiate per produrre componenti in polimeri tecnici e si utilizzano sistemi di visione automatica per il controllo qualitativo.

L’Industry 4.0 non ha confini dimensionali né geografici.Nel   Sud Italia c’ è  la MV Line, che a Bari si occupa produce di zanzariere, sistemi filtranti e oscuranti. La zanzariera è un prodotto “su misura” per cui è impossibile fare magazzino. L’ottimizzazione dei processi è fondamentale per restare competitivi sul mercato. Attraverso un sistema IoT, che risponde al nome di Evo, l’azienda ha ottimizzato il processo di produzione per rendere minimo il lasso di tempo occorrente tra l’ordine del prodotto e la spedizione. Il sistema collega device tra di loro in diversi punti della catena di lavorazione e li mette in connessione con gli operatori.

Interno stabilimento Microelettrica Scientifica di Buccinasco

Per concludere la breve carrellata si ritorna al Nord e a una industria di dimensioni più importanti. La Microelettrica Scientifica di Buccinasco, dedicata a componenti elettromeccanici ed elettronici e a sistemi destinati a veicoli su rotaia, trazione elettrica e applicazioni industriali. Microelettrica dal 2012 persegue un’azione – che continua ancora oggi e che ha visto l’intero management coinvolto – di intensa reingegnerizzazione dei processi e quindi di rinnovamento di tutti i sistemi informatici e visuali in ottica di lean manufacturing. Una riorganizzazione che ha riguardato l’aspetto produttivo e la logistica operativa di stabilimento. Di recente ha realizzato un progetto che utilizza una serie di tiny-pc e monitor touch-screen sincronizzati con i PLC di linea, dai quali l’operatore ha la possibilità di visualizzare le istruzioni di lavoro in formato elettronico ma anche video esplicativi di come effettuare il montaggio del pezzo.

Digitalizzazione? Per le grandi è il futuro, per le piccole uno scaccia-paura

Bosch Rexroth, che a Cernusco sul Naviglio elabora soluzioni e servizi per applicazioni industriali e mobili. Natuzzi, il produttore pugliese di divani, poltrone e mobili. La genovese Madi Ventura, che commercia all’ingrosso e lavora frutta secca. La lucchese Futura, che fa soluzioni innovative per il tissue converting.

Assiteca nel segnalare all’interesse nazionale con la sua iniziativa queste ed altre aziende sottolinea per voce  di Giacoma che «Si tratta di imprese che hanno già compiuto tutti i passi necessari verso il cambiamento culturale che sta alla base della trasformazione digitale. Queste aziende hanno saputo ripensare il modo di fare business, adottando nuove modalità organizzative e processi, ridefinendo le responsabilità all’interno dell’azienda e mettendo al centro le persone e le loro competenze».

Modelli da perseguire perché dimostrano come un commitment rispetto alla digital trasformation comporti azioni rapide e commisurate. Ma si tratta ancora di eccezioni, almeno secondo i dati della ricerca portata avanti dal Politecnico milanese.  «Per il 95% delle aziende considerate l’innovazione digitale è un fattore rilevante. Nella maggioranza dei casi, il 40%, essa rappresenta un driver per migliorare efficacia ed efficienza dei processi; ben il 37% delle aziende la considera un fattore imprescindibile per lo sviluppo futuro del business; il 18% pensa che sia importante per non perdere competitività. Solamente il 5% del campione ritiene l’innovazione digitale non prioritaria».

Ma la musica cambia in parte se si va a esaminare la percezione del ruolo dell’innovazione in base alla dimensione aziendale. Per le imprese con oltre 250 dipendenti sale dal 37% al 51% la quota di chi la ritiene un fattore imprescindibile per il futuro e solo il 2% non ne vede la rilevanza. Tra le medie imprese il driver più forte è l’opportunità di migliorare i processi aziendali. Emblematico, infine, il fatto che per le imprese tra 50 e 100 dipendenti raddoppi la percentuale di chi è mosso dalla concorrenza e dal timore di perdere quote di mercato: le imprese più piccole sembrerebbero mosse più dal timore della digital disruption che dall’opportunità della digital transformation.

Meno di un’azienda su quattro investe più dell’1% del fatturato in ICT

A fronte di un commitment interessante, l’azione langue: sia in termini di investimenti, sia in termini di strutture organizzative dedicate. Sul primo fronte l’a.d. di Assiteca a partire dalla ricerca ci dice che: «Meno di un’azienda su quattro investe più dell’1% del fatturato in ICT. Solo il 3% investe oltre il 5%, mentre il 69% investe meno dell’1% dei ricavi complessivi in ICT e addirittura il 7% delle imprese non ha effettuato nell’ultimo anno alcun investimento. La media complessiva è pari all’1,1%. Da notare la proporzione tra budget investito in ICT e fatturato, che cresce con l’aumentare della dimensione aziendale: considerando solo le aziende con più di 250 dipendenti, la media degli investimenti ICT sui ricavi è del 2,3%».

Resta da capire quali siano le motivazioni a tale scarsa attitudine ad investire. «Il 30% delle aziende intervistate, alla domanda sulle barriere principali, risponde adducendo alla mancanza di risorse economiche – dice Giacoma-. Fattore che sappiamo essere a volte un alibi più che una criticità reale». Il gioco evidentemente è il cambiamento culturale. Ipotesi che si rafforza se ci spostiamo sulla configurazione di ruoli e strutture dedicate alla gestione della Digital trasformation.

La governance della innovazione non abita qui

Il fattore critico di successo nei progetti di innovazione digitale è la definizione di accurati modelli di governance. «Dalla ricerca emerge che, non sempre, l’attenzione al digitale si è già tradotta nella creazione di ruoli e strutture organizzative dedicate alla gestione delle strategie di digital transformation- dice Giacoma – . Solo nel 14% dei casi è stata creata un’unità responsabile dei progetti di innovazione. In più, in molte realtà non vi è una chiara strutturazione dei ruoli e delle attività: nel 18% delle aziende analizzate la gestione non è strutturata e occasionale e nel 4% le diverse unità organizzative si muovono con autonomia, senza un presidio centralizzato».

La creazione di figure o funzioni aziendali che si occupino in maniera esclusiva e mirata dell’aspetto innovazione è fondamentale, ma «considerato che i progetti più significativi toccano diverse aree dell’impresa – precisa Giacoma – è opportuno coinvolgere fin da subito e con un ruolo attivo le diverse funzioni aziendali se non si vuole compromettere l’esito o rallentare i tempi di implementazione delle nuove iniziative. Questo implica necessariamente il superamento in azienda dei tipici silos funzionali, uno scambio continuo tra le linee di business e una crescita di cultura manageriale e imprenditoriale di tutta l’azienda. Si tratta di una sfida complessa, in quanto risente di freni e resistenze organizzative storiche. Per questo l’attenzione del vertice dell’azienda su questo aspetto deve essere molto elevata».

Dunque, senza escludere il fattore degli investimenti, sono due gli aspetti fondamentali per il successo dei progetti di innovazione digitale: «La prima  è la creazione di competenze digitali interne all’azienda atte a portare avanti i progetti di innovazione digitali – afferma Giacoma -. La ricerca non deve necessariamente essere all’esterno, ma è possibile attivare meccanismi virtuosi di scouting, di assessment, di formazione e sviluppo all’interno dell’organizzazione. La seconda è la trasformazione culturale nella gestione dei progetti innovativi: occorre, infatti, saper perseguire l’innovazione in modo agile e veloce, con approcci di learning by doing, seppur in un contesto che permane di risorse limitate, dove la paura del fallimento è elevata».

Sicurezza digitale
Sicurezza digitale

La Sicurezza informatica inscindibile dalla Digital trasformation

La sicurezza informatica – una delle declinazioni della più ampia gestione del rischio – è uno snodo imprescindibile nei processi di digital trasformation. A dirlo è ancora l’indagine dell’Osservatorio. Guardiamo al rapporto consapevolezza/azioni. I timori percepiti dalle imprese vedono la perdita di dati sensibili al primo posto (3/4 delle aziende), al secondo i possibili attacchi informatici (72%), e infine vengono i danni reputazionali (61%). Di conseguenza ben il 67% delle aziende intervistate ha introdotto sistemi di information security. Circa 8 aziende su 10 hanno inoltre sviluppato policy e procedure per proteggere la rete aziendale e le relative risorse da accessi non autorizzati, furti, modifiche o interruzioni di servizio, oltre a sistemi volti a garantire la protezione e la gestione dei dati nell’intero ciclo di vita.

Ma il corto circuito avviene quando percezione dei rischi e azioni relative investono le nuove frontiere della trasformazione digitale: mobile, cloud e big data. Le nuove minacce arrivano da qui . Secondo un’anticipazione del rapporto Clusit 2017 ( che diventerà pubblico a partire dal 17 maggio e su cui Industria Italiana tornerà) nel 2016 l’Italia è stata fra i paesi più colpiti al mondo, entrando per la prima volta nella top ten degli attacchi più gravi registrati.

 

Eppure, tra le evidenze, è ancora scarsissima l’attenzione al trasferimento del rischio attraverso l’ assicurazione che, insieme alla formazione è strumento di corretta gestione della sicurezza informatica a livello organizzativo (gli altri livelli sono quelli della sicurezza fisica e della sicurezza logica). Il mercato assicurativo si è adattato ed ora offre soluzioni ad hoc per tutelare le imprese dai possibili danni provocati dal cyber crime. In base all’attività dell’impresa, alla configurazione dei sistemi informativi e alle specifiche necessità si possono individuare le coperture con le garanzie che meglio soddisfano le esigenze di tutela. L’affiancamento del broker – che oramai sempre più si configura come una figura di consulente a tutto tondo – indirizza le scelte di copertura sui risultati del vulnerability assessment, volto a ricercare e individuare le fragilità in un sistema di rete e a conoscere quali elementi possono essere oggetto di attacchi e/o tentativi di intrusione non autorizzati.

Giacoma fotografa con precisione la situazione dal punto d’ osservazione di un mercato che conosce in profondità: «La copertura assicurativa dal cyber crime è poco avvertita: 4 aziende su 5 non possiedono coperture. Perché? Perché il 36% del campione non considera rilevante il problema, il 22% ritiene il settore cyber insurance ancora immaturo, mentre un altro 22% sta valutando delle coperture per il prossimo futuro. Nel frattempo, solo un’azienda su 5 ha adottato delle coperture, ma per la stragrande maggioranza si tratta di polizze generiche che coprono indirettamente anche i rischi informatici».

Eppure mai come in questo momento la necessità di affrontare in profondità tutti gli aspetti della sicurezza digitale diventa centrale. L’Unione Europea ha avviato il cont down per il GDPR, General Data Protection Regulation ovvero il primo regolamento con cuisi intende rafforzare e unificare la protezione dei dati personali entro i confini dell’Europa. Si tratta di uno elemento strategico per nulla trascurabile nella Digital trasformation su nostro Continente.

 GDPR: il 40% delle aziende non sa di cosa si tratti

A dimostrazione che l’approccio alla gestione della sicurezza informatica sia ancora tattico e non strategico oltre 4 aziende su 10  ignorano le implicazioni dello GDPR e, tra queste, oltre la metà afferma di non conoscerlo affatto. Ma, soprattutto, 3 aziende su 4 non hanno ancora istituito alcun ruolo specifico – pur previsto dal regolamento stesso – dedicato alla gestione della sicurezza informatica.

Il GDPR è innanzitutto un regolamento,  e in quanto tale  è immediatamente vigente in tutta la UE senza  che il testo venga recepito nelle legislazioni nazionali: le aziende avevano due anni – ora ne manca circa uno – per predisporre quanto necessario per essere conformi. Sarebbero dovute partire subito per riuscire a essere pronte e invece molte ancora non sanno di cosa si parla. Eppure il Gdpr impone cambiamenti radicali e una rivoluzione di tipo culturale per cui il tempo è un fattore critico.

Le innovazioni che introduce sono diverse, dalla individuazione di un responsabile al concetto di protection by design (secondo il quale qualsiasi progetto va realizzato considerando dalla progettazione la riservatezza e la protezione dei dati personali), fino a uno strumento come il Privacy Impact Assessment (Pia), utile a individuare ex ante le soluzioni a cui ricorrere per la protezione dei dati personali, con minori costi e maggiore efficacia. Quel che le aziende non sanno è che l’entità delle multe in caso di non ottemperanza   arriva fino a un massimo di 20 milioni di euro, o fino a a un massimo del 4% del volume d’affari globale registrato nell’anno precedente .














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