di Luca Beltrametti ♦ Tra realtà, aspettative e retorica è difficile valutare gli scenari di crescita legati alle nuove tecnologie
Industria Italiana ospita un articolo del Direttore del Dipartimento di Economia dell’ Università di Genova. Nel dibattito sulle prospettive dei cambiamenti economici in atto, Beltrametti invita a leggere con oggettività scientifica le tendenze in atto, ai fini di azioni efficaci a supporto delle trasformazioni strutturali nel manifatturiero.
Una fase storica merita il nome di “rivoluzione industriale” solo se ad essa si associa un’eccezionale crescita della produttività. Se guardiamo alle statistiche ufficiali, oggi il mondo non si trova in una “rivoluzione industriale”. Negli USA , ad esempio, la produttività del lavoro è cresciuta in media del 3,2% annuo nel periodo 1948-1973; dell’1,5% annuo nel periodo 1973-1995; del 3,3% annuo nel periodo 1996-2003 per poi rallentare nuovamente a circa 1,5% medio annuo nel periodo 2004-2015. Ad oggi, non si registra alcun segno di accelerazione. Se si guarda dunque alle statistiche aggregate, si deve concludere che siamo in un periodo di bassa crescita della produttività e che il rallentamento è precedente allo scoppio della crisi finanziaria del 2008 ed alla successiva fase di recessione .
La situazione nazionale
In termini relativi, la situazione italiana è ancora più critica : ponendo pari a 100 il livello della produttività oraria del lavoro dell’anno 2000, nel 2016 il livello in Italia è arrivato a mala pena a 101.In Francia e Spagna a circa 115, in Germania a oltre 118. Nel pieno di una fase di crescita molto modesta, si celebra l’arrivo di una “quarta rivoluzione industriale” (ovvero l’ Industria 4.0) che permetterebbe alla manifattura (e non solo) di fare un balzo nella crescita ed all’economia di rilanciarsi con vigore.
Le previsioni ottimistiche e la realtà
Lo straordinario interesse, anche mediatico, verso Industria 4.0 è spiegabile se si considera che l’espressione viene usata per alludere all’effetto congiunto di varie straordinarie tecnologie, anche complementari tra loro, che promettono grandi guadagni di produttività grazie ad un uso più efficiente delle risorse. Previsioni molto ottimistiche sono fornite da varie società di consulenza e sono fatte proprie con entusiasmo (e un minimo di leggerezza) dai governi. Ciò è comprensibile considerando che siamo all’apice di una fase storica nella quale – date anche sfavorevoli dinamiche demografiche – c’è un disperato e diffuso bisogno di crescita. Se si guarda al fenomeno con un certo distacco, si deve però ammettere che o l’arrivo di Industria 4.0 è massimamente tempestivo e rappresenta dunque un felicissimo “accidente storico” oppure che la si invochi per esorcizzare la paura e catalizzare le energie utili a contrastare il declino e la fuga delle produzioni dai paesi occidentali.
I tre scenari futuri possibili:
Primo scenario: entro pochi anni le evidenze di forte impatto sulla produttività, che oggi sono confinate in alcune singole realtà industriali, si estendono in modo sistemico ad ampi settori dell’economia e della manifattura. Questo si tradurrebbe in dati aggregati della produttività che permettano di affermare definitivamente che siamo entrati in una nuova era tecnologica.
Secondo scenario: ci si convince che c’è qualcosa in questa rivoluzione tecnologica che sfugge alle tradizionali metodologie statistiche di misura dell’output. Pertanto, – dopo aver corretto errori di misura come evidenziato da recenti studi – emergerà nel prossimo futuro anche nelle statistiche ufficiali una crescita importante della produttività.
Terzo scenario: se non si verificheranno né il primo né il secondo scenario, si dovrà ammettere che Industria 4.0 è una realtà molto importante per alcune aziende e alcuni particolari ambiti industriali. Ma ad essa non avrà corrisposto una trasformazione di sufficientemente ampi settori dell’economia tale da avere l’impatto sperato sull’efficienza complessiva del sistema.
Ritengo che le ragioni degli “ottimisti” (i primi due scenari) siano complessivamente più forti, ma l’adesione al “partito degli ottimisti” non può essere fatta senza uno spirito critico pronto a riconoscere che, ad oggi, mancano le prove definitive per affermare l’avvenuto ingresso in una quarta rivoluzione industriale.
La difficile scommessa del governo
Il governo italiano nella recente legge di bilancio ha deciso di scommettere pesantemente sull’innovazione tecnologica per invertire la drammatica tendenza che ha portato la manifattura italiana a perdere oltre ¼ del proprio fatturato dall’inizio della crisi. È forse l’unica “scommessa”possibile, ma in ogni caso, una scommessa rischiosa. Non solo non abbiamo certezza circa la reale portata delle tecnologie di Industria 4.0 in termini di produttività e di occupazione, ma gli incentivi offerti dal governo (in particolare l’iper-ammortamento e il credito d’imposta alla ricerca) hanno anche un’efficacia molto incerta nello stimolare nuovi investimenti delle imprese. È possibile che tali incentivi attivino un grande volano che, attraverso maggiori investimenti in tecnologia, determinerà un aumento della competitività delle imprese italiane generando nuova occupazione e nuova domanda. Tuttavia, il livello degli investimenti non dipende solo dagli incentivi offerti, ma dal clima complessivo di fiducia degli imprenditori rispetto alle prospettive di crescita del Paese.
Aziende poco propense a investire
A questo proposito, una recentissima indagine condotta da Federmeccanica rivela che le imprese manifatturiere italiane hanno una buona conoscenza delle tecnologie individuate dagli estensori come “abilitanti” (meccatronica, robotica, robotica collaborativa, IoT, Big Data, Cloud Computing, sicurezza informatica, stampa 3D, simulazione, nanotecnologie, materiali intelligenti). Tuttavia – prima del varo degli incentivi da parte del governo – le intenzioni di investimento nell’arco dei prossimi 5 anni erano molto modeste. A titolo di esempio, solo il 16% delle imprese rispondenti ha dichiarato di avere intenzione di investire nei prossimi 5 anni in robotica collaborativa e solo il 29% in stampa 3D (pur essendo quest’ultima una tecnologia molto conosciuta cui è stata riservata una significativa eco mediatica).
Quali imprese trarranno beneficio dagli incentivi?
L’azione del governo rischia di accentuare la tendenza a un dualismo tra una pattuglia di imprese manifatturiere avanzate tecnologicamente e fortemente attive sui mercati internazionali ed il gruppo di imprese meno dinamiche e più conservatrici. Secondo la ricerca di Federmeccanica, le imprese che già hanno adottato alcune tecnologie di Industria 4.0 giudicano mediamente meno grandi gli investimenti necessari per avviarsi lungo tale percorso e ritengono più attuabile un approccio graduale verso l’adozione delle tecnologie. Al contrario, le imprese meno avanzate tecnologicamente tendono a sopravvalutare i costi e le difficoltà della fase di transizione. Le imprese già oggi più avanzate manifestano quindi intenzioni di investimento in tecnologie molto maggiori. Il rischio è che siano soprattutto queste ultime a rispondere agli stimoli fiscali del governo. Anche in ragione del fatto che proprio le imprese più forti, che quindi generano profitti, hanno maggior capienza fiscale per beneficiare dell’iper-ammortamento e del credito d’imposta.
Meno retorica, più investimenti pubblici
È importante quindi che alla politica degli incentivi si associno significativi investimenti pubblici ed adeguate azioni di informazione che aiutino le imprese più fragili a comprendere la natura degli investimenti necessari e che sviluppino adeguate competenze tra i lavoratori, giovani e meno giovani. In definitiva, lo sviluppo delle tecnologie che possono abilitare lo sviluppo di una nuova rivoluzione industriale è reale e importante; occorre però evitare una retorica inutile ed occorre mantenere uno spirito critico che ci aiuti a monitorare nel tempo l’effettiva portata dei fenomeni, anche in relazione alle enormi aspettative che si stanno accumulando.
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