Venturi: la manifattura? Vince chi ha i Big Data

Data center di Hpe
Data center di Hpe

di Filippo Astone e Monica Battistoni ♦ Stefano Venturi, oggi a capo di Hewlett Packard Enterprise (HPE) e ieri di Cisco, è convinto che i nuovi leader dell’economia reale saranno solo coloro in grado di maneggiare i Big Data. Vediamo perché, aggiungendo indicazioni di contesto sul futuro dell’It globale, e quindi della società globale.

L’analisi dei Big Data, e l’utilizzo dei conseguenti risultati, saranno fondamentali per la manifattura di domani. Il motivo è molto semplice. Nel giro di pochi anni tutta la produzione manifatturiera sarà digitalizzata, e diventerà quella che oggi chiamiamo Industry 4.0 e che abbiamo già descritto in questa analisi. Su ogni componente manifatturiero ci sarà (o c’è già) un sensore che permetterà al componente stesso di dialogare con gli altri componenti – e con la fabbrica – prima, durante e dopo la produzione. Tutto questo genererà una massa enorme di informazioni (i Big Data) che software appositi filtreranno e valuteranno, permettendo di prendere decisioni in termini di gestione, manutenzione e utilizzo del prodotto. «Per gestire questi dati, ogni azienda manifatturiera dovrà trasformarsi, a suo modo, in una software house», ci spiega Stefano Venturi, AD del gruppo Hewlett Packard Enterprise in Italia, «Anche perché dalla gestione dei dati cambierà il suo modello di business. Per esempio, i car maker avranno informazioni in tempo reale sui consumi e l’usura dell’automobile, oltre che sul suo tragitto, e potranno con maggiore facilità gestirne il ciclo di vita, trasformandosi in erogatori di servizi di mobilità». Ma che cosa sono in realtà i Big Data? Non sono solo masse enormi di dati, sarebbe errato e semplicistico definirli così. I Big Data sono articolati in strutture complesse soprattutto perché non sono omogenei: possono farvi parte immagini, testo, coordinate geografiche e tutta una serie di informazioni raccolte da un’infinità di fonti quali uffici di statistica, social network e amministrazioni pubbliche.

La raccolta dei dati, la loro archiviazione, così come il loro formato e gli strumenti utili alla correlazione delle informazioni (quindi la loro interpretazione e visualizzazione) sono un’operazione enormemente complessa. Servono standard e regole condivisibili per poterne trarre l’enorme potenziale e farne il giusto uso. Il volume dei dati, spinto dai dispositivi mobili, aumenta senza soluzione di continuità. Sono proprio i fornitori di servizi e applicazioni quelli che ne fanno un grande uso; vengono utilizzati per capire quali sono le attitudini degli utenti (che in molti casi sono clienti) e migliorare così l’esperienza d’uso offerta.







Stefano Venturi
Stefano Venturi

La tempesta perfetta

C’è chi la chiama la tempesta perfetta, chi lo definisce un fenomeno dirompente, chi addirittura usa toni radicali con il termine data revolution. Cloud, Internet e capacità di calcolo potentissime a costi accessibili sono gli ingredienti della trasformazione digitale che sta modificando gli assetti competitivi di industrie e nazioni. Questa rivoluzione la si avverte anche in Italia, ma stenta a penetrare nel tessuto produttivo del Paese. Non a caso l’Osservatorio SmartManufacturing del Politecnico di Milano ha decretato che solo un’azienda su due applica il digitale nei processi industriali e nello sviluppo di nuovi prodotti. «La buona notizia è che negli imprenditori e nei manager sta crescendo, e anche molto velocemente, la sensibilità su questo tema. Il problema è che c’è poca informatizzazione, perché c’è scarsa cultura digitale», sottolinea Venturi. Per Venturi, «la gestione e l’utilizzo strategico dei Big Data non è altro che la naturale strada che le imprese devono intraprendere, pena l’esclusione dal mercato. Saper gestire i propri dati, ma anche quelli degli altri, è non solo una opportunità, ma anche una via del business ineluttabile». Le fonti sono innumerevoli, si va dall’intelligenza inserita negli oggetti che ne traccia il contesto e il funzionamento, al rumore di fondo del Web, social network compresi, al patrimonio informativo dell’azienda e quello dei partner. Eppure, secondo i dati della Fondazione Nord Est-Prometeia, in collaborazione con HPE, tra le imprese con ricavi sopra 1 milione di euro solo il 13% utilizza applicazioni legate all’Internet of things, che dopo l’automazione dei processi per fortuna molto diffusa nel manufatturiero italiano, sta alla base della trasformazione digitale. Si tratta di un ecosistema di sensori che idealmente dovrebbe trovarsi nelle macchine della linea di produzione, nei varchi dei capannoni, nei magazzini, negli impianti energetici e idrici, sulle etichette degli imballaggi e persino sui camion che trasportano le merci. «Raccogliere, correlare e analizzare questa miniera di informazioni significa riuscire a velocizzare il ciclo produttivo, a prevedere eventuali guasti nelle macchine, a fare innovazione creando un’offerta personalizzata, a creare nuovi segmenti di mercato, a rendere più efficaci i servizi postvendita fidelizzando i consumatori, a ridurre i costi e i consumi energetici. In buona sostanza, significa aprire nuovi scenari, nuovi business, nuove opportunità», continua Venturi. Per le aziende manifatturiere italiane significa anche reggere il confronto con i grandi gruppi stranieri che questa strada l’hanno già intrapresa, in alcuni casi per evitare di uscire dal mercato.

Una rivoluzione paragonabile a quelle di internet e dei social network

«Sta accadendo quello che è già successo negli anni Novanta con Internet che ha cambiato l’accesso all’informazione, e una decina d’anni fa, quando i social network hanno modificato il modo di comunicare. Ora è in corso un’altra rivoluzione ancora più profonda, che farà sparire delle aziende ma ne creerà di nuove, che disintermedia il contenuto delle informazioni a disposizione. La capacità dei software di Big Data Analytics di raccogliere milioni di informazioni, di correlarle così a fondo, secondo le variabili più disparate, dall’età, al genere, dalla posizione geografica alla nazionalità per citare quelle più semplici e immediate, quindi in modo estremamente ampio e soprattutto veloce, sposterà, ad esempio, la ricerca dal laboratorio al campo clinico. Infatti con questa nuova scienza dei Big Data Analytics si possono estrarre e correlare un numero infinitamente maggiore di dati, possono essere anche miliardi e dipende dalla potenza della macchina, ma soprattutto la correlazione permette di estrarre informazioni di valore per la ricerca scientifica, in questo caso, o per il business piu’ in generale. Per ora la sperimentazione del nuovo scenario avviene con i marcatori perché è utile anche alle aziende, ma in futuro il regolatore sarà costretto a permetterne l’estensione in altri ambiti», spiega ancora Stefano Venturi. «Ma non solo: in questo caso la possibilità di accedere ai dati avrà anche un effetto sociale. Infatti, consentirà di abbassare le spese della ricerca e di conseguenza anche il costo dei trattamenti medici. E consentirà di mettere a punto cure personalizzate, ma allo stesso tempo di massa». Un ossimoro reso possibile dalla tecnologia.

La presidente e ceo di HPE Meg Whitman e il presidente del board, Pat Russo, al piano di trading NYSE
La presidente e ceo di HPE Meg Whitman e il presidente del board, Pat Russo, al piano di trading NYSE

Una enorme opportunità per le Pmi

Alcune indagini indicano che l’Industria 4.0, che si basa sulla digitalizzazione appunto, potrebbe essere applicata all’interno di sette Pmi italiane su dieci secondo le analisi della Fondazione Nord Est: i dati esistono e sono quelli che provengono dalla forte automazione dei processi. Ciò che manca è la capacità tecnica di metterli insieme e tradurre questi bit in informazioni utili. Ed è un peccato perché le applicazioni nelle diverse industry sono potenzialmente infinite, rincara Venturi. «Teoricamente non ci sono limiti. Anzi, se un esperto del proprio lavoro che sa cosa cercare, avesse anche le competenze digitali per sapere come farlo, potrebbe dare libero sfogo alla fantasia». In pratica, il vero gap è la formazione e la figura del data scientist, ossia colui o colei che è capace di analizzare e interpretare le informazioni elaborate sulla base dei dati raccolti, sarà sempre più richiesta. Addirittura indispensabile, se come dice Venturi i dati grezzi sono la materia prima del futuro di quella che la ceo di Hewlett Packard Enterprise Meg Whitman chiama l’economia delle idee, che può contare su tre asset fondamentali: il primo è la capacità computazionale quasi illimitata e a costi accessibili offerta dal cloud; il secondo è Internet of Things come fonte di dati; infine il terzo sono i big data, ossia la capacità di ricavare informazioni utili al business, in modalità Saas, (software as a service). Ed è quello che la multinazionale propone: la piattaforma HPE Haven, costituita da software, servizi e infrastrutture per la gestione al 100% dei big data disponibile su cloud, quindi non in casa, on demand, ossia a seconda della necessità, in locale e su Hadoop. Attenzione però, una cosa è l’economia delle idee, di cui parla la Whitman, e che vale per tutto l’it e tutto il mondo produttivo. Una cosa diversa sono le quattro aree di trasformazione per accompagnare le aziende nella digital transformation, che trattiamo nell’ultimo paragrafo di questo articolo.

Motori software potentissimi

Tutte queste opzioni si basano su due motori potentissimi che i dati da quasi tutte le fonti che siano pdf non navigabili, oppure testi non strutturati come le mail, gli audio e i video, quindi anche in diversi formati e ubicazioni. Insomma, che appartengano a macchine e a sensori, o che siano generati dalle comunicazioni con i fornitori via mail, con i consumatori sui social media, dai sistemi Crm aziendali tradizionali, dai clienti con le risposte ai call center, la piattaforma li correla a un livello di dettaglio tale da interpretarli in base al contesto geografico e al formato da cui li estrae grazie all’apprendimento automatico. Non a caso la soluzione di HPE è entrata nella storia quando nel 2012 venne utlizzata per l’analisi delle reazioni, anche in real time sui Social Media, alla campagna politica e fu fondamentale per la riconferma di Barack Obama. Anche i grandi network, interpreti dei mutamenti della società si sono adeguati all’innovazione tecnologica con una serie televisiva di grande successo planetario, Person of Interest, i cui protagonisti sono impegnati a sventare reati analizzando i comportamenti dei criminali con l’aiuto di un’intelligenza artificiale senziente. Certo, si tratta di una fiction e per di più distopica, ma l’idea è analoga e reale: sfruttare in maniera utile una miniera di informazioni che sembra inesauribile. E rispetto al passato queste risorse non sono più ad appannaggio delle grandi imprese, perché le capacità computazionali sono in cloud e non necessitano di grandi infrastrutture It interne, mentre i software di analisi sono disponibili come servizio.

«Insomma, chi oggi ha un’idea e vuole disegnare un prodotto molto avanzato, con risorse relativamente limitate può iniziare la trasformazione digitale della sua fabbrica. E riuscire a confrontarsi sul mercato con i grandi gruppi. La competizione così diventa imprevedibile persino per i colossi: chi sarà più bravo e veloce a correlare dati complessi avrà i super poteri e batterà concorrenti. Gli altri? Rischiano l’esclusione dal mercato», conclude Venturi.

Server di HPE
Server di HPE

I Big Data come uno dei quattro pilastri della nuova strategia HPE

I Big Data sono il terzo pilastro della nuova strategia di HPE, acronimo di Hewlett Packard Enterprise, una delle due aziende (specializzata in infrastrutture tecnologiche, software e servizi informatici) in cui, per decisione di Meg Whitman (ceo di HPE e presidente di Hp Inc) si è scissa la vecchia Hp, che prima della divisione in due parti era l’azienda di it più grande del mondo, anche se in profonda crisi. L’altra azienda è appunto Hp inc, che si occupa di personal computer, stampanti (di cui è co-leader mondiale) e additive manufacturing. Vediamo le quattro aree di trasformazione per HPE.

Area 1: Aiutare i clienti nella Trasformazione verso Infrastrutture Ibride gestendo il bilanciamento tra l’It tradizionale e ambiente Cloud per produrre velocemente nuovo valore attraverso tutte le applicazioni e creando l’infrastruttura che meglio si adatta alle esigenze dei clienti stessi.

Area 2: Proteggere l’Azienda Digitale. Tale area è legata alla sicurezza intesa nel senso più ampio: gestione dei rischi, monitoraggio delle operazioni, protezione dei sistemi e difesa dell’integrità operativa. Di conseguenza quindi anche alla protezione dei dati, che significa anche renderli reperibili nel minor tempo possibile. Oltre a soluzioni dedicate alla CyberSecurity, HPE propone una serie di soluzioni storage con a bordo algoritmi di deduplica che ottimizzano i dati e che riducono drasticamente le finestre di backup, accelerando i processi di recupero dei dati.

Area 3:  Ottenere sempre maggior valore attraverso i dati. I big data, come abbiamo visto, sono ormai un megatrend. La chiave per competere è saper trasformare i dati in informazioni di valore e queste in azioni di business. Ci sono fenomeni sul mercato, uno su tutti l’Internet of Things (IoT), che accelerano ulteriormente il processo di continua espansione della mole di dati disponibili. Per questo diventa fondamentale avere storage altamente performanti, in grado di rendere disponibili i dati e di poterne fruire per le decisioni aziendali. E soprattutto, avere software, come quello di Autonomy, per leggere e interpretare i Big Data, traducendoli in informazioni strategiche.

Area 4:  Aumentare la Produttività del Lavoro in Mobilità. Con la mobility, tutti gli utenti (colleghi, clienti, fornitori) possono collegarsi ai sistemi aziendali dappertutto e in qualsiasi momento, il “posto di lavoro” oggi può essere dovunque. Per questo è necessario fornire le corrette soluzioni infrastrutturali per data center o branch office in modo da poter usufruire al meglio dei dati aziendali.

Hewlett Packard Enterprise
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