Piano Calenda Industria 4.0, pare che sia il momento della concreta attuazione. E a Torino….

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di Laura Magna ♦ Ora università e associazioni imprenditoriali devono fare la loro parte per dare tecnologie e know how alle imprese italiane. Che o affrontano la digital transformation adesso oppure spariranno. Ecco, per esempio, che cosa accade in Piemonte


Ai blocchi di partenza si presentano in 177. Ci sono 77 «Punti impresa digitale» (Pid) gestiti da Unioncamere, 21 «Digital innovation hub» (DIH) di Confindustria, 30 di Confartigianato, 28 di Cna, e 21 «Ecosistemi digitali di innovazione» di Confcommercio. Sono gli attori della seconda fase del Piano Industria 4.0, quella che nelle intenzioni del Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, dovrà servire a istruire le imprese a utilizzare al meglio le “munizioni” per la trasformazione tecnologica, che da gennaio il MISE ha cominciato a fornire alla manifattura nazionale. Sono le associazioni imprenditoriali di categoria riunite in un network che dovrà essere in grado di fornire informazioni, formazione, consulenza specialistica sui reali fabbisogni e sui centri di trasferimento tecnologico cui rivolgersi.

Industria Italiana ha voluto tastare il polso della situazione e dello stato dell’ arte per quello che riguarda il progresso dei DIH di Confindustria, andando in Piemonte, dove la struttura è stata costituita precocemente, seguita a ruota dagli hub di Umbria, Parma, Pordenone/Friuli, Belluno e Venezia, mentre i attende la partenza degli altri 15, così da coprire l’intero stivale, con eventuali accorpamenti regionali. Ma vediamo innanzitutto a che punto è il Piano Calenda e il quadro generale del network.







Dalla presentazione del network nazionale Industria 4.0, MISE

Il Piano Industria 4.0 al nodo delle competenze

La prima fase, quella che ha visto l’attuazione pratica dei provvedimenti fiscali a sostegno della transizione tecnologica, sembra, a detta di quasi tutti , aver dato i frutti sperati. Gli incentivi del super e iperammortamento secondo Ucimu, l’associazione dei costruttori italiani di macchine utensili, robot e automazione hanno fatto sì che la raccolta ordini   di macchine utensili, nel primo trimestre 2017, registrasse un incremento del 5,1% rispetto allo stesso periodo del 2016. Un risultato reso possibile grazie all’ottimo riscontro degli ordinativi raccolti sul mercato interno, cresciuti del 22,2% dopo anni di stasi e dopo un decennio (quello chiuso al 2015) in cui il parco macchine italiano è diventato più obsoleto che mai.

Se questi numeri fanno sperare che il movimento di rinnovamento tecnologico si sia avviato nel migliore di modi , vale bene ricordare che dare vita Industria 4.0 significa molto più che acquistare una o più macchine. Dotarsi adeguatamente per affrontare la sfida vitale della competitività, soprattutto per le PMI, implica anche l’assunzione di un bagaglio di consapevolezza e di perizia nell’utilizzo del know how, che si rivelerà determinante in tempi brevi. Per questo Calenda aveva previsto la creazione di una rete a supporto del cambiamento: una rete che ora inizia a comporsi e che a regime comprenderà come nodi focali i Pid, i Digital Innovation Hub (DIH) e i Competence Center.

Si aspetta il  semaforo verde per i Competence Center.

C’è da dire che questi ultimi, i centri di eccellenza tecnologica che fanno riferimento alle università, stanno ancora aspettando che il decreto attuativo che li istituirà, passi al prossimo vaglio del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. Nell’attesa di questa decisione che è preliminare alla disponibilità del bando pubblico per la selezione dei centri, si sta già innervando, lungo tutta la penisola, il composito network, gestito dalle diverse associazioni imprenditoriali di categoria, e i cui obiettivi è lo stesso MISE a elencare: «diffondere la conoscenza sui reali vantaggi derivanti da investimenti in tecnologie in ambito Industria 4.0 e dal Piano nazionale Industria 4.0; affiancare le imprese nella comprensione della propria maturità digitale e nell’individuazione delle aree di intervento prioritarie; rafforzare e diffondere le competenze sulle tecnologie in ambito Industria 4.0; orientare le imprese verso le strutture di supporto alla trasformazione digitale e i centri di trasferimento tecnologico e stimolarle e supportarle nella realizzazione di progetti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale».

La rete dei Pid
Dalla presentazione del network nazionale Industria 4.0, MISE

Chi fa cosa

Come dicevamo all’inizio, in questo ambito gli attori sono diversi e fanno riferimento a specificità imprenditoriali con una differente dimensione e ruolo nel sistema paese: Confcommercio, Confartigianato, Confindustria, Cna, e per alcuni attribuzioni e funzioni si sovrappongono, ponendo con urgenza la necessità di operare sinergicamente. Ad esempio i Pid, gestiti dalle Camere di Commercio, si occuperanno della diffusione locale della conoscenza e di corsi di base sulle tecnologie 4.0. Ma svolgeranno anche alcune funzioni in sinergia con i Digital innovation hub, come la mappatura della maturità digitale delle imprese, o la diffusione della conoscenza generica sulle tecnologie 4.0. Questo sforzo congiunto sembra essere necessario e auspicabile, visto che il punto di partenza per avviare una vera e propria “rivoluzione culturale”, per alcuni versi e per certa parte del mondo imprenditoriale nazionale, è un punto di partenza abbastanza arretrato.

Secondo l’ultimo rapporto del Politecnico di Milano sulla Manifattura Digitale solo il 10% delle aziende pensa che sia necessario rivedere radicalmente l’organizzazione e i modelli di business, mentre il 90% si divide equamente tra chi pensa che Industria 4.0 sia solo relativa a sensori e tecnologie applicate alla produzione e chi crede che sia solo software. Dato ancora più sconcertante: il 38% delle aziende non sa niente di 4.0; mentre il 33% ha solo una conoscenza teorica.

DIH in Italia
Dalla presentazione del network nazionale Industria 4.0, MISE

DIH sul campo: il Piemonte

 Franco Deregibus è responsabile dell’ hub piemontese, che ha alle spalle già una esperienza provata di otto anni sul fronte dell’innovazione, legata alla presenza di punti di riferimento come il Politecnico, Torino wireless e l’Istituto Boella, che faranno da controparte all’impegno di Confindustria. De regibus rivendica alla sua regione, insieme a Puglia, Emilia Romagna, Marche e Lazio,anche il merito di aver partecipato in passato ai progetti di hub europei finanziati dalla Commissione Europea.

Franco Deregibus, responsabile DIH Piemonte

Punto di partenza : la manifattura in Piemonte dopo la Fiat

Ma veniamo ai giorni nostri, al presente di una economia, quella piemontese, a forte vocazione manifatturiera , che ha girato sempre intorno alla Fiat ma che è stata costretta a cambiare, con FCA che ha smesso di essere il motore di Torino. Nonostante questo «L’indotto più evoluto ha saputo allargarsi e la filiera automotive continua a essere forte – racconta Deregibus – l’innovazione per questa regione a forte vocazione manifatturiera è vitale. Il territorio si caratterizza per la diffusione capillare di aziende metalmeccaniche, ma anche per la presenza di distretti con una forte varietà: quello che abbraccia l’Alto Vercellese, la Val di Sesia e parte della provincia di Novara vede una miriade di aziende che fanno rubinetti per uso civile e industriale. Poi ci sono distretti specializzati, come quello dell’oro di Valenza o quello tessile del biellese e tutto un indotto che si è creato intorno all’agroalimentare del cuneese e dell’astigiano: packaging, produttori di macchine per imbottigliamento, stampa di etichette».

Secondo i dati di Unioncamere Piemonte   la regione produce l’8% del valore assoluto totale e il 10% di quello manifatturiero italiano. Il settore più pesante è quello di meccanica, elettricità ed elettronica, che vale il 21% del totale, seguito da metalli e mezzi di trasporto (entrambi al 16%), dal food (13%) e subito dietro dalle altre manifatture (11%). Ancora, a seguire gomma e plastica (9%), chimica e pharma (8%) e tessile (7%). La crisi ha morso anche qui: il peso della manifattura sul totale delle imprese regionali è passato dal 18% del 1995 al 10% del 2016 mentre quello degli occupati dal 30% al 20%.

Il lavoro sul campo

Quindi il Digital Innovation Hub piemontese avrà il compito di mettere radici in un terreno fertile e ancora a forte impronta imprenditoriale.«Obiettivo del digital hub – dice Deregibus – era ed è fare informazione e formazione innanzitutto. E poi assessment, ovvero aiutare le aziende a capire come si posizionano rispetto al mondo della digitalizzazione. Un lavoro da fare one to one con l’azienda, incontrando l’imprenditore , a seconda della complessità della singola realtà anche dirigenti e capi funzione. Con un’intervista strutturata per aiutarli a capire dove sono, sia per robustezza dei processi sia dal punto di vista degli strumenti informatici che li supportano.»

«Una volta fatta la valutazione, – aggiunge Deregibus- il nostro compito è contribuire a fare un piano di miglioramento, a mettersi in contatto con aziende che possano fare progetti e dare un supporto continuo durante l’esecuzione dello stesso. A corollario, se un’azienda ha bisogno di fare sperimentazione su una tecnologia o se hanno bisogno di alta formazione, noi agevoliamo le vie di contatto con i Competence Center».

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L’ingresso del Politecnico di Torino
In attesa dei Competence Center

Quindi gli hub, come abbiamo visto, sono anche il soggetto che media tra imprese, università e centri di ricerca. Come verrà sviluppata questa collaborazione? « Stiamo facendo i primi esperimenti nell’attesa del decreto che avvii la costituzione dei centri di competenza: stiamo cominciando a definire il modello di ingaggio. Un passaggio non banale soprattutto quando si parla di PMI, che hanno bisogno di una mano anche solo per stabilire di chi e di che cosa hanno bisogno».

Dario Gallino
Dario Gallino Presidente Unione Industriali Torino

Nell’ esaudimento di questa necessità di collaborazione c’è chi ventila la possibilità che i DIH rappresentino un modo per finanziare certe Università rispetto ad altre, ma Deregibus rifiuta nettamente questa interpretazione: anche perché i Digital Hub devono autofinanziarsi: «non c’è nulla nel Piano Industria 4.0 che preveda l’erogazione di fondi a Confindustria o enti di Confindustria. Mentre è giusto che siano differenziati i centri di competenza universitari: erogare finanziamenti a pioggia sarebbe inutile, più opportuno finalizzarli a chi meglio li può utilizzare»

Sul Piemonte, in particolare, il costo dell’investimento necessario non è ancora stato quantificato. «Partiamo con una struttura snella e fatta di persone, quindi un investimento piccolo in uomini con un piccolo nucleo, poi capiremo quanto servirà su ogni territorio, quanti sono gli iscritti industriali e cosa serve a noi per poterli accompagnare. Stiamo lavorando a stretto contatto con la Piccola Industria per non lasciare dietro nessuno».

rete artigiani
Dalla presentazione del network nazionale Industria 4.0, MISE
Troppi gli attori coinvolti?

In generale, però, trattandosi di work in progress, ci sono ancora delle limature da fare. E già sul numero finale degli attori coinvolti nel network propugnato dal ministro Calenda, di cui abbiamo parlato, emerge qualche perplessità. «Il Piano di Industria 4.0 alla nascita prevedeva solo due reti – spiega Deregibus – la rete dei Digital Hub affiliati a Confindustria e la rete dei Centri di Competenza che erano selezionati tra le Università. Ora la rete si sta allargando anche ad altre organizzazioni imprenditoriali, Confartigianato si farà i suoi digital hub, e così Cna». E non è escluso l’ingresso di altre associazioni di categoria, per un totale nazionale a oggi, secondo i documenti ufficiali del Mise, di 79 DIH.

Un numero ingente e paragonabile a quello dei Punti di punti impresa digitali gestiti da Unioncamere , che dovrebbero avere la funzione di una ramificazione capillare sul territorio e che saranno 77 da ridurre a 60 con gli accorpamenti delle stesse Camere. Insomma il rischio che i punti di riferimento siano troppi e troppo diversi esiste .

«Uno può apprezzare il modello tedesco o francese oppure no – commenta Deregibus – ma entrambi hanno messo in piedi una piattaforma che in qualche modo fa un coordinamento unitario di tutte le iniziative sul territorio. Secondo me questa è una cosa che al momento in Italia manca. La differenza tra Italia e Germania è che noi abbiamo una frammentazione di aziende importante, quindi avere più punti di ascolto potrebbe essere utile, ma sarebbe importante che venissero coordinati per evitare che ognuno si faccia i suoi modelli di assessment e di formazione».

Carlo Calenda

Calenda: Customer satisfaction per valutare l’operato degli hub

Questo aspetto è ben presente al Ministro Calenda che ammette che la scelta di far impegnare più attori sul fronte della formazione per le competenze digitali, comporta sì il rischio di duplicazioni, ma è anche vero che risponde anche alla logica di dare la massima «prossimità alle imprese non solo in termini di localizzazione geografica ma anche di cultura d’impresa». Come a dire che con un piccolo o medio artigiano si confronteranno meglio le associazioni di quella filiera mentre l’imprenditore avrà un miglior dialogo con Confindustria o Confcommercio.

«La sfida più difficile in Italia e’ fare sistema ed evitare sprechi o duplicazioni: vigileremo affinché questo non accada», dice Calenda che spiega come ogni singolo processo sarà all’attenzione di una cabina di regia al ministero. A chi lavorerà a beneficio dell’ intero sistema non verranno a mancare le risorse.«Ci sarà una certificazione dei Dih che stanno lavorando bene,- ha detto Calenda – e per farlo chiederemo di avere i dati sulle imprese che hanno avuto accesso agli hub per misurare la customer satisfaction».














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