Open Innovation: come allevare idee nella città delle start up, Milano

di Marco de’ Francesco ♦ Bilancio positivo per Start-up Town, iniziativa coordinata da Stefano Venturi, ceo di Hpe Italia. Ma  c’è ancora molta strada da fare per irrobustire l’ecosistema dell’innovazione: più contaminazione con le imprese, collaborazione con gli atenei, migliore accesso  agli investimenti

«Scaricare le idee a terra». Un’espressione diretta, quella di Stefano Venturi – AD di Hewlett Packard Enterprise Italia  e membro del consiglio di presidenza di Assolombarda Confindustria Milano Monza e Brianza, con delega “all’agenda digitale e start up”   – e anche un modo per “contestualizzare” il verbo di Henry Chesbrough, il primo a parlare di Open Innovation, sia in vista dell’attualità del nostro tessuto industriale che delle carenze e delle previsioni “ambientali”. Perché molto è cambiato negli ultimi anni, e l’impressione è che il nostro Paese sia rimasto, per certi versi, un pò “al palo”.







Stefano Venturi, AD di Hewlett Packard Enterprise Italia

Guardare al di fuori per l’ R&S delle imprese

Come tutti sanno, per anni la Ricerca & Sviluppo è stata concepita come una funzione interna all’azienda. Chi investiva nell’innovazione dell’attività (non tutti) lo faceva per ottenere un vantaggio concorrenziale, in una prospettiva a medio o lungo termine. Di qui la necessità di innalzare poderose barriere tra l’impresa e il resto del mondo: il processo era governato in termini proprietari.

Di mezzo, però, in questi ultimi anni, la globalizzazione, l’accorciamento della vita media dei prodotti, e il sostanziale incremento della mobilità dei dati e delle persone: tutti fattori che hanno complicato la vita a chi intendeva trattenere per sé conoscenze e talenti. Di fatto, il modello andava aggiornato. Di qui il nuovo paradigma: le imprese, per creare valore, non si basano solo sul lavoro dei centri di ricerca interni, ma ricorrono anche a competenze e idee che provengono dall’esterno.

Ricerca biotech
Ricerca biotech

La situazione in Italia

Si assiste all’integrazione tra fonti, appunto interne ed esterne, di idee. Un modello che vede l’Italia in grave ritardo.Vediamo i dati disponibili, come emergono da una recente ricerca dell’ Osservatorio Digital Transformation Academy della School of Management del Politecnico di Milano  che ha raccolto i pareri di  205 tra Chief Information Officer e Chief Innovation Officer di aziende italiane e Pubbliche Amministrazioni.

La gestione dell’innovazione digitale è oggi una delle priorità per il business delle imprese italiane, come dimostra la tenuta del budget ICT, che nel 2017 prevede un tasso di crescita complessivo in linea con il 2016, tra lo 0,5% e lo 0,6%. E’ in aumento l’interesse verso l’innovazione aperta in azienda, guardando oltre le fonti più tradizionali, come fornitori ICT e società di consulenza, in particolare verso l’ecosistema delle startup.

Start-up

Ma anche se questi sono i presupposti proattivi, ben il il 45% delle imprese non ha ancora intrapreso alcuna iniziativa di Open Innovation, mentre solo il 35% si sta già muovendo attraverso collaborazioni con università e centri di ricerca, solo il 20% ha realizzato partner scouting su aziende consolidate e il 18% ha sviluppato progetti di startup intelligence. Appena il 30% delle imprese italiane ha collaborazioni attive con startup come fornitori, che dimostrano di portare, come principale beneficio, apertura culturale e contaminazione nell’organizzazione.

 I benefici principali di avere startup come fornitori sono, per il 57% delle imprese che ne fa uso, l’apertura culturale in azienda e la contaminazione continua utile per rivedere i modelli di gestione. È importante anche lo sfruttamento dell’innovazione per il lancio di nuovi prodotti/servizi innovativi e l’apertura di nuovi mercati (55%), la riduzione del time to market e l’accelerazione del processo di sviluppo tramite esternalizzazione di parte dello stesso (45%). Ed è significativo il contributo del coordinamento semplice grazie alla struttura organizzativa, snella e flessibile, delle startup (41%).

Ma le imprese che adottano startup come fornitori incontrano anche delle difficoltà. Spesso la cultura interna non è abbastanza “aperta” (40%), oppure la startup non è abbastanza matura alla finalizzazione del servizio (34%) o c’è uno scarso orientamento al B2B (22%). Fin qui l’ultima fotografia disponibile della realtà nazionale dell ‘ ecosistema dell’innovazione. Ed è entro i confini tracciati su questo  terreno  che  il progetto Start-up Town gioca la sua partita, rivendicando a Milano il suo tradizionale  ruolo di ruolo di primo piano come hub di attrattività delle nuove realtà imprenditoriali e capitale dell’innovazione.

Milano trampolino di lancio per start up

 «Abbiamo deciso di portare le start-up nella casa dell’industria Italiana, quella di  Assolombarda, la più grande associazione territoriale dello Stivale, a Milano. La locomotiva che guida lo sviluppo del Paese dagli anni Sessanta. Le imprese si accorgono che l’obiettivo di innovazione di processo o di prodotto che intendono realizzare finanziando la ricerca interna è stato già raggiunto da micro-aziende, che sono andate in meta grazie ad un’idea originale, rivoluzionaria. Talvolta, si tratta dell’uovo di Colombo. A quel punto, però, in certe situazioni può essere più opportuno “comprare” l’idea, piuttosto che finanziare una ricerca specifica che può durare anni, e che raggiunge il risultato quando il mercato ha cambiato orientamento. Questo è quello che accade all’estero. E io penso che dovrebbe avvenire anche da noi».

Milano, skyline
Milano, skyline

 “Start-up Town” è il nome del progetto grazie al quale l’associazione imprenditoriale  offre alle nuove imprese, con un fatturato inferiore a 500mila euro, l’adesione all’associazione e l’uso di tutti i servizi di consulenza e supporto gratuiti per i primi 4 anni. Fa parte del Piano strategico “Far Volare Milano”, 50 progetti in ambiti precisi, concreti, su cui l’associazione territoriale ha chiamato a raccolta tutti gli attori della città metropolitana.

Adesso cammina con le proprie gambe :«Ciò che mi rende più orgoglioso – chiarisce Venturi – è che non c’è più bisogno di incubazione; Start-up Town è ormai autonomo, gestito dalla struttura dell’ associzione imprenditoriale. Un capitolo standard, grazie al quale insegniamo alle start-up a diventare grandi; e a evitare errori che possono rivelarsi fatali e “mortali”. Noi stessi, con questo progetto siamo stati, per così dire, una start-up: il piano di avviamento è terminato quando è diventato un servizio ongoing. E poi, se la contaminazione consente alle imprese, come si diceva, di sviluppare nuove idee, al contempo permette alle start-up di fare un bagno immergersi completamente nel mondo del business».

Open Innovation: innovare non è inventare

Torniamo all’Open Innovation. «Il focus è l’innovazione – chiarisce Venturi – che è cosa distinta dall’invenzione. Con la seconda, si trasforma il denaro in idee; con la prima, avviene il contrario. Innovare è scaricare a terra le idee. Le aziende si stanno rendendo conto che si tratta di inventare un po’ meno e di innovare un po’ di più. Non basta più disporre di un team di ingegneri che danno vita a progetti in modo lineare e consequenziale, un modo coerente con le proprie esperienze e il proprio ambito culturale, la propria cultura specifica.

È consigliabile, invece, dapprima definire gli obiettivi strategici , in rapporto ai prodotti e ai servizi che si intende realizzare; dopodiché, la cosa migliore è guardarsi attorno, per valutare se qualcuno abbia raggiunto il risultato con una qualche novità. Si compra, si integra in azienda, e si dà vita ad una enclave innovativa nel settore».Sempre secondo Venturi, «negli Stati Uniti, per esempio, che – va detto – rappresentano un modello molto diverso dal nostro – le aziende innovano così. Nel meccanismo, peraltro sono coinvolte anche le università. Da noi la good-news è che le nostre imprese hanno cominciato a collaborare di più con gli atenei. Ma, quanto a contaminazione con le start-up, siamo molto indietro».

Start-up

Dati in chiaroscuro per le start up

«In Lombardia – afferma Venturi – nascono più start-up a responsabilità limitata che in altre regioni produttive d’Europa. Dal 2007 al 2013, la Lombardia ha registrato l’avvio di 12.121 start-up, il 23% del totale nazionale, contro le 10.408 del Rhône-Alpes e le 9.770 del Baden-Württemberg. Certo, è andata meglio alla Baviera (15.294) e soprattutto alla Catalogna (16.090), ma è di per sé un buon risultato, quello lombardo.

Ma a controbilanciare questo dato positivo va detto che il tasso di natalità è in declino. “Nello stesso periodo,- sottolinea Venturi – , il numero di imprese ogni 100mila abitanti (popolazione 15-64) è passato in Lonbardia da 29,8 a 22,3, mentre in Baviera è cresciuto da 23,5 a 25,6. Anche nel Baden-Württemberg si è assistito a un rialzo da 17,5 a 19,5. In ogni caso il problema delle nostre start-up è la fase Up: una volta avviate, sopravviene un tasso di mortalità più alto. Sempre in riferimento al periodo 2007-2013, delle start-up nate in Lombardia solo il 77,9% sono sopravvissute, il 3,2% sono state acquisite e il 18,9% non sono più operative. Invece, la quota delle sopravvissute è pari all’88,4% in Baden-Württemberg, all’88,6% in Baviera, all’85,3% in Rhône-Alpes. Peggio di noi solo la Catalogna: 74,6%. »

Non c’ è solo questo dato a delineare i contorni in chiaroscuro:«Inoltre, in Lombardia aggiunge Venturi – emergono gap importanti in base al settore: mentre l’81,4% delle start-up legate alla manifattura sono sopravvissute, ce l’hanno fatta solo il 77,9% di quelle nel comparto dei servizi e solo il 72,6% di quelle operative nell’ambito dell’arte, della cultura e delle attività creative. Tutto questo perché, nel panorama italiano, si è rilevata meno forte, rispetto ad altri contesti, l’interazione tra chi ha idee e chi sa intraprendere, nonché la contaminazione tra accademia e impresa. Da noi, poi, c’è una minore propensione al rischio: fino ad oggi solo i giovani si sono accollati i rischi della start-up: tra i 40enni e 50enni con esperienze consolidate già da tempo ha prevalso la cultura del posto fisso. È ora di coinvolgere anche i più esperti portando un mix di esperienze nelle start-up».

 

Veduta notturna dell’ EXPO Mlano 2015

Milano l’habitat piu’ adatto allo sviluppo delle start-up

Si diceva delle difficoltà che incontrano le start-up italiane e lombarde in particolare. Anche grazie a Start-up Town, tuttavia, le cose a Milano sembrano aver preso la giusta piega. È anzi Milano l’ habitat più appropriato per lo sviluppo delle start-up. Lo ha affermato, com’è noto, l’autorevole Financial Times, nell’articolo “Milan, Italy’s biggest start-up hub” di Rachel Sanderson. Secondo uno dei più importanti   giornali economico- finanziari del mondo una combinazione virtuosa di circostanze evolutive contribuisce al successo meneghino: università di prestigio come la Bocconi, disponibilità di capitali, eccellenza industriale, impeto cosmopolita a seguito di Expo 2015 e altro.

In questo contesto si è innestato il progetto seguito da Venturi . «La strategia – dice l’ AD di Hewlett Packard Enterprise Italia – era ed è quella di incentivare le migliori start-up a collocarsi non solo l’una a fianco all’altra, ma anche vicino alle imprese. Per creare l’ecosistema – potenzialmente in grado di incrementare l’occupazione – si voleva favorire e accompagnare la nascita di nuove imprese (soprattutto nei settori innovativi) e connettere tutte le iniziative rivolte a tale scopo presenti sul territorio; aumentare il tasso di sopravvivenza delle start-up e, grazie al matching con queste, promuovere l’innovazione nelle PMI ; infine, attrarre investimenti favorendo exit di tipo “industriale”».

Start-up

Il bilancio di Start Up Town

Ora, a poco più di due anni dal lancio di “Startup Town”, sono 277 le start-up associate presenti, di cui oltre il 90% del totale innovative. In generale, i risultati del progetto sono così descritti da Venturi: «Al di là del supporto gratuito a 254 start-up innovative e associate (il 26% di quelle presenti sul territorio di competenza), uno dei frutti più importanti è stata la messa in rete di 62 tra gli attori più significativi dell’ecosistema italiano in materia. Settecento le consulenze erogate; e 19 start-up hanno ottenuto finanziamenti grazie a Bancopass per 7,5 milioni di euro complessivi.

Bancopass – spiega Venturi – è strumento di Assolombarda, realizzato nell’apposito progetto seguito dal Vice Presidente Carlo Bonomi, che consente di presentare l’impresa a banche e finanziatori: le aziende si avvicinano al mondo del credito, realtà che non consiste nella sola banca, ma anche nella capacità di emettere minibond o di ristrutturare il piano finanziario, per esempio. In sintesi, l’idea è quella di fare del credito un vantaggio competitivo, e non una penalizzazione, come spesso accade. Per questo, ha riscosso un considerevole apprezzamento.»

Infine Ventura sottolinea il coinvolgimento di oltre 230 start-up in attività di vario genere:  « Abbiamo fatto tanto matching. E ora siamo il più importante polo aggregatore in Italia. Tirando le somme, il Progetto si è concluso in modo positivo ed è diventato un’attività strutturale dell’Associazione: l’Advisory Board proseguirà i suoi lavori per la contaminazione dell’ecosistema. Di recente, peraltro, Camera di Commercio e Comune di Milano hanno siglato un accordo che mette a fattor comune le iniziative di questi attori (oltre a noi, Confcommercio e Confartigianato) rendendo Milano, prima in Italia, una vera “Start-up Town”. In concreto, l’intesa triennale istituisce un punto unico di accesso a tutti i servizi offerti alle start-up dagli enti sottoscrittori, per migliorare l’efficienza dei processi ed evitare duplicazioni di offerta».

Milano chiama Italia: MCE4X4

Un momento importante, per tastare il polso alle capacità innovative e allo sviluppo dei rapporti tra start up, imprese e istituzioni è stata quest’anno la seconda edizione di   ‘MCE 4×4’ . La   ‘Mobility Conference Exhibition 2017′ promossa  dalla  territoriale e dallaCamera di Commercio di Milano, in  collaborazione con Nuvolab venture accelerator ha voluto favorire    l’incontro tra le imprese e  le startup del mondo della mobilita’ per creare opportunita’ di  business. Il momento centrale si è svolto nella seconda giornata,  aperta a tutti gli attori che operano nei diversi settori della mobilita’ e dell’innovazione. « Quest’anno sono arrivate piu’ di 100 candidature da tutta Italia e dall’estero, una conferma il ruolo di primo piano di Milano   come hub di attrattivita’ delle nuove realta’ imprenditoriali –  sottolinea  Venturi – . Un grande risultato raggiunto anche grazie alla forza innovativa del Progetto ‘Startup Town’ .»

Sono 16 le startup che lavorano intorno ai temi della mobilità intelligente che hanno partecipato a ‘Mce 4X4’.   Atooma ; Bermat ; Bright side of life ; Quisque ; DriWe  ; Ecomission ; Smart Domotics ; Spi Consulting SRL  ; GOGOBUS srl ; ParkAgent.it ; Y.Share; Zego ; Fleetmatica SRL ; MobyPlanner ; Sky4APPS S.r.l. .

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Il prodotto della star up Bright side of Life

 

Oltre al ‘future storming’, l’evento si è articolato in altri 3  momenti di incontro. L’exhibition, uno spazio espositivo in cui sono raccolte tecnologie di avanguardia, progetti futuristici, applicazioni IoT, prodotti innovativi di startup destinate a cambiare il futuro della mobilità; il ‘business speed date’ in cui le imprese hanno incontrato le startup innovative e conosciuto nuove idee imprenditoriali, per innovare e innovarsi insieme; il ‘tandem meeting’, colloqui riservati one to one che hanno consentito di gettare le basi per potenziali collaborazioni e opportunità di business.

«Creare un futuro smart per la mobilità vuol dire  e mettere in piedi dei sistemi di scambio di informazioni  che utilizzino quella capacita’ residua che c’e’ nei sistemi di trasporto e la cui disponibilità non viene viene valorizzata» spiega  Venturi, « Smart vuol dire aggiungere quell’interconnessione informativa che fa si’ che i sistemi vengano utilizzati al meglio.E per fare questo  un fattore critico importante e’ il cosiddetto Open Data: attorno a una citta’ metropolitana le istituzioni devono operare una politica di dati aperti. I sistemi di trasporto devono mettere a disposizione di terzi, quindi di start-up e vari operatori informatici, i dati sulla localizzazione dei mezzi di trasporto, sui ritardi. »

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Prodotto della start up Ecomission

Il sistema dell’ innovazione in Italia

Peraltro, Assolombarda, Italia Startup e Smau, in partnership con Ambrosetti e Cerved nel contesto dell’Industry Advisory Board di Italia Startup, in coordinamento con il progetto Startup Town hanno dato vita al Primo Osservatorio sui modelli italiani di Open Innovation e di Corporate Venture Capital. L’indagine ha utilizzato il patrimonio informativo di Cerved per descrivere, sulla base dei dati tratti dal Registro delle Imprese, il sistema dell’innovazione in Italia. Sono così stati identificati, a livello nazionale, 71 investitori specializzati in innovazione, considerando incubatori certificati (imprese che offrono servizi per sostenere la nascita o lo sviluppo di startup innovative, iscritti in un’apposita sezione del Registro delle Imprese), fondi di venture capital e altri investitori associati a Italia Startup. Risulta che questi investitori hanno partecipazioni dirette o indirette nel capitale sociale di 1.125 società, le quali producono un giro d’affari pari a 2,9 miliardi di euro.

Va detto che, considerate le partecipate, il numero di start-up innovative sfiora quota 7mila. Si legge nella ricerca che «l’analisi sulle partecipazioni degli investitori specializzati consente di allargare il campione da 6.466 start-up innovative iscritte alla sezione speciale del Registro al momento dell’analisi (di cui 289 partecipate da investitori specializzati), ad altre 287 società. In base a questo campione allargato, il numero di startup innovative ammonta a 6.753, il fatturato prodotto cresce di 134 milioni di euro (a 581 milioni), il numero di addetti di 1.600 unità (a 11,3 mila), l’attivo di 358 milioni (a 1,3 miliardi), i debiti finanziari di 79 milioni (a 344 milioni), il patrimonio netto di 157 milioni (a 514) e gli investimenti di 24 milioni (a 210)».

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 Un manifesto nazionale per l’innovazione

Va infine sottolineato che nell’ottobre 2016 sette associazioni che costituiscono la filiera del sostegno e del finanziamento alle startup hanno siglato un Manifesto dal titolo “Proposte per rafforzare la politica industriale a sostegno dell’ecosistema dell’innovazione e della filiera delle start-up innovative” Le associazioni sono: Italia Startup, che riunisce gli imprenditori e le iniziative imprenditoriali nate sotto l’egida del nuovo inquadramento normativo; PNICube, che associa incubatori universitari che accompagnano al mercato le nuove imprese ad alto contenuto di conoscenza e di provenienza universitaria; APSTI, e cioè i parchi scientifici e tecnologici; Roma Startup, e cioè i cluster metropolitani; IBAN e AIFI, che collegano gli investitori informali e istituzionali nel capitale di rischio delle nuove aziende; e infine Endeavor che unisce i network internazionali di sostegno alle startup più consolidate ”. Il documento è diretto al completamento e al miglioramento della normativa in materia. Con quattro aree d’intervento: talenti, capitali, semplificazioni ed exit.

Si parte dalla constatazione dei miglioramenti a seguito dell’introduzione del Decreto Crescita 2.0 (DL 179/2012). Si legge infatti che «è stato identificato un perimetro definitorio attraverso il quale incentivare la creazione di impresa ed è stata facilitata, attraverso una specifica sezione del registro delle imprese, la riconoscibilità del circuito delle start-up innovative e degli incubatori. Si è innescato un circolo virtuoso che ha portato alla costituzione di oltre 6mila start-up innovative. Sono stati adottati meccanismi simili a quelli introdotti in altri Paesi, come l’incentivazione fiscale mirata agli investitori».

Ma a partire da qui si vuole realizzare una “manutenzione evolutiva”, e quindi «un ulteriore balzo in avanti nel sostegno all’innovazione e correggere le pratiche che non hanno dato gli esiti auspicati». Quanto all’area talenti, in particolare «si ripropone lo strumento del “visto” per attrarre gli investimenti di soggetti che vogliano scommettere sulle potenzialità del nostro Paese e del suo tessuto imprenditoriale e sulla capacità di creazione di impresa. Dovrà essere circoscritto e definito il perimetro delle attività su cui si vuole convogliare i capitali nonché gli eventuali ulteriori benefici connessi all’investimento nel nostro Paese. Per consentire una corretta segmentazione dell’ambito applicativo, si suggerisce di garantire tale visto a finanziatori che investano almeno 500mila euro».

Quanto all’area capitali «si ritiene quindi opportuno sollecitare un maggior sforzo governativo in termini di defiscalizzazione che riveda al rialzo i vantaggi fiscali per gli investimenti diretti e indiretti (attraverso fondi di venture capital)».
Quanto alle semplificazioni, tra quelle richieste, in rapporto al registro di impresa, si chiedono «l’esenzione dal versamento minimo INPS per i soci-amministratori e l’esclusione dal regime IVA sul modello del “regime dei minimi”».

Infine per quello che riguarda l’exit si ritiene importante «attivare un faro di attenzione verso l’introduzione di incentivi volti a favorire un ecosistema in cui le imprese medie e grandi fanno ricerca e innovazione acquisendo quelle piccole e innovative».
Insomma, c’è parecchio da fare ma è stato intrapreso il percorso giusto e iniziative come StartUpTown stanno davvero contribuendo alla realizzazione di un ecosistema di collaborazione e contaminazione dell’innovazione a tutti i livelli.














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