Boccia, l’innovazione e altre battaglie

Vincenzo Boccia

di Filippo Astone ♦ Fra pochi giorni Vincenzo Boccia prenderà in mano le redini di Confindustria. Lo attendono partite complesse: rinnovare la sua organizzazione, renderla centrale nel dibattito politico, spingere per un’adeguata politica industriale, dare voce a quella piccola impresa di cui è espressione lui stesso. Insomma, misurarsi con l’innovazione di cui il Paese e Confindustria stessa hanno disperato bisogno.

Fra pochi giorni Vincenzo Boccia si insedierà al vertice di Confindustria. Non è il primo presidente che viene dalla Piccola Impresa di Confindustria, ma è il primo che deve alla Piccola la sua elezione e che viene inteso come un portavoce diretto di questa parte del mondo economico, che ormai è centrale.







Fino agli albori del Duemila, Confindustria era la camera di compensazione e di rappresentanza dei “poteri forti”, delle grandi aziende, dei salotti buoni della Fiat, della Pirelli, di Mediobanca e di altri. L’influenza della Fiat e di tutto il mondo circostante era fortissima, tanto che si diceva che “il presidente di Confindustria si elegge a Roma, ma si fa a Torino”. Ed era vero. Avendo questa natura, l’associazione dei datori di lavoro industriali è stata, a volte, corresponsabile di alcuni processi sottostanti il declino economico, e ha spesso teso alla conservazione. Ma progressivamente è cambiata, così come è mutata la natura del capitalismo italiano: sono diventati protagonisti i piccoli e medi imprenditori, i fondatori di aziende del Quarto capitalismo, i manifatturieri internazionalizzati.

Anche perché, il vecchio mondo del “Salotto buono” di cui la Confindustria di una volta era espressione, è ormai scomparso. Anzi, sono scomparse quasi tutte le grandi imprese private, nel senso che hanno chiuso i battenti oppure non sono più italiane. La Fiat è uscita da Confindustria nel 2011 e ormai, comunque, è un’azienda americana e nella quale la presenza degli eredi Agnelli si ridurrà progressivamente nel tempo. Italcementi e Pirelli pneumatici sono state vendute, rispettivamente, ai tedeschi e ai cinesi. Gli elettrodomestici dei Merloni non ci sono più. La Lucchini è scomparsa. La Montedison è ormai un lontano ricordo.

Vincenzo Boccia è in continuità con Giorgio Squinzi, che ha lasciato una Confindustria riformata, attenta alla politica industriale e forte di almeno due importanti risultati: aver indotto lo Stato a ridurre significativamente i suoi forti debiti con le imprese; essere riuscita a ottenere dal Governo molto (ma non tutto) di ciò che voleva. Lo attendono molte sfide. Eccone alcune.

Giorgio Squinzi
Giorgio Squinzi

UN RUOLO CENTRALE NELLA POLITICA INDUSTRIALE

Confindustria ha e potrà avere un ruolo centrale nell’elaborazione e nell’attuazione di quella politica industriale di cui l’Italia è ancora priva e che oggi è indispensabile per poter sperare di uscire dalla crisi. Per due motivi.

Il primo è che la maggior associazione datoriale italiana è l’unica forza importante che, in Italia, invoca continuamente e con tutte le sue forze la necessità di una politica industriale. È un dato di fatto: oggi in Italia di politica industriale parlano solo Confindustria e qual- che isolato professore. Non lo fanno le forze politiche, i movimenti, i giornali, nessuno. Certo, a parole se ne interessano anche i sindacati, e in particolare la Cgil, che qualche volta la tira in ballo senza particolare enfasi. Ma nessuno come Confindustria studia il tema e lo sostiene. Negli ultimi anni, si può dire che Confindustria sia riuscita a far approvare dai governi gran parte della sua agenda, tranne due punti importanti: un rafforzamento generale del manifatturiero, e il varo di una politica industriale. Adesso, forse, è venuto il momento di concentrare gli sforzi in quelle direzioni.

Il secondo motivo è che senza il coinvolgimento delle associazioni industriali, non sarà mai possibile attuare alcuna politica industriale efficace. Le associazioni industriali possono fare da cinghia di trasmissione con i loro iscritti (cioè le aziende), raccogliendone i desideri e le necessità, e fornire al governo gli elementi tecnici necessari.

Inoltre, proprio perché la politica industriale non può più essere dirigistica, ma deve un processo di accompagnamento e facilitazione, le associazioni industriali sono essenziali nel coinvolgimento attivo delle aziende, che è indispensabile perché questi processi abbiano successo. Senza la collaborazione delle parti interessate, non si va da nessuna parte. E siccome le parti interessate sono costituite da migliaia di aziende, il raccordo con loro può essere costruito solo dalle associazioni di riferimento, che non sono solo Confindustria, ma anche quelle delle Pmi (Confapi, Confartigianato, Confagricoltura e diverse altre) e del commercio (Confcommercio e Confesercenti). Senza dimenticare il ruolo delle varie associazioni di cooperative, che rappresentano una parte importantissima dell’economia italiana, anche nel manifatturiero, visto che moltissime aziende di costruzioni e di servizi sono delle cooperative.

Ancor più vitale è il ruolo che le associazioni industriali possono avere nell’elaborazione e implementazione di politiche industriali territoriali. Queste politiche si possono basare solo sull’auto-organizzazione di filiere di imprese che operano sul medesimo territorio di riferimento. Tale auto-organizzazione può passare solo attraverso le associazioni di categoria.

Insomma, il coinvolgimento nella politica industriale conferisce alle associazioni d’impresa un nuovo ruolo e una nuova ragion d’essere. I sindacati dei datori di lavoro (e Confindustria proprio questo è: un sindacato) sono nati per uno scopo essenziale: la contrattazione collettiva. Ma nel terzo millennio, questa contrattazione tende a essere sempre più parcellizzata al livello di singola azienda, quando non di singolo individuo. La sfida, per le confindustrie, è ora di recuperare ruolo diventando cinghia di trasmissione di conoscenze, e aggregatore di politiche.confindustria-logo

UN RUOLO CULTURALE DI ACCOMPAGNAMENTO NEI PROCESSI DI CAMBIAMENTO E INNOVAZIONE

Un altro ruolo importante è di tipo culturale, ed è collegato al tema della politica industriale. Le sfide culturali e di conoscenza che attendono le aziende in questi anni di globalizzazione e interconnessione sono enormi. Si pensi soltanto a che cosa significa l’Industry 4.0. Una gigantesca opportunità, certo. Ma anche un pericolo: perché chi non cavalca la tigre (perché non vuole, perché non riesce, o addirittura perché non sa come è fatta la tigre) verrà tagliato fuori. Chiuderà, fallirà. Il passaggio culturale enorme coinvolge Confindustria in prima persona, che potrà prendere per mano i propri iscritti (o almeno una parte di essi) supportandoli in modo determinante.

Il governo (europeo, nazionale, locale) può attivarsi per far in modo che le imprese del territorio cavalchino la tigre, certo, ma senza il coinvolgimento che le associazioni datoriali possono assicurare (convocando i loro iscritti, mobilitandoli, formandoli) eventuali azioni governative rischiano solo di naufragare.

UN PARTITO DEI PADRONI POTENTE, MA DA SNELLIRE

Confindustria è un partito di padroni con penetrazione capillare ovunque. Anche perché le varie “confindustrie” (territoriali, settoriali, intersettoriali) italiane hanno un importante punto di forza che non ha eguali in Europa: la capillarità della loro presenza, e il grande consenso di cui godono fra gli iscritti. Nelle regioni e nelle provincie italiane, la partecipazione alla vita delle associazioni locali (coem Assolombarda, Confindustria Spoleto, Confindustria Alto Milanese, Confindustria Lecce e altre 80 al livello provinciale e regionale e spesso, nelle grandi città come Roma e Milano, anche con articolazioni zonali) e settoriali (Federchimica, Federmeccanica, Federlegno e così via) è intensissima, ed è nettamente superiore rispetto alla partecipazione alla vita politica.

Oggi Confindustria associa 150mila imprese, che danno lavoro a 5,5 milioni di addetti. È articolata in una Confindustria nazionale con sede a Roma, in 24 associazioni di settore che a loro volta radunano altre associazioni più specifiche; in 80 associazioni provinciali e 18 associazioni regionali.

Ogni livello associativo ha il suo apparato, con presidente, direttore generale, vicepresidente, direttori centrali, ufficio comunicazione, consiglio direttivo, giunta e gruppo giovani.

Anche se non è un partito nel senso stretto del termine, Confindustria riproduce alcuni “difetti” in comune con la politica-partitica, come la tendenza a formare correnti, e ad alimentare giochi di potere e altri meccanismi non sempre positivi.

Il sistema comunque è da riformare, e i primi a esserne consapevoli sono molti suoi dirigenti. La riforma Pesenti, varata durante la presidenza di Giorgio Squinzi, rappresenta un primo passo. Ma c’è ancora molto lavoro da fare.

Vincenzo Boccia
Vincenzo Boccia

LA NOVITA’ DI VINCENZO BOCCIA: “TOCCA A NOI”

Al momento dell’elezione, Boccia era sostenuto dalla Piccola impresa di Confindustria, dai Giovani imprenditori e da varie realtà estranee all’establishment. Negli ultimi anni, Giovani e Piccola si sono distinti per aver sottolineato la necessità del cambiamento, dell’innovazione, del business a livello internazionale. La gestione recente della Piccola Impresa, guidata da Alberto Baban, ruota tutta attorno ai temi dell’innovazione. Boccia è un piccolo imprenditore (la sua impresa fattura circa 40 milioni di euro), che dal suo essere piccolo ha trovato la sua forza e la sua ragion d’essere. E nel suo discorso programmatico ci sono punti davvero interessanti, di rottura rispetto al passato. La prima cosa che colpisce è che nelle primissime righe c’è una assunzione diretta di responsabilità, senza i soliti piagnistei o le accuse alla politica brutta e cattiva che hanno caratterizzato tanta parte del discorso confindustriale passato. “Tocca a noi indicare le condizioni e le risorse per fare di questa ripresa un processo solido e vigoroso, capace di ridare la speranza ai giovani, abbattere la disoccupazione, riaprire la strada dello sviluppo, anche in quelle zone del Paese che oggi sembrano esserne escluse”, ha detto Boccia. Quel “tocca a noi” è veramente da sottolineare. Finalmente.

Per Boccia Confindustria o è politica oppure non è. Boccia non prende più le distanze dalla politica, ma teorizza finalmente in modo chiaro e aperto una Confindustria protagonista di questa: “Confindustria deve restare no-partisan e questo è un valore irrinunciabile. Ma deve essere un attore-protagonista, capace di interpretare anche i copioni più difficili, per portare sulla scena i bisogni e le proposte delle imprese”. Insomma, rendere Confindustria un protagonista assoluto della vita di questo Paese è la principale missione che si è dato Vincenzo Boccia. Vedremo se ci riuscirà.

Leadership collettiva. Di rottura anche la teorizzazione di una leadership collettiva. Boccia ha parlato della “nostra casa comune per una stagione di leadership collettiva, che si proponga di pensare e sostenere l’agenda della competitività per l’Italia e per l’Europa. Rafforzando la sua identità, la sua capacità di rappresentanza e di servizio alle imprese”. Inoltre, Boccia vuole più Europa, auspica anzi gli Stati Uniti d’Europa, vuole ridurre l’insensata austerità e invoca una politica industriale europea davvero efficace.

Assemblea Confindustria
Assemblea Confindustria

Questione industriale. Non banale il richiamo alla questione industriale. “Dobbiamo rilanciare la “vocazione industriale” alla base della ricostruzione e del boom economico degli anni Sessanta, offrendo al governo e al Paese una strada percorri- bile: chiedendo agli altri attori di fare la loro parte, ma prima di tutto facendo noi quel che serve per imboccare di nuovo la via dello sviluppo in un contesto, però, molto diverso da quello del dopoguerra. La questione industriale è anche, e prima di tutto, culturale: bisogna contrastare il paradosso del secondo Paese industriale d’Europa in cui vivono ancora ri- levanti dimensioni di cultura antindustriale. Dobbiamo saper raccontare con orgoglio a tutti, a partire dalle generazioni più giovani, l’importanza della identità industriale e produttiva dell’Italia”. Di conseguenza viene la questione della crescita dimensionale. Dice Boccia: “La crescita dimensionale va per- seguita anche attraverso strumenti che spingano le imprese a collaborare. A partire dalle reti d’impresa: un’intuizione felice che ha permesso alle imprese di costruire alleanze e fare sistema, sulla quale sempre più dobbiamo puntare”. Ne con- segue la necessità di una finanza al servizio delle imprese, con un richiamo agli incentivi alla quotazione in borsa e a ulteriori strumenti per alimentare la crescita delle aziende.

Un abbaglio sulla produttività? L’unico punto critico della relazione di Boccia riguarda la produttività, che, a suo parere, sembra dipendere soprattutto dai salari, e dalle metodologie per determinarli. Sostiene Boccia: “La bassa produttività, derivante principalmente da un sistema disfunzionale di determinazione dei salari, che è stata causa del peggioramento della competitività di prezzo delle nostre merci e servizi”. A nostro avviso, invece, la competitività non dipende tanto da questo, quanto piuttosto dagli investimenti, e dalle iniziative per l’innovazione.

 














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1 commento

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