Accenture: come far crescere il fatturato fino al 38% con l’ Intelligenza Artificiale

AI

di Marco de’ Francesco ♦  La crescita futura delle aziende dipenderà dal successo della collaborazione uomo-macchina. Ma per creare valore economico è necessario lavorare sulla formazione della forza lavoro. Una  ricerca della multinazionale della consulenza indica i passi da compiere

Nel noto film “The imitation game” il padre dell’informatica e dell’intelligenza artificiale Alan Turing, interpretato da Benedict Cumberbatch, la mette così: «Le macchine non possono pensare come gli umani: sono diverse. Ma c’è una domanda interessante: se qualcosa pensa in modo differente da noi, non pensa?». Infatti l’AI sta all’ingegno umano come le reti neurali (intese come modelli matematici) stanno ai neuroni. Almeno nell’industria, l’intelligenza artificiale è costituita da algoritmi, sempre più complessi, strutturati per consentire alle macchine di realizzare meglio delle persone attività tipicamente umane. Quanto meglio? Da sole o in collaborazione con gli umani?

 







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Alan Turing nel 1930

La novità è che, qualora le aziende investissero (con la stessa energie delle leader di mercato) in AI e in un’efficace cooperazione uomo-macchina potrebbero ottenere, in media, incrementi di fatturato del 38% e di occupazione del 10%. Altro che licenziamenti di massa. Tutto ciò, secondo la ricerca “Reworking the Revolution: Are you ready to compete as intelligent technology meets human ingenuity to create the future workforce?” prodotta da Accenture, basata sulle risposte di oltre 14mila lavoratori di 11 Paesi e di 1.201 dirigenti senior nonché integrata da un modello economico che ha messo in relazione investimenti nell’AI e performance finanziarie delle imprese. Ma come si ottiene quella collaborazione uomo-macchina che consenta il raggiungimento di tali risultati?

Bisogna lavorare sulla formazione interna. La multinazionale della direzione strategica ha definito un apposito percorso per aziende, articolato in tre azioni: anzitutto va ripensato totalmente il lavoro da svolgere, partendo dai compiti e non dai ruoli; poi bisogna incanalare il potenziale della forza lavoro verso le attività più promettenti in termini di valore; e infine si tratta di riqualificare il personale. Ne abbiamo parlato con Marco Morchio, ‎Accenture Strategy Leader per Italia, Europa Centrale e Grecia.

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Marco Morchio, ‎Accenture Strategy Leader per Italia, Europa Centrale e Grecia.

 

La collaborazione uomo-macchina

«Lo scopo è quello di far fare alle macchine cose che richiederebbero l’intelligenza se fossero fatte dagli uomini» – ebbe a dire Marvin Minsky, uno dei pionieri dell’intelligenza artificiale, a proposito della scienza che con lui e altri stava facendo i primi passi. Perché si tratta di questo. Di algoritmi, e cioè di elenchi finiti di istruzioni, che risolvono ciascuno un determinato problema attraverso un certo numero di passi elementari. I “problemi” che si considerano sono quasi sempre caratterizzati da dati di ingresso variabili, su cui l’algoritmo stesso opererà per giungere fino alla soluzione. Questi algoritmi sono sempre più complessi e vengono elaborati da computer e server sempre più potenti. Talvolta vengono costruiti per imitare alcuni singoli processi della mente umana, e da questo procedimento deriva il nome “intelligenza artificiale”.

Ora, per taluni «l’AI crea macchine per ottenere risultati comparabili o migliori di quelli ottenuti dall’uomo in attività considerate tipiche dell’intelligenza» (Nicoletta Salvatori, The digital world – 6, 2015). Ma dal punto di vista industriale, dice la ricerca, i risultati migliori si ottengono mettendo insieme macchine e ingegno umano. Per Morchio «la sinergia tra questi due elementi può rendere l’erogazione dei servizi molto più efficiente. Tutto questo, naturalmente, è reso possibile grazie alle nuove risorse che le aziende hanno in termini di storage, capacità computazionale e di elaborazione delle informazioni». Ma allora, questa collaborazione come si realizza?

Il fatto è che la tecnologia suggerisce opzioni che vengono poi selezionate, caso per caso, dagli umani. Per esempio, l’operatore di una macchina potrebbe ricevere informazioni in forma numerica o di diagramma su un portatile; poi spetta a lui prendere decisioni relative alla situazione illustrata. Ci sono, a dire il vero, anche ambiti applicativi caratterizzati dalla circostanza che l’AI prende risoluzioni da sola: si pensi a realtà di borsa dove la scelta di vendere o comprare viene effettuata da algoritmi; in questi casi il controllo umano è solo successivo. Ma in genere esiste cooperazione.

 

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Con l’AI, una crescita esponenziale per le aziende

Si è detto che lo studio di Accenture stima che i ricavi delle imprese potrebbero crescere del 38% entro il 2022, «a patto che investano sull’Intelligenza Artificiale e su un’efficace cooperazione uomo-macchina almeno quanto le aziende leader di mercato. A queste condizioni, anche il livello di occupazione potrebbe beneficiare di un aumento del 10%». Sempre secondo Accenture, con l’applicazione dell’AI si assisterebbe ad una crescita dei profitti pari a 4,8 trilioni di dollari a livello di economia globale. «Per fare un esempio, in un’azienda S&P 500, ciò equivale a 7,5 miliardi di dollari di ricavi e a un aumento di profittabilità pari a 880 milioni di dollari».

Dallo studio, peraltro, emergono delle precondizioni all’efficienza della collaborazione uomo-macchina, da cui dipenderebbe la crescita delle aziende. La scelta delle tecnologie da utilizzare va presa, infatti, in relazione a nuovi modelli di business, a loro volta consentiti dall’AI. Morchio la spiega così: «Anzitutto occorre valutare il potenziale tecnologico insito nella tipologia di prodotti e servizi che si intendono realizzare o offrire. Grazie all’utilizzo dell’AI, questo potenziale può essere aumentato, alimentando nuova crescita per l’azienda. L’AI, infatti, non è in grado di produrre sviluppo solo in termini di efficienza e riduzione di costi, ma può creare nuovi modelli di business capaci di generare ricavi attraverso modalità diverse. Si pensi alle tante aziende “unicorn” che hanno rimpiazzato, in brevissimo tempo, società affermate da anni nel proprio settore».

 

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Una macchina prodotta da Biesse

 

Un caso di scuola, secondo Morchio, è quello della Biesse di Pesaro, leader nella tecnologia per la lavorazione di legno, vetro, pietra, plastica e metallo (e quotata in Borsa nel segmento Star da giugno 2001. La case history è già stata affrontata da Industria Italiana qui. Per tre motivi: c’è collaborazione uomo-macchina, c’è un’intelligenza centrale in grado di decidere e c’è un prodotto servitizzato – che costituisce il nuovo business. «L’azienda – afferma – produce macchine (centri di lavoro a controllo numerico, centri di sezionatura per la produzione di pezzi singoli e di serie, calibro levigatrici, centri di finitura, levigatrici robotizzate, macchine con soluzioni per il taglio a getto d’acqua e altro; Ndr); connesse tra loro, e governate da un’intelligenza centralizzata, da algoritmi in grado di prendere parte delle decisioni.»

Con Accenture, Biesse ha realizzato un progetto che ha permesso all’azienda pesarese di modificare il proprio modello operativo utilizzando la mole di dati a propria disposizione per offrire ai loro clienti nuovi servizi digitali per potenziare le prestazioni dei macchinari e la produttività. A seguito di questo progetto Biesse oggi non vende solo macchinari, ma capacità produttiva e servizi. Questo caso mostra come innovare non significhi solo fare le stesse cose in modo diverso, ma fare cose diverse».

Dalla ricerca Accenture “Reworking the Revolution: Are you ready to compete as intelligent technology meets human ingenuity to create the future workforce?”

La crescita settore per settore

Secondo la ricerca, gli incrementi in termini di revenue e occupazione potrebbero essere diversi diversi a seconda del comparto. Per esempio, quanto ai beni di consumo, potrebbero aumentare i ricavi del 51% e l’occupazione del 9%; quanto invece al settore Health, e cioè al medicale, si assisterebbe a rialzi del 49% e del 15%. Incrementi consistenti anche per le telecomunicazioni: sarebbero pari, secondo la ricerca, al 46% e al 21%. Le cose andrebbero assai bene anche per il retail (crescita del 41% e del 10%) e per i servizi professionali (in campo positivo per il 34% e per l’11%). Infine, avanzamenti importanti, anche se minori, sono previsti dalla ricerca per i servizi finanziari (del 32% e del 9%), per la chimica (del 32% e del 2%) e per l’automotive (del 28% e del 6%). Ma cosa dipendono le differenze?

Secondo Morchio, «bisogna però tenere presente che in alcuni comparti il potenziale dell’innovazione tecnologica è ancora inesplorato: nuove applicazioni potrebbero favorire uno sviluppo prima inimmaginabile, con cambiamenti significativi e creazione di nuovi scenari. Dunque, quali saranno le aziende che beneficeranno di più dell’AI? Tutte le aziende possono utilizzare le tecnologie per trasformare il proprio modello di business creando perimetri nuovi, nuovi servizi, nuovi business. Possiamo fare l’esempio di Amazon, che ha ricollocato la propria piattaforma nei servizi televisivi, utilizzando la base di pubblico raccolta in altri comparti».

 

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Dalla ricerca Accenture “Reworking the Revolution: Are you ready to compete as intelligent technology meets human ingenuity to create the future workforce?”
Un ostacolo: i datori di lavoro sottovalutano la volontà dei dipendenti di acquisire le competenze pertinenti quanto ad AI

Da una parte ci sono i lavoratori. Il 62% di loro crede, per esempio, che le tecnologie intelligenti daranno vita a nuove opportunità di lavoro nel loro settore. Secondo la ricerca, inoltre, il 67% di loro considera molto importante sviluppare skill per lavorare insieme alle macchine; e il 45% di loro pensa che l’AI possa aiutarli a svolgere meglio il proprio lavoro. Esiste dunque una grande domanda di competenze relative all’AI da parte di una buona quota dei possibili utilizzatori in azienda. Ma la risposta dei datori è per ora insufficiente. Questi ultimi ritengono che solo il 26% della forza lavoro sia pronta all’adozione dell’AI. E, soprattutto, solo il 3% dei dirigenti afferma di voler aumentare in maniera significativa gli investimenti in formazione nei prossimi tre anni.

«Il dato di per sé non è positivo, e non facilita la riqualificazione del personale, invece necessaria in vista degli obiettivi di efficienza e dell’evoluzione del business» – commenta Morchio. Anche perché, afferma la ricerca, i lavoratori sono anche consumatori: se già ordinano le liste della spesa con Alexa (assistente personale intelligente sviluppato da Amazon) o se domandano a Siri (assistente digitale sviluppato da Apple) suggerimenti relativi a ristoranti, ci si chiede nello studio, perché mai non dovrebbero utilizzare nuove tecnologie per migliorare il loro lavoro?

 

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L’assistente vocale di Amazon Alexa
Prima azione chiave: re-immaginare il lavoro

Le aziende, secondo il percorso immaginato da Accenture, per realizzare la complementarietà uomo-macchina e incrementare i loro fatturati devono anzitutto identificare nuovi tipi di attività da realizzare grazie all’apporto delle tecnologie. Si tratta di partire dai ruoli, da cosa fa questo o quel team, e non dalle classiche funzioni aziendali. Si guarda alla gamma di tecnologie a disposizione e ai team dedicati e poi si assegnano i compiti a persone o macchine. Perché l’allocazione dei compiti riguarda anche loro.

Si fa l’esempio di Dynamic Group, un produttore statunitense, che ha dovuto affrontare carenze di competenze nella sua attività di produzione (stampaggio a iniezione). La società ha riallocato i compiti utilizzando robot leggeri capaci di operare in collaborazione con i lavoratori. Con buoni risultati: l’investimento ha quadruplicato l’efficienza del processo, ridotto gli sprechi e ha evitato attività ripetitive e faticose ai lavoratori. Una volta definite le attività, si passa alla creazione di nuovi ruoli. Perché? Perché l’AI consente alle persone di assumere lavori più strategici e guidati dall’intuito; le attività ripetitive possono essere svolte dalle macchine.

Una volta che una società abbia una lista completa dei compiti richiesti e dei ruoli da creare, può eseguire una mappatura rispetto alle competenze presenti nella forza lavoro attuale. Qualora ci siano lacune nelle competenze, rende noto Accenture, le aziende devono valutare se siano in grado di formare rapidamente i dipendenti già a disposizione o se debbano ricorrere a nuovi talenti. L’idea che il lavoro debba essere re-immaginato è comunque già diffusa presso i decisori: il 46% dei dirigenti intervistati ha infatti affermato che le tradizionali descrizioni del lavoro sono obsolete, dal momento che le macchine stanno assumendo compiti di routine mentre le persone si spostano su attività progettuali.

Seconda azione chiave: incanalare il potenziale della forza lavoro verso aree che possono creare maggior valore

Si tratta, secondo la ricerca, di modificare lo scopo della forza lavoro per sincronizzarlo con la proposta di valore dell’impresa, unica per i clienti. E quale può essere? I dirigenti sembrano non avere dubbi. Il 72% di loro concorda sul fatto che l’adozione di tecnologie intelligenti sarà fondamentale per la capacità della loro azienda di differenziarsi nel mercato. E per differenziarsi sul mercato, secondo la ricerca, non basta l’efficienza dei processi: serve formare la forza lavoro perché sia capace di abilitare nuove customer experience e nuovi modelli di business. Con quali risorse? Con i risparmi ottenuti grazie all’automazione dei processi.

Si tratta poi di «organizzarsi per l’agilità». Dal momento che le persone fanno lavori meno ripetitivi e partecipano ad una serie di team di progetto, devono godere di maggiore autonomia e potere decisionale. Le aziende devono anche ridisegnare i processi e le strutture organizzative che consentono la composizione e lo scioglimento dei team, liberando i dipendenti dai tradizionali vincoli funzionali.

Si tratta infine di «promuovere un nuovo Dna di leadership», che prescinda dalla funzione e dalla gerarchia. Secondo lo studio, «mentre le gerarchie collassano e i team si riuniscono e si sciolgono, i leader diventano co-creatori e collaboratori della loro gente. E, mentre l’intelligenza artificiale consente alle persone di assumere più alte responsabilità, al contempo spinge il processo decisionale più vicino al lavoro concreto, a quello che si sta verificando. Si pensi all’addetto alle officine, il cui tablet fornisce dati in tempo reale e approfondimenti per prendere decisioni sul posto. La leadership non è ad un solo livello: si deve costruire leader a tutti i livelli».

Terza azione chiave: accelerare la riqualificazione

Punto di partenza di questo processo è la valutazione del livello di competenza delle persone e della loro disponibilità a imparare a lavorare utilizzando l’intelligenza artificiale. Le piattaforme digitali consentono di personalizzare i programmi di formazione sulle singole persone, favorendo l’adozione di nuove competenze. «In questo processo di riqualificazione, le piattaforme saranno determinanti» – afferma Morchio. Comunque sia, Accenture ha sviluppato un modello di formazione della forza lavoro basato su una graduale evoluzione degli skill e sull’utilizzo di metodi innovativi di e-learning; secondo l’azienda, così si può massimizzare l’efficacia degli investimenti in formazione e si può accelerare i ritorni.

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                                               La ricerca

 

L’azienda rende noto che lo studio «è basato sulle risposte di 14.078 lavoratori – con diversi livelli di competenza ed età – e di 1.201 dirigenti senior. Le interviste sono state effettuate tra settembre e novembre 2017 in 11 paesi (Australia, Brasile, Cina, Francia, Germania, India, Italia, Giappone, Spagna, Regno Unito e Stati Unito) nei seguenti mercati: Automotive, Beni di e Servizi di Largo Consumo; Salute e Life Science; Infrastrutture e trasporti; Energia; Media e Entertainment; Software e piattaforme; Banking (Retail & Investimenti); Assicurazioni; Retail; Telecomunicazioni; Utilities. La ricerca ha integrato, inoltre, un modello economico per determinare la correlazione tra gli investimenti nell’IA e la performance finanziaria delle aziende, interviste qualitative a 30 dirigenti aziendali e interviste etnografiche a 30 persone che hanno lavorato con l’AI».

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