Marco Taisch: quale lavoro ci attende nell’era del 4.0

La linea di produzione della Volvo 90
La linea di produzione della Volvo 90

di Laura Magna ♦ È vero che l’industria 4.0 rende più competitive le aziende. Ma ci sarà una selezione nel mondo del lavoro. Lo pronostica Marco Taisch, professore di Sistemi di produzione automatizzati e tecnologie industriali al Politecnico di Milano.

L’automazione del lavoro ha ucciso il lavoro? “No, non lo ha ucciso e non lo farà. Invece, lo modifica”. A spiegarlo a Industria Italiana è Marco Taisch, professore di Sistemi di produzione automatizzati e tecnologie industriali al Politecnico di Milano nonché, dal 2002, consulente per la Commissione Europea, per la quale si occupa dello studio dei trend tecnologici. È soprattutto, un personaggio considerato un vero e proprio guru dei temi legati a manifattura, fabbriche, economia reale.







Marco Taisch
Marco Taisch

La sua risposta a quella che è una delle diatribe più antiche e controverse sull’automazione del lavoro sembra definitiva. Quindi, non c’è da preoccuparsi, le macchine non ci sostituiranno, non ci saranno nuovi disoccupati e non calerà la necessità di operatori umani nelle fabbriche. “Ovviamente la questione è più complessa di così”, continua Taisch. “Lo spauracchio dell’operaio robot che sostituisce l’operaio umano appartiene a un’epoca in cui le macchine automatiche effettivamente sostituivano il lavoro manuale. Dunque, il lavoro era svolto realmente da un robot invece che da una persona. Siamo però passati dall’automazione industriale all’automazione collaborativa e all’automazione cognitiva”. Cambia l’industria e con la quarta rivoluzione, quella digitale, le fabbriche saranno sempre più completamente automatizzate e interconnesse, basate sui dati e la creazione di valore (nelle diverse declinazioni di big data, open data, Internet of Things, machine-to-machine e cloud computing). Saranno luoghi dove l’interazione tra uomo è macchina è sempre più pervasiva e la manifattura additiva è solo il passaggio finale dal digitale al reale. “L’automazione collaborativa vuol dire semplicemente che un robot collabora con l’operaio umano allo svolgimento del compito: svolge un’attività che prima faceva l’uomo, ma necessita di essere affiancato e coaudivato dalla presenza umana, perché non può farla completamente in autonomia. In sostanza, solleva l’operaio dai compiti più pesanti e ripetitivi e gli lascia invece la parte più creativa: non c’è perdita di un posto di lavoro ma aumento del benessere lavorativo”, precisa il docente. Pensiamo a una macchina che passa un componente a un operatore che poi deve assemblarlo, il robot porge il pezzo o aiuta a tenerlo in posizione mentre l’uomo interviene in maniera qualitativa.

Prima e dopo

Diverso da quello che è già avvenuto con l’automazione industriale. “Facciamo un esempio di sostituzione del lavoro umano con quello di una macchina: pensiamo alla verniciatura delle auto, in cui il robot è più preciso e non si stanca mai. Di fatto non esiste carrozziere migliore di un robot”, spiega il professore. “Tuttavia le macchine hanno più limiti degli umani (quelli cognitivi, per fare l’esempio più evidente) e non sono flessibili”. Ed ecco che arriva in soccorso l’automazione cognitiva che “grazie all’Internet delle cose, alla connettività in fabbrica, alla sensoristica che raccoglie dati in tempo reale su quello che succede. Può dare informazioni tempestive e precise che consentono all’operatore di agire in modo più efficiente rispetto a prima. Un esempio preso a prestito ancora dal mondo delle auto ci aiuta a capire: Volvo ha dotato gli operatori sulla linea di assemblaggio finale delle vetture di uno smartphone sul braccio che fornisce loro indicazioni sulle cose da fare”, racconta Taisch. “Prima che la carrozzeria sia verniciata le portiere sono montate per evitare sbavature, per poi essere smontate nuovamente, assemblate con finestrino e allestimento interno e riposizionare sulla scocca dell’auto. Alla fine della linea, le stesse quattro porte che sono state montate sulla scocca grezza all’inizio devono ricongiungersi con la stessa auto: “Poniamo il caso che ci sia un disallineamento sulle cerniere”, precisa Taisch. “L’operatore che le smonta può segnalarlo all’addetto finale che, giocando di anticipo, risparmia tempo e può evitare colli di bottiglia. In questo modo io riesco a fare le operazioni in fabbrica in tempo reale e automatizzo l’operatore in maniera cognitiva dandogli più informazione. L’operatore diventa più performante e non mi conviene sostituirlo con un robot”. Insomma, la quadratura del cerchio.

Linea di produzione Volvo
Linea di produzione Volvo

Chi vince e chi perde

Eppure diverse ricerche preconizzano comunque la perdita di forza lavoro nei prossimi anni: secondo il World Economic Forum, che ha presentato a gennaio uno paper da titolo Il futuro del lavoro, nei prossimi anni fattori demografici e tecnologici porteranno alla creazione di 2 milioni di posti, ma alla sparizione di altri 7 (4,8 nelle aree amministrative e 1,6 nella produzione), con un saldo negativo di 5 milioni di posti di lavoro in meno nel mondo. In Italia, invece, si creeranno 200mila posti e altrettanti se ne perderanno.”È chiaro che i colletti blu e bianchi devono cambiare. Il rischio che c’è è il digital divide, e nelle fabbriche ci sono generazioni che fanno fatica a usare strumenti digitali”, prevede Taisch. “E il fenomeno sarà sempre più massiccio: con l’aumento dell’età pensionabile, avremo persone sempre più anziane affiancate da persone giovani con un gap sempre più profondo sulle competenze digitali. Se non lavoriamo sulle persone più anziane rischiamo di rottamarle anticipatamente, perché non sanno usare strumenti informativi: quindi dobbiamo lavorare sugli skill. Una volta l’evoluzione tecnologica era lenta e una persona in 40 anni di vita lavorativa ce la faceva a starvi dietro: oggi rischia di non riuscire più”. Il rischio è significativo e la necessità di investire in formazione sempre pressante. Non solo, lo abbiamo visto, per chi sta alla catena di montaggio. Esistono oggi algoritmi, e sono disponibili alla vendita per le imprese, capaci di leggere e catalogare, per esempio, una mole enorme di documenti complessi restituendo al manager che sta facendo una ricerca utile al suo lavoro solo pochi risultati veramente pertinenti. Svanirà la figura della segreteria o, meglio, se la persona addetta al ruolo non affina le sua doti creative e umane, e si limita a voler gestire l’archivio è destinata a sparire, poiché non può competere con un archivio automatico e intelligente, in grado di riprodurre in maniera esponenziale le capacità di analisi e selezione. “Questi strumenti possono rivoluzionare anche le figure impiegatizie, a causa dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Certo, più ci spostiamo verso l’altro nella gerarchia aziendale più diventa difficile sostituire lavori complessi, che richiedono doti di leadership, capacità previsionale e decisionale, assunzione del rischio. Ma su alcune attività impiegatizie di tipo routinario la trasformazione è simile a quella che avviene sulla linea produttiva”, nota l’esperto. Non è, insomma, un particolare tipo di lavoro che sarà messo in discussione dalla robotica, ma la quantità di routine che le diverse mansioni contengono.

Le macchine di Enlitic sono capaci di riconoscere e classificare i tumori maligni il 50% con più precisione rispetto a tre radiologi umani esperti
Le macchine di Enlitic sono capaci di riconoscere e classificare i tumori maligni il 50% con più precisione rispetto a tre radiologi umani esperti

Ospedali automatici

A minacciare alcuni medici specializzati da qualche parte del mondo ci sono già robot più bravi degli umani. C’è una start up con sede a San Francisco, Enlitic, che usa il deep learning per leggere le radiografie: ebbene, la sperimentazione ha mostrato come le macchine di Enlitic siano capaci di riconoscere e classificare i tumori maligni il 50% con più precisione rispetto a tre radiologi umani esperti che lavorano in team. Secondo uno studio pubblicato nel 2013 dagli studiosi Carl Benedikt Frey e Michael Osborne della Oxford Martin School, società di ricerca dell’Università di Oxford, il 47% dei lavoratori americani è a rischio di potenziale automazione: l’analisi è stata svolta su 701 diversi tipi di lavoro.
In particolare sono i lavoratori nei settori di trasporto e logistica, come tassisti e autisti e quelli di supporto alle attività di ufficio, come receptionist e addetti alla sicurezza, oltre che nelle vendite e nei servizi, come cassieri o televenditori quelli che hanno la maggiore probabilità di venire sostituiti da omologhi computerizzati. Studi successivi hanno testimoniato che a rischio ci sono il 35% dei lavoratori britannici, dove il peso della componente creativa è maggiore che negli Usa, e il 49% di quelli giapponesi.
L’unica difesa per tutti questi lavoratori che svolgono mansioni di routine, in conclusione, è formarsi nuove competenze e non aver paura della tecnologia.














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2 Commenti

  1. Se ne parla dal ‘700, con l’introduzione delle prime macchine. Da allora l’impiego è cambiato moltissimo e cambierà ancora. Da un lato occorre essere capaci di adeguarsi alle nuove richieste, dall’altro i prodotti costeranno meno ed aumenterà il margine per supportare le attività di supervisione e coordinamento, sempre più necessarie. A livello manageriale ritengo che serviranno persone capaci di utilizzare le informazioni e prendere decisioni giuste in tempi rapidi.
    Tutto si fa più competitivo e difficile per le continue variazioni dei mercati. Adeguarsi o fallire. Ma altre società si svilupperanno e creeranno nuovi e diversi posti di lavoro. Il mondo cambia piuttosto velocemente, non possiamo pensarlo come ora (o come era), ma dobbiamo aprire la mente e pensarlo diverso, nuovo.
    Non migliore o peggiore. Ma giusto diverso: dobbiamo quindi rimboccarci le maniche per costruire il nostro futuro.

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