Aenet 4.0, Cluster fabbrica intelligente, Ansaldo: far crescere l’ecosistema delle piccole aziende tecnologiche! 

di Marco de’ Francesco ♦︎ Il progetto per far evolvere la rete di fornitori della società genovese è la naturale evoluzione del Lighthouse Plant. Perché la competitività dell'industria italiana passa attraverso la crescita delle sue piccole e medie imprese. Ne parliamo anche con Tullio Tolio, ordinario di meccanica al Politecnico di Milano. I casi Camelot, Comutensili, Tema Energy, San Giorgio Seigen

Aenet 4.0 è un progetto di Ansaldo Energia per sostenere e far evolvere i propri fornitori radunati in filiera. La storica industria genovese, che produce turbine e componenti meccatroniche per centrali energetiche, si è avvalsa di un ecosistema di competenze sia per realizzare l’assessment del network che per promuoverne l’avanzamento tecnologico e la competitività. Quanto al primo aspetto, ad esempio, alla valutazione del livello di maturità digitale delle aziende hanno partecipato il Digital Innovation Hub di Confindustria Liguria e l’Università di Genova. Quanto al secondo, un protocollo di intesa tra Cassa Depositi e Prestiti e AE consente alla prima di mettere a disposizione dei fornitori una serie di strumenti a supporto dei processi di innovazione, crescita e internazionalizzazione. L’assessment, basato su questionari di autovalutazione, si è svolto in tre wavecon una adesione complessiva di 63 imprese: alla prima hanno risposto al test 21 aziende su 35; alla seconda, 22 su 32; alla terza, 20 su 30. Le imprese rispondenti hanno dimostrato un buon grado di maturità digitale, con qualche eccezione in positivo. Ora si attendono ulteriori progressi, grazie al network integrato che la società guidata dal Ceo Giuseppe Zampini sta realizzando. I risultati della terza Wave sono peraltro stati presentati giorni fa all’auditorium di Confindustria Genova, dove hanno fatto capolino molti fra i protagonisti dell’ecosistema collaborativo, oltre che una nutrita pattuglia dei fornitori stessi. 

 







AENet 4.0: la naturale evoluzione del progetto LighthousePlant

Luca Manuelli, cdo di Ansaldo Energia e presidente del Cluster Fabbrica Intelligente

Secondo il chief digital officer di Ansaldo Energia (nonché presidente del Cluster fabbrica intelligente) Luca Luigi Manuelli, Aenet 4.0 rappresenta una «naturale evoluzione del progetto LighthousePlant». Gli Impianti Faro sono dimostratori tecnologici, e cioè fabbriche rivisitate in chiave Industria 4.0 che consentono ad aziende più piccole e meno avanzate di verificare quali soluzioni si possano adottare per risolvere problemi pratici, tecnologici e produttivi. Dalla sensoristica alla creazione di linee multi-flessibili, dall’economia circolare alla robotica collaborativa e a tanto altro. Ancora nel contesto del “Piano Calenda”, il Mise aveva affidato al Cluster Tecnologico Nazionale “Fabbrica Intelligente” (Cfi) il compito di selezionare i primi Impianti Faro. Tra gli Impianti Faro individuati da Cfi, le fabbrica genovesi (Campi e Cornigliano) di Ansaldo Energia, che producono turbine elettriche. Per completezza, gli altri Impianti Faro sono il sito bresciano di Tenova-Ori Martin; gli stabilimenti Abb di Lombardia e Lazio e quello Hitachi Rail di Reggio Calabria. Ma che rapporto c’è tra l’Impianto Faro e Aenet 4.0? La logica sottesa è la stessa, quella delle trasmissione di competenze tecnologiche ad aziende anche eccellenti in termini di prodotto ma che possono presentare un digital gap. E poi, così come il Lighthouse di AE sostiene il network dei fornitori, nella stessa direzione potrebbero attivarsi altri Lighthouse, e il Cfi li supporterebbe.   

 

Tutti gli stakeholder sono coinvolti nel progetto

Francesco Gea, responsabile del network DIH di Confindustria

Dell’assessment si sono occupati il Digital InnovationHub di Confindustria Liguria – che ha coordinato 10 DIH regionali, relative ai territori dove sono operative le aziende fornitrici (con prevalenza della Lombardia) – e l’università di Genova. Secondo Francesco Gea, responsabile del network DIH di Confindustria, si è trattato di fotografare i punti di forza e di debolezza delle aziende sulle competenze digitali. «Certo – ha affermato – una cosa è fare questa operazione con una o più aziende; un’altra con un intero network. Un passo in avanti importante». Del ruolo di Cfi nell’individuazione della strategia generale di crescita delle aziende manifatturiere, abbiamo già accennato. Secondo il presidente del comitato tecnico scientifico del Cfi Tullio Antonio Maria Tolio (ordinario di meccanica al Politecnico di Milano, fra i maggiori esperti italiani in tema di manifattura) c’è un altro motivo sostanziale per aiutare il network: l’industria italiana, per progredire, ha bisogno di piattaforme aperte, che si formano nel contesto delle filiere. Favorire il progresso di queste ultime può portare alla formazione delle prime. Per Tolio «si tratta di far dialogare software e applicativi diversi in contesti di network fra aziende, anche per dar vita a soluzioni condivise. Il problema è che in Italia esiste una grande frammentazione; inoltre, per una questione di costi e di competenze interne, è improbabile che la società capo-filiera riesca ad imporre l’uso della propria piattaforma digitale ai fornitori. Un modello aperto, che riesca ad integrare facilmente sistemi differenti, potrebbe costituire un grande progresso per il network». A proposito di AENet, per Tolio è centrale il ruolo del Lighthouse: «Da una parte, le imprese di filiera, cooperando in un contesto tecnologicamente avanzato, possono assumere in via diretta nuove competenze, da spendere anche nei rapporti con altre grandi aziende; dall’altra, piccole realtà che non appartengono al network, possono comunque constatare, visitando l’impianto faro, la percorribilità di nuove soluzioni per il manifatturiero. Così, le ricadute del Lighthouse sono, per questi due motivi, più vaste di quelle che si verificano all’interno del network».

Il presidente del comitato tecnico scientifico del Cfi Tullio Antonio Maria Tolio

Il Cluster Fabbrica Intelligente ha studiato e suggerito le tematiche che sono alla base di due bandi del Ministero dello Sviluppo Economico che prevedono contributi economici per l’innovazione: il primo, “Fabbrica Intelligente, Agrifood e Scienze della Vita”, del 2018; il secondo, che ha aggiunto al precedente il “Calcolo ad alte prestazioni”, dell’anno in corso. «È un risultato concreto della roadmap – ha affermato Tolio -; ma penso che in futuro si punterà su bandi moto più specifici, più mirati. In questi due bandi erano indicate troppe tematiche: il risultato è che poteva partecipare una pluralità di aziende, e che si è dovuto chiudere la procedura quasi subito, per il superamento delle risorse disponibili. Per noi la modalità seguita è un grande passo in avanti per il Paese, ma non è quella ideale». Secondo Tolio, l’ecosistema di competenze che partecipa ad Aenet, nell’assessment e nel sostegno alle imprese, si è formato in modo tale da rappresentare funzioni complementari: «Tutto ciò è uno specchio di ciò che è avvenuto a livello nazionale, ma quasi per caso. Non c’era una programmazione “tedesca”, dietro la definizione delle diverse attività del Cluster Fabbrica Intelligente o dei Dih; per un qualche motivo, gli uni hanno deciso di fare cose differenti rispetto a quelle che fanno gli altri. È un bene ed un vantaggio per tutto il sistema dell’innovazione delle imprese; ma è chiaro che il modello va consolidato, e che in futuro si dovrà lasciare poco spazio allo spontaneismo». Della partita fa parte anche il Made, il Competence Center guidato dal Politecnico di Milano. È un “giunto strutturale tra il sistema della ricerca e quello delle imprese a fini di trasferimento tecnologico”: può aiutare le aziende, e quindi anche quelle della filiera di AE, nell’illustrare i vantaggi del percorso di Industria 4.0; nella formazione; nella definizione di progetti di ricerca applicata in materia industriale. Il Made ha pubblicato un bando del valore di 1,5 milioni di euro, che cofinanzia piani ad alta tecnologia fino al 50%. Infine, la Cassa Depositi e Prestiti. C’è un protocollo di intesa tra l’ente e Ansaldo Energia che consente al primo di mettere a disposizione dei fornitori di AE una serie di prodotti finanziari; ciò a supporto dei processi di innovazione, crescita e internazionalizzazione (tramite la controllata Sace).

 

I risultati dell’assessment: è buono il livello di maturità digitale delle aziende selezionate e rispondenti al questionario

Al workshop è stata presentata la terza Wave, e cioè la terza ondata di selezioni; complessivamente la imprese coinvolte in un anno sono state un centinaio, sui 900 fornitori italiani di AE. Sono state prese in considerazione le aziende di valore strategico centrale per la capofila nonché per gli obiettivi di digitalizzazione della filiera. Alle imprese, alla prima, alla seconda e alla terza Wave, sono stati inoltrati questionari di autovalutazione di maturità digitale. Alla prima hanno risposto al questionario 21 imprese su 35 invitate a farlo; alla seconda, 22 su 32; alla terza, 20 su 30. Dunque, nel complesso 63 imprese hanno aderito all’invito di AE. Il tasso di risposta è pari al 65%. In ogni caso, rispetto ad un campione studiato da Polimi, che ha definito una scala tra 0 e 5 quanto a competenza digitale, le aziende della filiera di AE si posizionano in media ad un livello appena inferiore a 3. Dunque, un buon risultato. Delle aziende rispondenti, 4 sono risultate superiori in tutte e quattro le dimensioni considerate: controllo, organizzazione, esecuzione e tecnologia; 5 hanno superato il campione in tre dimensioni; una è superiore in due dimensioni. Cinque aziende manifestano criticità; non è possibile, tuttavia, comprendere se la ragione sia legata all’arretratezza sul digitalo e o a situazioni specifiche che le aziende stanno attraversando. Due test, infine, non sono stati compilati con accuratezza. 

 

Una vetrina per le aziende della prima Wave: Tema Energy

Da sinistra: il managing director Paolo Zani e il direttore di produzione Gianluigi Guzzetti

Tema Energy è uno spin-off della divisione energia di Tema, azienda manifatturiera di Casazza, dalle parti di Bergamo, che invece risale agli anni Ottanta. È stato fondato quest’anno, ha 45 dipendenti e in base a ordini già acquisiti realizzerà un fatturato di 20 milioni di euro. Produce bruciatori, che finiscono a “pacchi” di 16 o di 24 unità nelle turbine di Ansaldo Energia, di GE, di Alstom e di altre multinazionali del settore energetico. Questi combustori sono lunghi circa un metro e mezzo, e sono studiati per resistere alle alte temperature. Al loro interno, si raggiungono i 600 gradi; vicino alla fiamma anche mille, ma le strutture devono essere in grado di sopportare i 700 o gli 800 gradi. Per questo, normalmente si usano leghe speciali: prima fra tutte quella nichel – cobalto. Sono state adottate, due anni fa quando Tema Energy era ancora una divisione, delle tecnologie molto avanzate per affrontare i problemi legati al calore. Ad esempio, si ottengono effetti di cooling grazie a tecniche di foratura laser, con le quali si producono buchi di 0,3 o 0,4 millimetri, molto più sottili del diametro di un capello. Sempre con il laser, si realizzano saldature molto sicure. L’avanzamento tecnologico è anche legato al fatto che Ansaldo Energia, nella cui filiera Tema Energy è entrata, ha adottato turbine molto sofisticate; per stare al passo, l’azienda di Casazza si è dotata di nuove competenze specifiche. Un bruciatore è tecnicamente composto da diversi componenti. Alcuni di questi, presentano delle forme geometriche complesse: sono difficili da produrre, dal momento che richiedono l’assemblaggio di più parti lavorate separatamente. Occorrono tempi lunghi. Ed è necessario “fare magazzino”. L’azienda ha trovato un modo per risolvere questo problema. Grazie ad Ansaldo Energia, che in un’ottica di integrazione di filiera, l’ha messa a contatto con un’altra impresa, la Beamit di Fornovo di Taro (Parma). Quest’ultima si occupa da 20 anni di additive manufacturing. Così, le due aziende hanno trovato un accordo: i componenti geometrici complessi sono realizzati direttamente dalla Beamit con la stampa 3D; successivamente, sono assemblati da Tema Energy. Per quest’ultima, il passaggio ha significato una forte riduzione dei tempi della produzione e del time-to-market, nonché una semplificazione in materia di scorte. La Beamit realizza i componenti in una lega metallica che ha le stesse caratteristiche meccaniche del prodotto tradizionale. Dopo l’assemblaggio, il bruciatore è sottoposto alle citate forature laser, nonché a diverse prove di portanza, per verificare la sussistenza dei requisiti di performance richiesti dall’azienda acquirente. La stampa 3D, peraltro, è utile anche in fase di prototipazione. Quanto ad Aenet, il managing director Paolo Zani e il direttore di produzione Gianluigi Guzzetti si attendono «un ulteriore avanzamento tecnologico, nonché di conoscere nuovi player di mercato». Quanto ai prodotti finanziari di Cassa Depositi e Prestiti, «per ora l’azienda lavora con mezzi propri; ma in futuro un finanziamento potrebbe rivelarsi strategico per la nostra crescita».      

 

Altre aziende della prima Wave

Tra gli altri casi, la San Giorgio Seigen di Genova, azienda che opera nel settore industriale medio-pesante: il suo core-business consiste nella produzione di attrezzature e componenti di medie e grandi dimensioni per la generazione di energia, la costruzione navale, l’acciaio e le industrie petrolchimiche. Per Ansaldo sono fornitori di carpenterie saldate e stanno affrontando l’integrazione con il nuovo gestionale e con l’introduzione di macchine ad alta digitalizzazione. Stanno implementando l’intelligenza artificiale e il machine learning. Ancora, Comutensili di Torino, azienda che dal 1976 è specializzata nella lavorazione di parti meccaniche. Occupa 70 lavoratori, ha due stabilimenti in Piemonte e una sussidiaria in Brasile. Per Manuelli, Comutensili è un player che lavora sui mercati globali; ha compreso quanto sia diventato importante, nei processi di selezione internazionale, essere in piena regola con i requisiti legati alla cyber security:  oggi è fondamentale difendere i dati delle aziende e le informazioni dei propri clienti. Da questo punto di vista, Comutensili ha fatto «un notevole passo in avanti». Infine, nell’ambito delle imprese coinvolte, c’è Camelot Biomedical Systems di Genova, una azienda giovane e ancora piccola che supporta i propri clienti nel processo di digital transformation, progettando e sviluppando soluzioni chiavi in mano in grado di estrarre valore dai dati. La sua storia è stata particolarmente approfondita e sviluppata in questo (chiara metti il link perfavore) articolo, pubblicato contestualmente a quello che state leggendo. E’ importante mettere in luce la sua evoluzione: da start-up del settore medicale, Camelot diviene partner del Lighthouse Plant di AE e si riposiziona «in una logica di scale-up» nel settore dei servizi avanzati per la manifattura: sviluppa per AE algoritmi di intelligenza artificiale, per la manutenzione predittiva e per il controllo di qualità.  














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