Acciai Speciali Terni: l’acciaio italiano è morto, viva l’acciaio

di Marco De’ Francesco ♦ La storica azienda del gruppo Thyssen è di nuovo in vendita e nelle prossime settimane si conosceranno i nomi dei compratori interessati. Ast è tornata in attivo dopo otto anni e punta sulla produzione di nicchia per trovare spazio tra i colossi del settore, diventando  fornitore di prodotti e semilavorati in acciaio. Il segreto dell’innovazione? Lean production, formazione, automazione

«L’acciaio è perduto», si legge sui giornali. E c’è qualcosa di vero: non c’è più un’azienda italiana nella classifica dei primi 20 produttori mondiali. Se l’acciaio è una commodity, fare la guerra ai cinesi non è più nemmeno immaginabile. Ma Acciai Speciali Terni, azienda storica ex Iri e poi ThyssenKrupp, dopo otto anni di bilanci difficili è tornata in utile. E ciò grazie ad una precisa strategia: produrre direttamente per il consumatore finale, che è in genere un’azienda del “bianco” o dell’automotive che richiede tante “specifiche” e molta assistenza, attività difficili da realizzare per colossi distanti migliaia di chilometri. E poi Ast ha aperto la porta al mondo dell’innovazione: con la lean production, attuata con criteri paragonabili a quelli in uso nell’automotive; con la formazione continua e con il 4.0. È pronto un robot antropomorfo addetto al cambio dei cilindri di uno dei sei laminatoi. Ne abbiamo parlato con l’amministratore delegato Massimiliano Burelli. Il manager, ovviamente, non può rispondere a domande sulla vendita, trattandosi di una questione che spetta all’azionista Thyssen, che ha preso questa decisione perché la sua nuova strategia non prevede più l’acciaio. E’ però un fatto notorio che la storica azienda siderurgica italiana, che rappresenta il 15% del pil umbro, nelle prossime settimane cambierà nuovamente proprietario. L’auspicio è che il nuovo azionista sappia valorizzare questo gioiello del made in Italy e i risultati che ha raggiunto finora. Anche perché la produzione di acciaio è vitale per la manifattura italiana, che resta la seconda in Europa e la settima al mondo.

La strategia industriale di Acciai Speciali Terni

Impossibile fare la guerra ai cinesi; bisogna produrre per il consumatore finale, che richiede tante specifiche che non possono essere realizzate da corporation distanti migliaia di chilometri. Così si presidia la nicchia.  L’atteggiamento della stampa quanto ad acciaio italiano è in genere caratterizzato da un profondo pessimismo. Certo, nella classifica pro capite del consumo di acciaio, l’Italia, con 413 kg/anno, compare ormai all’undicesimo posto, dopo Sud Corea (1.106), Taiwan (747), Repubblica Ceca (663), Cina (523), Germania (508), Giappone (505), Austria (460), Canada (453), Turchia (446) e Svezia (416). Se poi si dà un occhio alle grandi corporation di settore, non c’è un’azienda italiana nella top 20. La classifica è dominata, quanto a produzione in milioni di tonnellate, dalla lussemburghese ArcelorMittal (97), dal cinese China Baowu Group (65), dalla giapponese Nippon Stel and Sumitomo (47), dalla cinese Hbis (45) e così via. Su venti posizioni, nove sono occupate da aziende cinesi. Ma la realtà è che l’acciaio è perduto se l’azienda fa le stesse cose di un’impresa cinese.







Si tratta di produrre per la nicchia: «Se il produttore asiatico deve spedire prodotti in Europa – afferma Burelli – occorrono otto settimane di navigazione per recapitare i beni. Per questo i produttori asiatici hanno depositi nel porto di Rotterdam, il più importante del mondo. Queste circostanze obbligano i produttori ad inviare grossi volumi con un numero di specifiche molto limitato. Ma un utilizzatore finale come Miele (un’azienda tedesca produttrice di elettrodomestici con sede a Gütersloh, in Germania), per esempio, è più interessato ad avere 2mila specifiche e una rapida soluzione di problemi, anche in mezza giornata. Perciò, è disposto a pagare di più. La differenza la fa la catena logistica e il servizio».

D’altra parte, non si può più contare sulla superiorità tecnologica del prodotto “occidentale”. «In realtà – continua Burelli – la Cina compra la migliore tecnologia disponibile e si affida ad esperti di settore riconosciuti a livello internazionale. Il prodotto cinese, meno costoso, non è inferiore a quello europeo. Tuttavia, gli asiatici non fanno tanta manutenzione, e questo è un vantaggio per noi. E poi, appunto, c’è la questione delle specifiche». Di qui la strategia industriale di AST. «Da tempo, ormai – afferma Burelli – abbiamo intrapreso un percorso di riconversione: intendiamo trasformare l’azienda in un fornitore di prodotti e semilavorati in acciaio inox, diretti all’utilizzatore finale, secondo precise specifiche. Solo così possiamo presidiare le nicchie ed espanderci. Questa strategia ci consente di avere buoni clienti che chiedono servizi e qualità e innovazione e sono disposti a pagare di più per ottenere ciò. Non comprano da Paesi asiatici, perché chiedono tantissime specifiche».

 

Massimiliano Burelli, ad Acciai Speciali Terni

Il vantaggio delle limitate dimensioni di Ast

Rispetto ai colossi di comparto, consentono all’azienda italiana di evitare la lotta sulle commodity. L’Italia resta mercato di riferimento.  Sempre in termini di strategia industriale, quanto contano i mercati di nicchia? Quanto conta la quota italiana di fatturato, e quanto quella estera? Quali sono i mercati più promettenti? Dove sta andando il mercato? «In genere – afferma Burelli – il mercato di nicchia conta meno di quello delle commodity. Noi, in un certo senso, possiamo adottare la nostra strategia perché non siamo grossi: la nostra produzione è pari ad un milione di tonnellate di acciaio liquido e a 850mila tonnellate di spedito. Il nostro prodotto e la nostra attività, con la laminazione a freddo, è compatibile con la logica dell’utilizzatore finale, e si presta alla realizzazione di tante specifiche. Se fossimo più grandi, dovremmo concentrarci anche sulle commodity. Il nostro mercato di riferimento è l’Italia, che conta per più del 50% del fatturato. Altri mercati importanti per noi sono in Europa: Germania, Repubblica Ceca, Spagna e Portogallo. Fra i mercati più promettenti, direi Polonia, Romania, Ungheria, Repubblica Ceca. Dove si è trasferito il Bianco e l’automotive».

Il ritorno all’ utile nel 2017

C’entra la lean production, attuata con criteri paragonabili a quelli in uso nell’automotive; la formazione continua e il 4.0. Quanto a quest’ultimo elemento, è pronto un robot antropomorfo addetto al cambio dei cilindri di uno dei sei laminatoi. Nel bilancio 2017 si assiste ad un aumento del fatturato, passato da 1,49 a 1,67 miliardi di euro (+12,4%) e legato ai prezzi in crescita; e ad incremento dei costi di produzione, da 1,48 a 1,61 miliardi di euro, +8,4%, per il rialzo dei prezzi dei rottami. Ast, soprattutto, è tornato in campo positivo: l’utile netto è a 87,1 milioni di euro, contro una perdita di 342mila euro nell’anno precedente. Sarebbe il risultato di azioni messe in campo da Ast. Si parla di lean production, di formazione continua, di 4.0. Analizziamo le singole attività.

Lean production

«Quanto alla lean – afferma Burelli – da due anni abbiamo implementato un procedimento unico nell’ambito della siderurgia: abbiamo iniziato ad applicare le logiche e gli strumenti tipici dell’automotive: efficienza e ottimizzazione sono sempre all’ordine del giorno; si intende migliorare il prodotto e al contempo ridurre i costi. Nell’automotive si assiste ad un incremento dei contenuti tecnologici e all’aumento dell’efficienza richiesto ai fornitori. Io ho appreso questa metodologia nel 1998, quando lavoravo in Alcoa (Aluminum Company of America, è un’azienda statunitense terza nel mondo come produttrice di alluminio). Ora da noi siamo ad uno stato avanzato: i reparti sono bianchi, come le macchine; c’è la gestione visuale delle performance e un sistema di miglioramento continuo, che abbiamo definito “back to basics”, ritorno al primitivo, per sottolineare l’attenzione per le persone, l’elemento che ci ha consentito questi progressi: una riduzione del 30% delle giacenze e dei reclami; e il miglioramento della qualità interna del 15%. Tutto ciò in un anno e mezzo».

 

AST, all’interno degli impianti
Formazione continua

Quanto alla formazione continua, per Burelli «la base di tutto è la motivazione del personale, che spinge i singoli a assumere nuove competenze. A maggio del 2016 abbiamo iniziato a formare gli operatori sulle tecniche di problem solving: si tratta di passare da “ho un problema” a “ho un problema e so come risolverlo”».

4.0

Infine, il 4.0. «Stiamo installando un primo prototipo di robot antropomorfo addetto al cambio dei cilindri di uno dei sei laminatoi di cui disponiamo. Ciò consentirà di ridurre i tempi di sostituzione, e di migliorare l’ergonomia delle attività. Ma come funziona? Una gabbia di laminazione è uno strumento che riduce lo spessore del nastro di metallo. Si parte dal metallo liquido; di questo, se ne fa un parallelepipedo, che viene anzitutto lavorato a caldo, e poi a freddo, appunto con cilindri collegati a potenti macchine. I cilindri, che pesano dai 20 ai 40 kg, vanno cambiati in rapporto alle tipologie di prodotto e per le rettifiche. L’operazione verrà svolta da un Robot Kuka adattato da Danieli Automation (azienda italiana del gruppo Danieli con sede a Buttrio, Udine, ed è una delle leader mondiali nelle automazioni di processo per impianti siderurgici). Altra attività tipica del 4.0 è senz’altro la raccolta di dati in vista della manutenzione preventiva e predittiva. Ci stiamo lavorando». Quanto agli incidenti, «in Italia esiste un indice che ne definisce la frequenza, legato alle statistiche di Federacciai. In Italia è pari a 21; il nostro è 3,7. Siamo, cioè, particolarmente virtuosi, anche se l’obiettivo è quello di arrivare a zero. Da noi, ogni turno inizia con cinque minuti dedicati alla sicurezza, perché in questo campo ciò che conta di più è il comportamento delle persone».

Il progetto di recupero delle scorie

La società finlandese Tapojärvi Oy guiderà il progetto di recupero delle scorie di acciaieria lanciato da Acciai Speciali Terni. Al di là dell’impegno per la tutela dell’ambiente, quali vantaggi produrrà il progetto per Ast? Burelli la mette così: «Per noi, nessuno. Qualsiasi acciaieria, a prescindere dal prodotto che realizza – acciai al carbonio, speciali e inossidabili – carica rottami nei forni elettrici, per un buon 5070% del totale, per poi aggiungere ferroleghe con metalli pesanti, nichel e cromo. I rottami arrivano da applicazioni diverse, e presentano differenti percentuali di determinati metalli. Occorre utilizzare un elemento – detto “scoria”, in grado di assorbire le impurità. In genere, è composto da calce e altri inerti naturali; all’aspetto, sembra una schiuma bianca. Ora, gli acciai al carbonio, quelli più semplici, che servono per realizzare tondini e laminati, non necessitano metalli pesanti e materiali leganti; così, le scorie per gli acciai di questo tipo vengono recuperate e rivendute, al posto di materiali inerti naturali.

Con gli acciai speciali, che hanno il 2-3% di materiali pesanti e con gli inossidabili, che fanno salire questa quota anche fino al 20% di cromo e il 20% di nichel, il recupero delle scorie è tutt’altro che immediato, visto che non possono essere trattate termo-meccanicamente, altrimenti libererebbero i metalli. Dunque occorre un procedimento particolare a monte, per far sì che la dilavazione degli inerti non determini il rilascio di nichel e cromo nell’ambiente. Solo così si può ottenere il marchio CE e rivendere la scoria. Quanto a noi, non ci guadagniamo niente, perché il piccolo ritorno della vendita è assorbito dal costo delle lavorazioni; ma la politica dell’azienda è quella di portare in discarica la minor quantità possibile di inerti».














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